Ernest Legouvé

Adriana Lecouvreur

Francesco Cilea, Adriana Lecouvreur

Bologna, Teatro Comunale, 10 marzo 2021

★★★☆☆

(video streaming)

Teatro, cinema, televisione per Adriana Lecouvreur

«La sala è riboccante» dice l’Abate. Invece la sala del Teatro Comunale di Bologna è desolatamente vuota. I teatri sono chiusi per la pandemia e lo spettacolo è realizzato a porte chiuse e senza pubblico. Ormai ci siamo abituati. Ma gli artisti sanno aguzzare l’ingegno nei momenti di crisi e volgono in opportunità quelle che sarebbero insostenibili limitazioni. Qui da noi l’aveva fatto Martone con il suo Barbiere all’Opera di Roma, prima ancora ricci/forte con il Marino Faliero al Donizetti di Bergamo: l’azione viene spostata in platea e nel resto del teatro.

Rosetta Cucchi fa ancora di più: inventa uno spettacolo che diventa film-opera, un qualcosa che acquista senso solo nella riproduzione televisiva. Ecco come la regista presenta la sua lettura del dramma di Cilea«Adriana Lecouvreur, Sarah Bernhardt, Greta Garbo e Catherine Deneuve. I quattro atti dell’opera diventano quattro spaccati di epoche diverse, con le muse che hanno ispirato il proprio tempo. Un omaggio al teatro e al cinema che si trasforma in un film per la televisione. La vera Adriana Lecouvreur ci racconta il primo capitolo della storia, in un retropalco della prima metà del Settecento. Nel secondo atto saltiamo all’Ottocento ed ecco che la storia si colora di toni più romantici: lei idealmente è una Sarah Bernhardt, tra le attrici che più hanno interpretato il ruolo di Adriana nella tragedia di Legouvé e Scribe. Nel terzo atto approdiamo agli anni ’20 del secolo scorso, dove il cinema entra prepotente nella società del tempo e i sentimenti sono filtrati da una macchina da presa. Tante sono le muse ispiratrici di quel periodo: da Yvonne Printemps, protagonista di uno dei primi film muti ispirati alla Lecouvreur, per arrivare a Greta Garbo o a Loïe Fuller. Nell’ultimo capitolo arriviamo agli anni ’70 del Novecento in una Parigi dominata dalla Nouvelle Vague: una sorta di diario intimo di una generazione nuova ma inquieta dove la nostra protagonista, che potrebbe ispirarsi ad Anna Karina o a Catherine Deneuve, si confronta con sé stessa e con l’immagine che il mondo ha di lei, come in un film di Jean-Luc Godard e in questo spazio vuoto trova finalmente la sua vera essenza».

Ecco quindi il primo atto ambientato nella Parigi del 1730, tra le quinte del teatro, dietro il sipario, nei corridoi, nei palchi. Per il concertato si fa ricorso a un teatro d’ombre in cui le figure a due dimensioni si parlano addosso palleggiandosi le battute: «Ti piace il disegno? … Mirabile! Ardito! … Di guerra partito! … Tranello d’amor! … Un gaio festino! … Cogliamo due tortore… senz’altro sospetto… e il dolce duetto… rimetter dovran… Di Marte di Venere… l’error si ripete… L’offeso Vulcan…» eccetera. Uno dei pochi momenti arguti del libretto del Colautti che non solo è terribilmente datato, ma anche poco adatto a essere messo in musica mettendo in difficoltà il compositore che veste con le sue frasi musicali una prosodia faticosa e così gli accenti cadono spesso sulle sillabe sbagliate o sugli articoli o sulle preposizioni.

Nel terzo atto siamo nel 1860 e vediamo in azione una principessa di Bouillon vestita come la Biancaneve di Walt Disney comportarsi altrettanto avventatamente. Gli anni folli della Parigi 1930 la trasformano invece in vamp del cinema muto e infatti è il cinematografo l’elemento caraterizzante questo atto, anche se con alcune incongruenze: L’arrivée d’un train en gare de La Ciotat dei Lumière che viene proiettato nel fondo è del 1896 e le esibizioni della Loïe Fuller ancora precedenti: nel 1930 la danzatrice era morta da due anni. La regista trasferisce il salone da ballo del principe di Bouillon in un Café Chantant e invece del balletto vediamo il numero di un acrobata precedere il monologo di Adriana la quale con le parole della Fedra di Racine («come fanno… | le audacissime impure, cui gioia è tradir») sfida la rivale che in cuor suo giura di vendicarsi. Ciò che accade nel quarto atto: siamo nel 1968, il più riuscito del suo allestimento. Adriana attrice esistenzialista, avvelenata da quelle stesse violette che aveva donato a Maurizio, muore delirando e immagina che sia lui quello tra le cui braccia si lascia andare, ma invece è lo sfortunato Michonnet mentre Maurizio è vestito con il costume settecentesco del primo atto e la voce viene da lontano. Qui il mezzo cinematografico è utilizzato al meglio: le dissolvenze tra un personaggio e l’altro non si sarebbero potute realizzare su un palcoscenico. Efficace risulta il lavoro di Tiziano Santi per le scenografie, Claudia Pernigotti per i costumi e Daniele Naldi alle luci.

L’ultima Adriana Lecouvreur a calcare il palcoscenico del Teatro Comunale è stata Mirella Freni nel 1993. Prima c’era stata Raina Kabaivanska (1982) e prima ancora Magda Olivero (1956). A interpretare ora la tragédienne della Comédie-Française, e a debuttare nel teatro bolognese, è Kristine Opolais in questa produzione che, cancellata nel maggio 2020, viene ora ripresa, riadattata e trasmessa in streaming dalla RAI. Le Adriane più notevoli del passato sono state tutte italiane, ma il soprano lettone non sfigura affatto nel confronto e riesce a primeggiare anche nella recitazione, tirando fuori un’ottima dizione. La Opolais frequenta spesso Puccini e si trova a suo agio in questo lavoro di Cilea che esalta il carattere della protagonista a cui è legato il fascinoso tema dalle volute liberty che l’accompagna per tutta l’opera.

Personaggio abbastanza inconcludente è quello di Maurizio, che qui pesta inavvertitamente il copione dell’attrice e poi si barcamena goffamente tra le due donne infatuate di lui. Luciano Ganci non fa molto per rendere il personaggio più empatico, ma il libretto e la tessitura a cui è costretto da Cilea non sono certo di aiuto. All’opposto Nicola Alaimo, senza diventare patetico, delinea un Michonnet umano e sensibile. Nel caso di Veronica Simeoni il confronto con le principesse di Bouillon del passato non gioca a suo favore, ma bisogna darle atto di aver tentato una strada nuova.  Inascoltabile il Principe di Romano dal Zovo e vocalmente usurato l’Abate di Gianluca Sorrentino.

Asher Fisch sul podio dell’orchestra del teatro è più convincente nei momenti più strumentali della partitura che non nella concertazione delle voci. Ma anche qui mi sa che la colpa sia del compositore.

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Adriana Lecouvreur

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★★★★☆

Due star del momento nell’opera di Cilea

Di umili origini, Adrienne Couvreur debuttò ne Le Cid di Corneille con tale successo da farla poi entrare alla Comédie-Française. Nel frattempo al cognome era stata aggiunta la particella Le per dare il tono di nobiltà che mancava. Amante di Maurizio di Sassonia e rivale in scena della Duclos, la sua morte prematura nel 1730 fece correre in giro la voce che fosse stata avvelenata da una sua antagonista in amore, la duchessa di Bouillon.

Atto primo. Parigi, 1730. Nel foyer della Comédie Française gli attori si preparano ad andare in scena. La Jouvenot, in vesti orientali, dà gli ultimi tocchi all’acconciatura mentre la Dangeville, adagiata su un canapé, è già diventata la civettuola Lisetta diFollie d’amore. Vicino a un caminetto, sormontato dal busto di Molière, Quinault sta indossando un sontuoso turbante; a un tavolo da gioco, in costume da Crispino, Poisson controlla il trucco in uno specchio. Confuso tra comparse, macchinisti e servi di scena, Michonnet si sposta trafelato dall’uno all’altro attore, esaudendo ogni capriccio. Nel trambusto non passa però inosservato l’ingresso del principe di Bouillon, «il mecenate della Duclos», accompagnato dall’abate Chazeuil, «il ninnolo della moglie», generosi di galanterie. Intanto, da una porta laterale, con il copione tra le mani, appare la Lecouvreur negli abiti orientali della Rossana delBajazet: «splendida, portentosa, musa, diva, sirena» esclamano gli uomini. Le donne voltano dispettosamente le spalle. Lei, con sprezzatura da primadonna, si schermisce (“Io son l’umile ancella”) e si apparta con Michonnet, che tenta invano di rivelarle il suo amore. Adriana è distratta da ben altri pensieri: la recita che l’aspetta e un «semplice alfiere», appena ritornato dalla guerra, sotto cui si cela il conte Maurizio di Sassonia. Inaspettatamente il giovane raggiunge Adriana nel foyer e con una dichiarazione appassionata (“La dolcissima effigie”) ottiene un appuntamento al termine della rappresentazione. In pegno l’attrice gli dona le violette che ha appuntato sul seno. Ma dietro le quinte si tessono trame diverse. Intercettato un biglietto della Duclos con un invito a Maurizio per la serata, il principe decide di smascherare l’amante organizzando una festa nel villino di sua proprietà scelto per il convegno. Ignora che non la sua protetta ma sua moglie ha scritto al conte di Sassonia, sempre pronto a rispondere ai richiami della principessa per nobili ragioni di Stato. Così dopo lo spettacolo, dove Adriana trionfa nonostante il dolore per l’improvviso diniego di Maurizio, tutti si dirigono al ricevimento, ciascuno seguendo i propri percorsi.
Atto secondo. Il ‘nido’ della Duclos alla Grange Batelière. Seduta a un tavolino, nel chiarore lunare che dalla Senna attraversa il giardino e si diffonde nel salotto, la principessa di Bouillon aspetta trepidante il conte Maurizio (“Acerba voluttà”), che si presenta in ritardo e con violette profumate tra i bottoni. Soltanto l’offerta del mazzetto convince la scomoda amante a mettere da parte i sospetti per concentrarsi sulle questioni importanti. Le notizie sono negative: nemici potenti contrastano l’ascesa del conte al trono di Polonia e vogliono l’arresto del pretendente. Maurizio progetta di fuggire, la donna, gelosa, lo trattiene. Il giovane implora comprensione (“L’anima ho stanca”) ma, a rendere più difficile il distacco, arriva inaspettato il principe, convinto di avere colto in flagrante la Duclos. Fortunatamente la principessa riesce a nascondersi e l’imbarazzo si spegne in una complice stretta di mano tra i due uomini. Intanto, mentre Chazeuil dispone per la cena, Adriana incontra, felicemente sorpresa, il suo alfiere, che le si mostra nella vera identità. I due si scambiano nuove promesse d’amore, di brevissima durata. Il maligno abate rivela alla Lecouvreur l’esistenza di un’altra donna, lasciandole intendere che si tratta della rivale Duclos. Maurizio non ha bisogno di fare appello ad arti seduttorie per convincere Adriana della propria buonafede: la donna desidera a tal punto credergli che si offre di aiutarlo. E sarà lei, in incognito, a liberare dal nascondiglio l’«amante per politico disegno», favorendone la fuga attraverso il giardino. L’incauta principessa perde però un braccialetto, che finisce fatalmente nelle mani di Adriana.
Atto terzo. La galleria dei ricevimenti al palazzo di Bouillon. Alle pareti specchiere e grandi ritratti, nel centro un palcoscenico con il sipario abbassato. Mentre i valletti completano i preparativi per una nuova festa, la principessa di Bouillon, in abito da gran gala, si aggira per la sala inquieta. La sua ignota salvatrice si è trasformata nel suo tormento: chi sarà? Maurizio l’amerà come lei dice? Nemmeno le facezie dell’abate riescono a placare la sua ansia e quando la Lecouvreur, ospite d’onore della serata, fa il suo ingresso in sala, la principessa ha un cattivo presentimento. Senza esitare, gli occhi fissi su Adriana, racconta di un duello in cui Maurizio sarebbe stato ferito e le sue illazioni trovano conferma. L’attrice scolora, perde le forze, ma poco dopo, vedendo l’ignaro e sorridente Maurizio, è a sua volta assalita dai dubbi: la principessa è forse la fuggitiva? Su richiesta dei presenti, il conte è costretto a esibire le sue prodezze militari (“Il russo Mencikoff”) prima che il principe annunci il balletto: un ‘Giudizio di Paride’ corredato di dee e di amorini, di ninfe e di pastori frigi con consegna rituale della mela alla padrona di casa. Alle squisitezze mitologiche gli invitati sembrano però preferire i segreti dell’alcova: a chi erano destinate le violette? Di chi è il bracciale trovato in giardino? Ingenuamente, Adriana e la principessa alimentano i pettegolezzi, la prima declamando un monologo di Fedra in cui si accusano «le audacissime impure, cui gioia è tradir», la seconda raccogliendo la provocazione e giurando, in cuor suo, vendetta.
Atto quarto. Un salottino di casa Lecouvreur al tramonto di un giorno di marzo. Michonnet, amico fedele, è venuto a trovare Adriana. Incapace di reggere agli intrighi e ai tradimenti, delusa e sfiduciata, l’attrice ha deciso di abbandonare le scene e passa il tempo a letto, avvolta da una cupezza che nessuno riesce a rischiarare. Una sola medicina potrebbe guarirla: Maurizio. Per questo Michonnet, vincendo le proprie resistenze, lo manda a chiamare. Anche i soci della Comédie non si rassegnano a perdere la loro primadonna e irrompono in casa sua festosi e carichi di doni. A poco a poco Adriana si lascia contagiare dall’allegria dei colleghi e promette che tornerà a recitare. All’esultanza degli amici si unisce anche la cameriera, che porta alla Lecouvreur un cofanetto di velluto cremisi appena recapitato. Il biglietto che lo accompagna è del conte di Sassonia. Nascondendo l’emozione, l’attrice distrae gli amici e si precipita verso il regalo: lo scruta, lo apre e d’improvviso, colta da malore, vacilla. Michonnet, che le è rimasto vicino, la soccorre e crede di capire: nella scatola, restituite al mittente, ci sono le violette. Adriana si dispera (“Poveri fiori”), ne annusa a lungo il profumo, poi le getta con rabbia nel caminetto. Intanto Maurizio, che non ha inviato alcun cofanetto ma ha subito risposto all’appello di Michonnet, entra nella stanza. È evidente che Adriana soffre. Lui le chiede perdono, la prega di sposarlo, si abbracciano. Ma la fine che li aspetta è diversa da quella che per un attimo hanno sognato. Il volto terreo, le pupille sbarrate, il corpo percorso da tremori, Adriana comincia a vaneggiare e poco dopo muore tra le braccia di Maurizio, vinta da quelle violette che qualcuno, forse la principessa di Bouillon, aveva avvelenato.

Queste stesse vicende costituiscono la trama dell’opera, su libretto di Arturo Colautti e tratto dall’omonimo dramma di Scribe e Legouvée, che Francesco Cilea presentò con enorme successo nel 1902 a Milano con interpreti quali Angelica Pandolfini ed Enrico Caruso. Da allora la fortuna dell’opera non è mai scemata grazie soprattutto alla parte della protagonista cui hanno dato voce le più grandi dive del canto del secolo scorso, pri­ma fra tutte la preferita da Cilea stesso, Magda Olivero che ne fece il suo rôle fétiche.

Ultima nel tempo è l’Angela Gheorghiu che troviamo in questa edizione del 2010 della Royal Opera House, teatro in cui il soprano romeno è di casa. Non tanto nella prima celeberrima aria – sono troppi i confronti – quanto nel prosieguo dell’opera la cantante dà corpo al suo personaggio e ne rende con grande talento la verità. La voce sontuosa si piega a esprime­re le sfaccettature della parte mentre la recitazione è giustamente manie­rata, da autentica tragédienne. Se la produzione ruota attorno alla presenza della star femminile, non è da meno la scelta del ruolo maschile. Fin dal primo istante in cui letteralmente balza in scena, Jonas Kaufmann suscita, meritatamente, l’entusiasmo del pubblico londinese con la sua baldanza, la sua eccezionale presenza scenica, lo smalto e lo squillo della voce. Di ottimo livello gli altri interpreti, soprattutto Alessandro Corbelli come Michonnet. Sul podio Mark Elder non lesina sugli effetti richiesti da una partitura che ricorda Wagner e Puccini.

Forse intimorito da un’opera che non conosceva e che ritornava per la prima volta nel teatro londinese dopo un secolo di assenza, McVicar non propone audaci attualizzazioni e si comporta come forse uno Zeffirelli si sarebbe comportato in questo caso: scenografie barocche, teatro nel teatro, sfarzosi costumi d’epoca, dettagli preziosi e definizione psicologica, per quanto si può fare in un’opera come questa, dei personaggi. La sua è una regia che anche il melomane più conservatore apprezzerebbe senza riserve. Ma non mancano sottigliezze nella sua messa in scena, quali ad esempio l’ultimo omaggio all’attrice morta da parte degli attori della compagnia

Durante gli applausi finali invece di fiori vengono lanciati dei peluche che i due protagonisti divertiti sembrano apprezzare molto. Come extra un “All about Adriana” con interessanti interventi degli artisti coinvolti. Mancano i sottotitoli in italiano.