Delitto al Conservatorio

Franco Pulcini, Delitto al Conservatorio

2019 Marcos y Marcos, 320 pagine

«Il pianoforte è un mostro che strilla quando gli tocchi i denti»

Senza scomodare Sherlock Holmes, Hercules Poirot, il commissario Maigret o il più recente commissario Montalbano, si può dire che la serialità sia congenita al genere letterario dell’indagine criminale. È con l’iterazione dei casi delittuosi e la diversa strategia risolutiva impiegata dall’investigatore che meglio si definiscono la personalità di quest’ultimo e l’ambiente in cui opera.

Non fa eccezione il personaggio di Abdul Calí, che già abbiamo incontrato in Delitto alla Scala e che ora ritroviamo in Delitto al Conservatorio, due territori che conosce bene l’autore Franco Pulcini il quale, oltre che musicologo e saggista, è stato insegnante al Conservatorio di Milano ed è direttore editoriale del Teatro alla Scala. Oltre che romanziere di successo.

Strutturato in un’aria con da capo e trenta variazioni (tante quante sono le “Goldberg”), questa volta ci spostiamo di pochi chilometri dal Teatro per entrare nel Conservatorio Giuseppe Verdi, anche se il delitto vero e proprio è avvenuto non molto distante da lì, al 26 di via Goldoni. Un maestro di pianoforte, definito da chi lo conosce bene «uno stronzo, intrigante, avido aguzzino», è stato ucciso in una maniera perlomeno originale: morso da un velenosissimo serpente tropicale fattogli recapitare direttamente in casa. Le indagini si svolgono nell’ambiente dei concorsi pianistici, in particolare del Piano World Cup–Prodigy Child, concorso pianistico internazionale per bambini prodigio, un’istituzione che è diventata un’industria che mette in moto pubblicità, televisioni, fabbriche di pianoforti, borse di studio, lauti guadagni. Una valanga di denaro insomma. Un concorso che è dominato dalla presenza di giovanissimi pianisti provenienti per lo più dall’oriente: una volta solo dalla Russia, poi dal Giappone, ora dalla Cina e dalle due Coree, paesi in cui la disciplina educativa si mescola ai desideri di rivincita nazionale e dove i genitori delle povere vittime «reincarnazioni del padre di Mozart, si sentono in dovere di ignorare lo sviluppo psichico del bambino, ogni sua autonomia e libertà di espressione in favore di una concentrazione assoluta sul pianoforte» da padroneggiare a scapito del mondo e anche di loro stessi. Cinque sono i finalisti del concorso e la favorita è la piccola Zi Ming-li, sette anni e un caratterino deciso, ma anche piena delle ingenuità e dolcezze di quell’età.

Fin da subito il caso si rivela di difficile soluzione, le tracce sono evanescenti e il movente sembra volersi attestare tra i soliti: gelosie e soldi, dove le gelosie sono sia professionali sia passionali. Molto altro non si può dire per non fare spoiler di una vicenda dal ritmo incalzante e dalle molte sorprese. Come per Montalbano, anche per Calí la ricerca dell’omicida si intreccia alla vita personale del commissario, che nel frattempo tra i due romanzi è convolato a nozze e ora è in attesa del primo figlio. Ma è soprattutto la descrizione di questo folle ambiente a destare curiosità nel lettore e a convincerlo che, come nel precedente Delitto alla Scala, motivazioni quasi impensabili per la gente normale possano scatenare furie omicide: se nel primo romanzo erano le invidie per la riscoperta di un capolavoro di Monteverdi dato per perduto, qui a far mettere in marcia il meccanismo sono le percentuali da attribuire ai partecipanti al concorso in base alle loro età così da premiare i più giovani rispetto a quelli che hanno avuto più tempo per studiare e maturare. Sulla discussione se sia più equo il 30% o il 15% o il 10% si innescano interessi internazionali, rivalità professionali e conseguenti ingenti movimenti di denaro. Pulcini intreccia con sapienza le vicende e condisce di arguzie musicali le pagine di lettura piacevole e intelligente che ti lasciano la voglia di iniziare il prossimo titolo, con un delitto alla scuola di ballo. Ma speriamo che la serie non si esaurisca lì.

Pubblicità