Farnace

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★★☆☆☆

Allestimento semi-scenico e monco dell’opera di Vivaldi

Lo stesso Michael Talbot, il maggior studioso di Vivaldi, si dimostra ben contento di smentire le sue fosche previsioni. Nel suo saggio del 1978 scriveva infatti: «La deludente accoglienza toccata alle recenti produzioni teatrali dell’Olimpiade, della Fida Ninfa e della Griselda lascia pensare che una riesumazione delle opere vivaldiane nella loro forma originale difficilmente potrà avere successo». Trent’anni dopo invece lo studioso inglese sottolinea il gran numero di rappresentazioni in forma scenica: «Oggi non resta più una sola [opera del compositore veneziano] che qualcuno non abbia messo in scena da qualche parte». In effetti tra Europa e Australia sono parecchie le riprese delle venti opere rimasteci delle tante scritte dal prete rosso. Soprattutto all’estero. Non che in Italia manchino direttori specializzati nell’opera barocca: Rinaldo Alessandrini, Giovanni Antonini, Fabio Biondi, Ottavio Dantone, Alessando De Marchi, Diego Fasolis, Andrea Marcon, Federico Maria Sardelli (per citarne solo alcuni in stretto ordine alfabetico) sanno tener testa ai vari William Christie, Christopher Hogwood, René Jacobs, Marc Minkowski, Christophe Rousset e Jean-Christophe Spinosi. Ma il problema è che questi direttori italiani dirigono perlopiù oltralpe.

Un’eccezione è questo Farnace diretto da Federico Maria Sardelli, presentato al Maggio Musicale di Firenze nel 2013. L’anno prima l’opera di Vivaldi era andata in scena a Strasburgo con le invadenti coreografie di Lucinda Childs e la direzione di George Petrou (un altro giovane specialista della musica del Settecento) e una precedente edizione è quella su CD di Diego Fasolis (1), la migliore di tutte.

Del Farnace il compositore ha curato ben sette edizioni diverse. A ogni replica venivano fatte delle modifiche, così che abbiamo le seguenti diverse versioni: febbraio 1727 debutto al Sant’Angelo, Venezia; autunno 1727 ripresa al Sant’Angelo; 1730 Praga; 1731 Pavia; 1732 Mantova; 1737 Treviso; 1738 Ferrara. Solo le edizioni di Pavia e di Ferrara ci sono rimaste. (2)

Atto I. L’azione è ambientata nella città greca di Heracleia, durante la conquista romana dell’Anatolia. Farnace, re del Ponto, è il figlio e successore di Mitridate. È stato sconfitto in battaglia dai Romani ed è assediato a Heracleia, la sua ultima roccaforte. Per evitare che cada nelle mani dei suoi nemici, ordina a sua moglie, Tamiri, di uccidere il figlio e di suicidarsi. La madre di Tamiri, Berenice, regina di Cappadocia, odia Farnace e collude con il vincitore romano, Pompeo, per ucciderlo. Berenice e gli eserciti di Pompeo attaccano Heracleia, ma Farnace riesce a fuggire. Berenice impedisce a Tamiri di uccidere suo figlio e si suicida, come aveva ordinato Farnace. Ma l’arrivo delle truppe di Pompeo aggrava il clima di odio. Selinda, la sorella di Farnace, è tenuta prigioniera dal romano Aquilio che è innamorato di lei, così come Gilade, uno dei capitani di Berenice. Selinda gioca una contro l’altra nel tentativo di salvare suo fratello.
Atto II. La rivalità tra Gilade e Aquilio si intensifica, favorendo i piani di Selinda che in realtà intende respingerli entrambi favorendo suo fratello Farnace. Berenice ordina la cattura di Farnace che sta per suicidarsi credendo che sua moglie e suo figlio siano già morti. Ma Tamiri appare e gli impedisce di uccidersi. Berenice ordina la distruzione del luogo dove si trovava Farnace, ma lui riesce a nascondersi. Poi trova sua figlia, Tamiri, e suo nipote. Tamiri implora la madre di avere pietà, ma Berenice ripudia la figlia e prende il ragazzo con sé. Al palazzo reale, Selinda chiede aiuto a Gilade e, dopo aver ottenuto i suoi favori, offre questo aiuto a Farnace che era entrato clandestinamente nel luogo. Ma Farnace non accetta l’offerta. Gilade e Aquilio insistono con Berenice, difendendo la sopravvivenza del loro nipote ed erede. Ma la sua custodia è lasciata ad Aquilio per ordine di Pompeo.
Atto III. Sulla pianura di Heracleia, Berenice e Gilade sono raggiunti da Pompeo e Aquilio che guidano le truppe romane. Berenice chiede a Pompeo che il figlio di Farnace sia ucciso, offrendo al romano la metà del suo regno. Tamiri fa la stessa offerta in cambio della vita di suo figlio. Selinda ottiene da Gilade la promessa di uccidere Berenice nello stesso momento in cui ottiene da Aquilio la promessa di uccidere Pompeo. Aquilio e Farnace, travestito da guerriero, appaiono contemporaneamente a Pompeo con lo scopo di ucciderlo. L’azione fallisce e Pompeo interroga il guerriero che gli è apparso accanto senza sospettare che si tratti di Farnace. Berenice entra in scena e rivela l’identità di Farnace che viene arrestato e poi rilasciato da Gilade e Aquilio. Entrambi cercano di uccidere Berenice perché la considerano eccessivamente crudele. Ma la regina di Cappadocia viene salvata dal generale romano, che si mostra clemente. La clemenza di Pompeo convince Berenice a dimenticare il suo odio per Farnace e la regina, dicendo che la sua rabbia è placata, abbraccia Farnace come se fosse suo figlio. È il tradizionale lieto fine e tutti vengono risparmiati.

Il terzo atto dell’opera nell’edizione del 1738 è andato perduto ed è generalmente rimpiazzato da quello della versione del 1731. Non in questa produzione fiorentina, affidata a Federico Maria Sardelli e Marco Gandini, perché il maestro Sardelli si dichiara «contrarissimo a questa pratica […] alla fine del secondo atto sentirete, ci siamo permessi io e il regista, un’integrazione fuori dalla musica. Finito l’atto con il duetto finale amoroso tra Selinda e Aquilio, c’è un piccolo recitativo parlato, quindi registrato e parlato, quello si capisce che è un corpo estraneo. Finito il frammento io finisco con un’aria della versione del 1727 del Farnace, “Gelido in ogni vena scorrer mi sento il sangue”, perché la ritenevo un’aria bellissima da fare ascoltare e poi lascia l’idea che il dramma, comunque, nella versione in cui lo facciamo rimane incompleto, rimane insoluto e Farnace rimane nel suo rimorso di aver fatto uccidere suo figlio». Sarà. Nonostante la bellezza di sette versioni qui non ne abbiamo una intera, ma solo due terzi. E come è stata inserita la sublime aria della versione del ’27, si poteva benissimo introdurre il terzo atto della versione del ’31 o tutti e due come fa Fasolis.

Veniamo così privati del «Sposa afflitta e madre offesa» di Berenice; del dolcissimo «Forse, o caro, in questi accenti» di Tamiri;  «Sorge l’irato nembo» di Farnace; «Son vaghi gl’allori» di Gilade; «Ti vantaste mio guerriero» di Selinda; del concitato quartetto «Io crudele?» e dell’ineffabile coretto finale «Coronata di gigli e di rose».

Il ruolo del protagonista titolare ai tempi di Vivaldi è stato ricoperto di volta in volta da un soprano, da un tenore e da un castrato. Qui abbiamo il mezzosoprano Mary-Ellen Nesi, che nelle altre edizioni impersonava invece la sua acerrima nemica Berenice. In abito da sera e senza alcun segno maschile che la distingua dalle altre donne, così come Gilade, ci introduce in una vicenda quasi tutta al femminile. Mary-Ellen Nesi è più convincente altrove come Berenice: il volume di voce non è sempre adeguato nelle arie di furore e si scontra con quello di Tamiri, una Sonia Prina perfettamente a suo agio in questo repertorio, grande attrice e interprete di grande musicalità. Il Gilade di Roberta Mameli è gratificato da un pezzo di bravura «Quell’usignolo che innamorato» (autoimprestito dall’Oracolo in Messenia) in cui il soprano romano ha saputo eccellere nelle agilità e nei colori di quest’aria imitativa, e di un altro stupefacente pezzo, «Nell’intimo del petto», con due corni obbligati per cui Vivaldi ha scritto queste dettagliate e inusuali istruzioni: «Questo pedale [di sol] deve essere tenuto senza interruzione e i due corni dovranno suonarlo sempre in unisono e piano per permettere di prendere fiato di tanto in tanto». La vendicativa suocera di Farnace, Berenice, ha avuto in Delphine Galou un’interprete convincente. Infine, Loriana Castellano, Selinda, pur privata della deliziosa «Al vezzeggiar di un volto» dell’atto primo, si è immersa totalmente nella parte della principessa in catene col suo bel timbro chiaro e la dolce articolazione delle frasi. Sono invece le voci maschili il punto debole della produzione e fanno rimpiangere quelle delle altre due edizioni citate, sì anche di quella di Juan Sancho… Pompeo poco musicale e dal timbro nasale è quello di Emanuele d’Aguanno; Aquilio sfocato se non addirittura sfiatato nelle note centrali quello di Magnus Staveland.

Per essere onesti sulla confezione sarebbe stato bene indicare che la rappresentazione è in forma semi-scenica: i cantanti hanno abiti che non fanno riferimento né al ruolo né al sesso dei personaggi, cantano perlopiù davanti a un leggio mentre il coro è in buca in abito da sera e con lo spartito in mano. I carrelli con tubi fluorescenti e fari che accecano gli spettatori e le inutili proiezioni con molta generosità si possono definire una scenografia. Il tutto è dettato dalle note vicissitudine economiche dell’ente fiorentino, ma allora perché ingaggiare ben cinque diverse persone (eccole: Marco Gandini, Valerio Tiberi, Italo Grassi, Simona Morresi, Virginio Levrio) per questa non-messa-in-scena? (3).

Nonostante la verve di Sardelli l’orchestra del teatro fiorentino non può competere con degli specialisti della musica d’epoca come i Barocchisti di Fasolis o il Concerto Köln di Petrou e in più punti il colore orchestrale e l’intonazione degli strumenti risultano deboli o prevaricanti sulle voci. Esemplare la differenza di suono dell’ultima aria con quei gelidi trasalimenti tra l’orchestra dei Barocchisti (con un Cenčić superlativo) e questa del Comunale.

151 minuti di musica in due tracce audio. Nessun extra nella confezione.

(1) Ecco la distribuzione nelle tre edizioni citate:
direttore        Diego Fasolis        George Petrou       F. Maria Sardelli
Farnace         Max E. Cenčić        Max E. Cenčić       Mary-Ellen Nesi
Tamiri            Ruxandra Donose  Ruxandra Donose  Sonia Prina
Berenice        Mary-Ellen Nesi      Mary-Ellen Nesi     Delphine Galou
Selinda          Ann Hallenberg       Carol Garcia        Loriana Castellano
Gilade            Karina Gauvin        Vivica Genaux       Roberta Mameli
Pompeo         Daniel Behle         Juan Sancho         Eman. D’Aguanno
Aquilio           E. Gonzalez Toro  E. Gonzalez Toro   Magnus Staveland

(2) Nella versione di Venezia del 1727 la sequenza di arie è la seguente:
Atto primo
Ricordati che sei (Farnace)
Combattono quest’alma (Tamiri)
Dell’Eusino (coro)
Su campioni, su guerrieri (coro)
Nell’intimo del petto (Gilade)
Begl’occhi io penserò (Aquilio)
Al vezzeggiar d’un volto (Selinda)
Da quel ferro, ch’ha svenato (Berenice)
Se si nasconde (Pompeo)
Non trova mai riposo (Tamiri)
Atto secondo
Lascia di sospirar (Gilade e Aquilio)
Mi sento nel petto (Aquilio)
Langue misero quel valore (Berenice)
Arsa da rai cocenti (Gilade)
Perdona, o figlio amato (Farnace)
Dividere, o giusti dèi (Tamiri)
Spogli pur l’ingiusta Roma (Farnace)
Leon feroce, che avvinto freme (Pompeo)
Pensando allo sposo (Berenice)
Io sento nel petto (Aquilio e Selinda)
Atto terzo
Giuliva rimbomba (coro)
Sposa afflitta e madre offesa (Berenice)
Forse, o caro, in questi accenti (Tamiri)
Sorge l’irato nembo (Farnace)
Son vaghi gl’allori (Gilade)
Ti vantasti mio guerriero (Selinda)
Io crudel? Giusto rigore (insieme)
Furie dell’Erebo (Aquilio)
Coronata di gigli e di rose (coro)

(3) D’altronde anche per le Variazioni Goldberg di Bach eseguite al pianoforte da Ramin Bahrami alternate agli Esercizi di stile di Raymond Quenau letti da Filippo Timi al Regio di Torino due anni fa furono impiegate una regista (l’attore si doveva alzare dalla sedia e andare al leggio) e una costumista (Timi era in canottiera e mutande)…

  • Farnace, Petrou/Childs, Strasburgo, 24 maggio 2012
  • Farnace, Fasolis/Gayral, Venezia, 2 luglio 2021
  • Farnace, Sardelli/Bellussi, Piacenza, 10 aprile 2022

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