Ernst von Wolzogen

Feuersnot

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★★★★☆

Till Eulenspiegel alla Vucciria

A sipario aperto sul palcoscenico si presenta Kunrad con dei fogli di musica che sta vergando e che lascia cadere nella buca orchestrale ancora vuota. Giocolieri, acrobati, una sorridente coppia di sposi che sembra uscita da un film di Fellini e tante altre figure riempiono la scenografia di Carmine Maringola che ha al fondo una facciata di casa popolare e in alto decine di sedie appese. Nel frattempo i professori d’orchestra hanno preso posto e accordano gli strumenti. Così inizia lo spettacolo allestito da Emma Dante nel 2014 al Teatro Massimo nella ricorrenza dei 150 anni dalla nascita del compositore.

Feuersnot è la seconda delle quindici opere di Richard Strauss. La prima, Guntram, era stata un fiasco a Monaco e per risollevarsi dalla delusione il compositore si era interessato alla leggenda della città belga di Audenaerde (Oudenaarde in fiammingo) riportata in un’antica novella medievale con la scenetta boccaccesca dell’amante sospeso in un cesto a mezz’aria e additato al pubblico ludibrio. Con questa nuova opera il compositore si vendicava sferzando i suoi concittadini per le critiche ricevute. «Weil er vom Ort gebürtig wär, meint ihr, | wär’s net weit mit ihm her» (E sol perché tra queste mura è nato, ad ognuno un gaglioffo egli è sembrato) dice a un certo punto uno dei personaggi.

Strauss aveva affidato la scrittura del libretto a Ernst von Wolzogen – Guntram invece se l’era scritto lui stesso – con rime in vernacolo bavarese, allitterazioni, versi ammiccanti e doppi sensi: lo stesso titolo, che letteralmente significa ‘penuria o urgenza di fuoco’, può alludere ai “Fuochi di San Giovanni”, sottotitolo con cui infatti fu presentata in italiano alla Scala nel 1912 sotto la bacchetta di Tullio Serafin, ma anche ‘bisogno d’amore’.

Nella città di Monaco si prepara la festa per il solstizio d’estate. I bambini passano di casa in casa a chiedere legna per i tradizionali fuochi della notte di San Giovanni. Mentre Dietmut e le sue amiche cantano ed offrono doni ai piccoli, esce da un’abitazione abbandonata il ‘mago disadattato’ Kunrad. Innamoratosi della figlia del borgomastro, la bacia in pubblico; punta sul vivo, Dietmut decide di farlo pentire dell’impertinenza e per dispetto rifiuta di partecipare alla festa. Mentre è sola nella sua cameretta, e già si rammarica del suo colpo di testa, sopraggiunge nuovamente Kunrad. Dietmut finge di assecondare le sue ardenti profferte e gli cala un cesto, in cui fiducioso il giovane si infila pensando di venire issato fino alla finestra dell’amata. Scatta invece la ripicca di Dietmut, che lascia penzolare il cesto a metà strada, esponendo Kunrad ai frizzi dei monacensi che accorrono per godersi lo spettacolo. Furibondo, Kunrad maledice l’insensibilità degli abitanti di Monaco e, con un sortilegio, spegne tutti i fuochi della città. Al solo chiarore della luna, Kunrad improvvisa un nutrito fervorino, concludendo col dire che le luci potranno riaccendersi solo se nei cuori si accenderà il vero amore («Feuersnot! Minnegebot!» aveva solennemente enunciato prima); biasimata dagli onesti e spaventatissimi monacensi, e in cuor suo pentita per la propria durezza, Dietmut accetta di accogliere Kunrad nella propria camera, mentre i concittadini, tornata la luce, riprendono la festa con rinnovata allegria.

Inutile dire che la vicenda era troppo osé per la consorte dell’imperatore Guglielmo II e la censura prussiana ne impedì la rappresentazione a Berlino. La prima avvenne a Dresda il 21 novembre 1901. Il pubblico, tra cui c’erano i coniugi Mahler, decretò un successo entusiastico al lavoro. Gustav Mahler lo includerà nella programmazione della Hofoper di Vienna l’anno dopo. Il solito Hanslick criticò l’eccesso di modulazioni e richiese ironicamente la protezione per dei fanciulli impegnati in cori così onerosi.

Strauss fu confortato dal successo e da allora intraprese con più fiducia la sua carriera di compositore per il teatro emancipandosi sempre più dal venerato maestro Wagner, agevolato in questo dall’incontro con Hugo von Hofmannsthal che gli scriverà i testi delle sue opere migliori.

Strauss in questo atto unico cita episodicamente Wagner: «nel sermone di Kunrad interviene il tema del Walhalla, mentre il duetto “Mitsommernacht! Wonnige Wacht!” [notte di mezza estate, veglia di piacere] è, persino dal punto di vista verbale, un calco disinvolto e provocatorio del Tristano (1); già nella parte iniziale dell’opera, quando il bottaio racconta la leggenda della casa disabitata, infestata tempo addietro da un temibile gigante, viene testualmente inserito il tema di Fafner. Quest’ultima citazione sboccia però nel clima festosamente folcloristico che domina l’opera, dal momento che si sovrappone a un antico canto popolare di Monaco: fa sempre capolino un quid ironico, destinato a scomparire nei due successivi lavori ‘espressionistici’ [Elektra e Salome], ma richiamato in vita a partire dal Rosenkavalier. Il personaggio di Kunrad introduce nella freschezza popolaresca della partitura una reviviscenza di toni wagneriani, abilmente miscelati con il piglio ardito che aveva già connotato Don Juan e che dieci anni più tardi sarebbe valso a designare Octavian». (Elisabetta Fava)

E ancora: l’irrisione delle ‘tre amiche’ nei confronti del povero innamorato spenzolante non può non richiamare alla mente quella delle tre figlie del Reno contro Alberich all’inizio di Rheingold – ma anche le tre dame del Flauto magico – e la chioma di Diemut invocata da Kunrad l’analoga scena del Pelléas di un anno dopo.

Nella prima regia operistica nella sua città, Emma Dante decide di ambientare questo Singgedicht (poema cantato) non nella Monaco medievale (2), ma in una Palermo anni ’50. Gli attori della Compagnia degli Illuminati riempiono con la loro gestualità e sensualità la scena, interagendo con i personaggi. Magnifico il momento dell’incontro dei due giovani con i figuranti distesi a terra in semicerchio che agitano drappi rossi e arancione a simulare il fuoco (dell’amore) che finalmente si è riacceso o ancora il finale, in cui la musica si fa quasi orgiastica e in scena è tutto un tripudio di colori e movimenti. Nella lettura della Dante il fuoco di cui si sente la mancanza è anche una terza cosa: è la musica stessa offerta a noi e ai cittadini e Kunrad è Strauss stesso.

I due impervi ruoli principali sono affidati alla sicura tecnica di Dietrich Henschel e Nicola Beller Carbone. Anche gli altri 14 personaggi hanno ottimi interpreti, ma è soprattutto lo sterminato coro di voci bianche e stupire per la sua bravura in un paese, il nostro, in cui ai bambini viene negato un valido insegnamento della musica. Più che adeguato il coro adulto mentre Gabriele Ferro domina la difficilissima partitura senza sbavature.

Il DVD ArtHaus ha sottotitoli in tedesco, inglese e coreano. Sì, niente italiano. Se al teatro Massimo va bene così, che dire?

(1) Poco prima nel libretto viene citata anche una pozione d’amore.

(2) «La scena rappresenta la via Sentlinger a Monaco di Baviera, con vista sulla Porta della Città. L’architettura dovrà essere di stile medievale primitivo, spinta, possibilmente al grottesco. Lo stesso dicasi dei costumi. (Carattere fondamentale: Secolo XII)» prescrive il libretto nella traduzione italiana di Ottone Schanzer.

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