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Antonio Vivaldi, Orlando furioso
Ferrara, Teatro Comunale, 5 aprile 2024
(diretta streaming)
Vivaldi a Ferrara col suo Orlando
Come se volesse farsi perdonare la faccenda del Farnace (1), Ferrara negli ultimi tempi ha cercato di recuperare con Vivaldi grazie alle cure di Federico Maria Sardelli. Sommo conoscitore dell’opera del veneziano, il musicologo e direttore negli ultimi tre anni ha eseguito qui al Teatro Comunale di Ferrara una trilogia vidaldiana composta da Farnace, appunto, Catone in Utica e ora Orlando Furioso, tutti e tre spettacoli con la messa in scena di Marco Bellussi. Per di più questa di Ferrara è una ghiotta occasione per vederlo prima di Bayreuth, essendo una coproduzione con Fondazione Teatro Comunale di Modena, Daegu Opera House e Bayreuth Baroque Opera Festival. Il lavoro di Vivaldi va in scena nella nuova edizione critica Ricordi a cura di Federico Maria Sardelli e Alessandro Borin. Che poi il librettista dell’Orlando furioso, Grazio Braccioli, sia ferrarese e che l’Ariosto abbia scritto il suo capolavoro e sia morto proprio qui, aggiunge quel di più alla vicenda che lega l’opera a questa città.
Diviso nei classici tre atti con due intervalli, e non due parti e un solo intervallo com’è in voga oggi, lo spettacolo comprende la quasi totalità dei numeri previsti a parte il terzo atto che viene molto sforbiciato e che qui dura solo 35 minuti – in confronto ai 65’ del I atto e ai 55’ del II. Questa edizione di Sardelli/Borin è diversa dalla precedente edizione eseguita da Fasolis che aveva modifiche nel terzo atto per ampliare la parte di Orlando. Sardelli invece rispetta il libretto originario e la successione degli eventi e delle arie e concerta con la solita vivacità alla testa dell’orchestra barocca Accademia dello Spirito Santo con il suo stile storicamente informato. «L’organico strumentale prevede due cembali, tipico della struttura teatrale barocca; evitiamo certi strumenti che oggi sono di moda nella pratica barocca contemporanea, come le chitarre e gli arciliuti, ma che al tempo di Vivaldi, intorno al 1727 non erano più in uso, tanto più in teatro. Questa operazione di recupero filologico sicuramente andrà a favore dell’ascolto e della piacevolezza», ha dichiarato Sardelli e in effetti il suono offerto dall’orchestra è pulito e preciso e i tempi adottati mai estremizzati. Interessante l’affidamento di certi ruoli: nell’originale il personaggio eponimo era un contralto en travesti e qui Sardelli utilizza un controtenore; Medoro e Ruggiero erano due castrati contraltisti mentre ora sono rispettivamente un contralto donna en travesti e un controtenore. Regolari invece le altre voci con Angelica soprano, Alcina e Bradamante contralti e Astolfo basso.
Yuriy Mynenko è un Orlando di solida presenza scenica, bel timbro e grande estensione sfoggiata con agio nella sua prima famosissima aria «Nel profondo cieco mondo». Tocca a lui terminare il secondo atto con un’acrobatica «Ho cento vanni a tergo» di grande intensità mentre nel terzo rende efficacissima la scena della pazzia del personaggio con ariosi e recitativi di alta drammaticità. Arianna Vendittelli, unico soprano dell’opera, è un’Angelica volitiva e dalla voce luminosa che incanta fin dall’aria «Un raggio di speme» con cui si apre l’opera. L’Alcina di Sonia Prina è personaggio a tutto tondo che il contralto magentino rende del tutto simpatico con la sua ironia e una vocalità calda anche se talora un po’ in affanno. La dolcezza di emissione in «Sol da te mio dolce amore» è la qualità massima del Ruggiero di Filippo Mineccia ma la scelta registica non gli rende il massimo dei favori. Si veda per contrasto lo stesso momento come la regia di Ceresa nell’Orlando veneziano del 2018 esalti l’intervento di Carlo Vistoli. Chiara Brunello (Medoro), Loriana Castellano (Bradamante) e Mauro Borgioni (Astolfo) concludono un cast di qualità.
Come s’è detto anche questo terzo Vivaldi ferrarese è affidato a Marco Bellussi che con lo scenografo Matteo Paoletti Franzato e il gioco luci di Marco Cazzola ricrea un palazzo di Alcina astratto e minimalista: «Lo spettacolo – spiega il regista – asseconda le dinamiche distorsive del dramma e per questo ho deciso di puntare su un solo potente elemento, lo specchio. Le pareti del palazzo sono dunque specchio e specchio è anche il soffitto della reggia. Ne deriva che tutto ciò che in essa avviene può essere realtà o riflesso distorto della stessa. Accade quindi che la piccola società dei nostri personaggi reagisca di riflesso ai condizionamenti di una molteplicità destabilizzante di prospettive, dando vita ad una commedia in cui tutti, più o meno consapevolmente, sono mossi dalle loro passioni in una condizione di insicurezza e provvisorietà». Il risultato è però l’effetto di un acquario, effetto esaltato dalla presenza di un velario che separa dal pubblico quel che avviene sul palcoscenico e serve da schermo a proiezioni liberamente interpretabili. I costumi di Elisa Cobello mescolano le epoche storiche col presente: Angelica è vestita in un bianco abito da sposa fin dalla prima scena; Alcina sfoggia outfit in lamé e una parrucca argento; Medoro un completo rosso che funziona sia da maschio che da femmina; Ruggiero e Orlando costumi d’epoca. Con pochi mezzi il regista Bellussi ha ottenuto un allestimento sì efficace ma totalmente privo degli elementi fiabeschi della vicenda.
(1) Quando Vivaldi concluse il Farnace nel 1727 era un compositore all’apice della sua notorietà, il che non impedì però che nel 1739 gli fosse impedito dal Cardinale Tommaso Ruffo di recarsi a Ferrara per la ripresa dell’opera, adducendo motivi di morale per la condotta considerata un po’ troppo spregiudicata, anche per quei tempi, di un religioso che non celebrava la messa, bazzicava i teatri e aveva una relazione forse non platonica con una sua pupilla, «la sig. Anna Girò», la sua prima Tamiri. Per la produzione del Farnace Vivaldi aveva dato fondo a tutte le sue risorse in quanto anche impresario e allestitore. Il divieto ebbe effetti drammatici sulla vita del compositore che per rientrare nei debiti partì per Vienna per cercare fortuna con gli esiti che sappiamo: la morte dell’imperatore Carlo VI aveva portato alla chiusura per lutto di tutti i teatri e lasciato Vivaldi senza protezione imperiale e senza fonti di reddito, tanto che vi morì di miseria dopo nemmeno un anno dal suo arrivo.
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