Calibano, l’Opera e il mondo
128 pagine, numero otto, novembre 2025
Lohengrin, l’invenzione del Medioevo
La persistente fascinazione esercitata dal Medioevo sull’immaginario contemporaneo appare difficilmente contestabile: un universo simbolico compatto, immediatamente riconoscibile, dotato di una forza evocativa che continua a nutrire letteratura, arti visive e musica. E tuttavia, l’immagine che ne conserviamo è in larga misura il prodotto di uno specchio deformante: la rilettura ottocentesca di quell’“età di mezzo” che il Romanticismo assunse a luogo privilegiato di proiezione ideologica ed estetica. L’Ottocento vi scorse non soltanto un repertorio formale – il gotico come stile architettonico e come categoria dello spirito – ma anche la nostalgia per una supposta unità europea perduta, capace di sedurre pensatori e poeti, primo fra tutti Novalis.
La riscoperta medievale aveva preso avvio in Inghilterra già negli anni Sessanta del Settecento, per poi consolidarsi in Germania attraverso romanzi storici e figure leggendarie che avrebbero profondamente influenzato l’immaginario musicale, ispirando Richard Wagner e non solo lui. È dunque di un Medioevo “inventato”, ricostruito e rifratto attraverso sensibilità moderne, che occorre parlare, più che di una sua restituzione storicamente neutra.
A questo tema è dedicato l’articolo di Elisabetta Fava che apre il nuovo numero di Calibano, uscito in concomitanza con Lohengrin, titolo inaugurale della stagione lirica del Teatro dell’Opera di Roma. “L’invenzione del Medioevo” costituisce il filo conduttore dei contributi di Giuliano Milani, Vanessa Roghi, Eloisa Morra, Francesca Scotti, Federico Canaccini, Sergio Pace, Valentina Pigmei e Renato Bordone, cui si affiancano due racconti di Carola Susan e Tommaso Pincio.
Di particolare rilievo la testimonianza di Francesco Filidei, compositore non solo de Il nome della rosa presentato al Teatro alla Scala, ma anche di lavori ispirati a un Medioevo immaginario come l’oratorio The Red Death e il Cantico delle creature per soprano e orchestra. Nel suo intervento Filidei affronta una questione eminentemente teorica e poetica: perché si canta nell’opera lirica.
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