Les contes d’Hoffmann

Jacques Offenbach, Les contes d’Hoffmann

Londra, Royal Opera Covent Garden, 15 gennaio 2025

★★★★☆

(diretta streaming)

Il viaggio della memoria di Michieletto arriva a Londra

Un’operazione di rebranding a tutti gli effetti quella effettuata dal maggior teatro inglese che ha cambiato nome e logo, con tanto di grafica aggiornata: la Royal Opera House diventa dunque Royal Ballet & Opera, un’operazione di marketing per attirare nuovi spettatori grazie al balletto le cui star sono molto seguite sui social e attirano i giovani, elemento fondamentale per il ricambio generazionale del pubblico. Ma anche nuovi sponsor nei settori della moda e del lusso. Ora tutte le ricerche di roh.org sono automaticamente reindirizzate su rbo.org. Poco cambia sulla programmazione, che ha sempre visto il balletto fare la parte del leone nei cartelloni del teatro al Covent Garden.

Coprodotto con Venezia, Lione e Sydney, sono ora in scena Les contes d’Hoffmann di Jacques Offenbach nell’allestimento di Damiano Michieletto visto alla Fenice all’inaugurazione della sua stagione lirica 2023-24. Qui c’è modo di ascoltare un cast del tutto diverso – a parte Alex Esposito che si rivela come sempre stupefacente nella parte demoniaca declinata nei personaggi di Lindorf, Coppélius, Docteur Miracle, Dappertutto e qui anche Stella… – e la direzione di Antonello Manacorda, impedito allora a Venezia da problemi di salute e sostituito da Frédéric Chaslin. Rispetto alla concertazione greve e routinière del francese, quella di Manacorda brilla per trasparenza, senso del colore strumentale e senso teatrale. La versione scelta è quasi completa e si basa sugli studi più aggiornati, con quasi un’ora di musica in più rispetto a Venezia, con pagine che si ascoltano raramente. Con i due intervalli lo spettacolo arriva alle quattro ore che scorrono veloci per la qualità degli interpreti e la festa per gli occhi offerta dal regista. 

Dopo aver detto tutto il bene possibile di Alex Esposito, della sua stupefacente presenza scenica e del suo ricchissimo strumento sonoro, si rimane sull’eccellenza per lo Hoffmann di Juan Diego Flórez dalla voce freschissima, gli acuti smaglianti, il fraseggio elegante e la perfetta dizione. Le doti attoriali sono quelle che sono, la gestualità è limitata e di maniera, ma il personaggio riesce comunque ben delineato nel suo passaggio dall’adolescenza del primo amore sui banchi di scuola, all’amore sofferto della maturità a quello disincantato e cinico successivo. Le tre fasi sono centrate sulle tre figure femminili qui interpretate da tre diverse cantanti. Non del tutto convincente l’Olympia di Olga Pudova, tecnicamente impeccabile nei picchiettati e nella acrobatica coloratura, ma dal timbro troppo scuro e dall’eccesso di vibrato. La parte di Antonia sembra scritta per Permettere a Ermonela Jaho di esprimere con l’intensità che le riconosciamo la sofferta parte della giovane morente. Perfettamente in parte nel suo sensuale outfit in lamé dorato, la Giulietta di Marina Costa-Jackson soffre di una certa asprezza di espressione. Corrette, ma non molto di più, la Musa di Christine Rice (anche voce della madre di Antonia) e il Nicklausse di Julie Boulianne. Christophe Montagne caratterizza con ironia le parti di Andrès e del maestro di ballo Cochenille. Efficace lo Spalanzani di Vincent Ordonneau, commovente ma con solo un filo di voce il Crespel di Alastair Miles.

La seconda visione dell’allestimento permette di apprezzare ancora più la regia di Michieletto, ripresa da Eleonora Gravagnola, che centra in pieno il caustico spirito hoffmaniano magnificamente reso dal suo miracoloso team: Paolo Fantin per le scene (geniali i buchi del soffitto e il tableau vivant del secondo atto con le ballerine), Alessandro Carletti per le luci (fantasiosamente non naturalistiche), Carla Teti per i costumi (le fate verdi come l’assenzio, la fée verte, del primo atto e l’atmosfera Eyes Wide Shut del terzo). A questi si aggiungono le argute coreografie di Chiara Vecchi, gli irriverenti diavoletti con copricapezzoli di brillantini rossi, i ballerini con le teste di topo.

Nel finale felliniano tutti i personaggi si uniscono nel celebrare il genio dell’arte ed è un momento di grande intensità emotiva. Michieletto ci ha abituati ad aspettarcelo alla fine dei suoi spettacoli.