Charles-Antoine Leclerc de La Bruère

Dardanus

Jean-Philippe Rameau, Dardanus

★★★★☆

Bordeaux, Grand Théâtre, 5 giugno 2015

(live streaming)

Un Rameau poco conosciuto

Tre sono le versioni della terza delle cinque tragédie lyrique di Rameau arrivate a noi: alla prima rappresentazione del 19 novembre 1739 all’Académie Royale de Musique seguirono una versione ampiamente riveduta nel libretto dall’abbé Simon-Joseph Pellegrin che fu presentata nel 1744 come un lavoro nuovo e un ulteriore rimaneggiamento senza prologo nel 1760 quando finalmente riscosse il successo di pubblico meritato dal 74enne compositore fino a che il Dardanus (1784) di Antonio Sacchini non venne a occuparne il posto in repertorio. A Parigi ritornerà sulle scene solo nel 1979!

Dardanus è la proposta di Rameau per una nuova tragédie lyrique che combini intrigo amoroso, gusto del meraviglioso, dello spettacolare e del fantastico soprannaturale con formule armoniche che guardano al futuro.

Il discontinuo libretto di Charles-Antoine Leclerc de La Bruère, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, narra della figura mitologia di Dardano i cui discendenti fondarono Troia. Qui l’eroe è in guerra con il re Teucro, che ha promesso di dare sua figlia Ifisa in sposa al re Antenore. Grazie all’intervento del mago Ismenore, Dardano e Ifisa si possono incontrare e dichiararsi il reciproco amore. Un mostro sta devastando il regno di Teucro e quando Antenore lo affronta Dardano uccide la creatura. Antenore giura eterna riconoscenza all’eroe sconosciuto che gli ha salvato la vita il quale gli chiede solo di rispettare la scelta di Ifisa. Teucro e Dardano concludono la pace, che viene sancita dal matrimonio di Dardano con Ifisa e dalla sofferta rinuncia di Antenore.

Per questa produzione il trentunenne direttore Raphaël Pichon dirige il suo altrettanto giovane ensemble Pygmalion (coro e orchestra di strumenti antichi che prendono nome da un balletto di Rameau) nella versione originale del 1739 con l’aggiunta della meravigliosa aria «Lieux funestes» dell’edizione del 1744.

Nel Grand Théâtre di Bordeaux, prima del trasferimento dello spettacolo a Versailles, il regista Michel Fau mette in scena una rappresentazione che riprende i cliché dell’opera barocca ma in un gusto moderno. Né ricostruzione museale né attualizzazione, i due poli su cui ad esempio sono state realizzate le produzioni dell’Hippolyte et Aricie di Parigi e di Glyndebourne, bensì re-inventando l’opera come si sarebbe potuto fare nel XVIII secolo ma con riferimenti moderni, «proponendo una scenografia e dei costumi tradizionali – magnificamente realizzati da Emmanuel Charles e David Belogou – ma come noi oggi li concepiamo: colorati, stravaganti e tuttavia stilizzati. Restando fedeli all’assunto, ma sfasandolo utilizzando il procedimento del teatro nel teatro caro alla nostra epoca. La scena è una replica della sala dell’Opéra di Bordeaux con le sue colonne antiche, i capitelli corinzi e i palchetti dove prendono posto i coristi, spettatori e commentatori dell’azione. Utilizzando una gestualità non naturale e manierata in accordo col carattere eccezionale dei personaggi e delle situazioni. Accettando i balletti, la staticità dell’azione, le inverosomiglianze della vicenda. Rispettando la pulsione drammatica, le sue lentezze, le sue digressioni, senza però che si instaurino tempi morti […] La brillante dimostrazione non ha per limiti che l’opera stessa: la ciaccona finale è un’aberrazione teatrale che prolunga inutilmente lo spettacolo e impedisce che termini nel miglior modo possibile, con i due amanti finalmente riuniti sotto un piccolo tempio rosa confetto di un kitsch delizioso» (Christophe Rizoud).

Il risultato è apprezzabile: fondali e quinte dipinte nel gusto dell’epoca, così come i costumi, ricreano uno spettacolo godibile nonostante la lunghezza (più di tre ore di musica) e gli innumerevoli balletti dove anche il coreografo Christopher Williams rinuncia sia alla filologia sia ai passi della danza più moderna – niente breakdance o capoeira per intenderci – per affrontare una terza via.

Ottimo il cast formato da professionisti del barocco francese: ricordiamo almeno l’haute-contre belga Reinoud van Mechelen (la Francia non è mai arrivata a quella orrenda pratica della castrazione maschile per il divieto della chiesa cattolica alle donne di calcare le scene dei teatri italiani) nel ruolo titolare, Gaëlle Arquez come Iphise di statuaria tragicità, Florian Sempey nel più complesso Anténor che vince la sfida con le note più basse della tessitura di baritono nell’aria più famosa dell’opera, «Monstre affreux», Karina Gauvin, ironica Vénus sospesa tra cielo e terra, e infine Nahuel Di Pierro come Teucer e Isménor.

Il direttore Raphaël Pichon, lui stesso haute-contre, dimostra il suo amore per la partitura di cui esalta colori, vivacità e ricchezza armonica.

Pubblicità