Henri Cain

Cendrillon

Jules Massenet, Cendrillon

★★★★★

Berlin, Komische Oper, 12 juin 2016

 Qui la versione italiana

(streaming)

Cendrillon à la Komische Oper de Berlin : une représentation en tout point mémorable !

« Le bal est un champ de bataille! / Tenez-vous bien, / Ne perdez rien / De votre taille! / Pas de mouvements trop nerveux… » recommande Mme de la Haltière à ses filles Noémie et Dorothée alors qu’elles s’entraînent à la barre avec d’autres danseuses, certaines portant moustaches et barbe.

C’est peut-être de ces mots du livret d’Henri Cain que Damiano Michieletto s’est inspiré pour sa lecture particulière du conte de fées mis en musique par Massenet. Nous sommes en effet dans une salle de répétition de ballet et les « jeunes filles » en tutus bleu, dont de nombreux choristes masculins, doivent passer les sélections pour être choisies par un Prince Charmant dansant qui semble ne rien vouloir savoir, enfermé dans un spleen existentiel…

La suite sur premiereloge-opera.com

Cendrillon

Jules Massenet, Cendrillon

★★★★★

Berlino, Komische Oper, 12 giugno 2016

bandiera francese.jpg Ici la version française

(registrazione video)

No, non è un sogno

«Le bal est un champ de bataille! | Tenez-vous bien, | Ne perdez rien | De votre taille! | Pas de mouvements trop nerveux…» raccomanda Mme de la Haltière alle figlie Noémie e Dorothée mentre si esercitano alla sbarra assieme ad altre ballerine, alcune con baffi e barba.

Ecco, forse è da queste parole del libretto di Henri Cain che Damiano Michieletto ha preso spunto per la sua particolare lettura della fiaba musicata da Massenet. Siamo infatti in una sala prove di balletto e le “fanciulle” in tutù azzurro, tra cui molti coristi maschi, devono passare le selezioni per essere scelte da un principe azzurro ballerino che però non sembra volerne sapere, chiuso com’è nel suo spleen esistenziale. Originariamente era previsto da Massenet un prologo recitato da attori, ma non venne mai messo in scena per non inficiare l’aspetto fiabesco del lavoro (“Conte de fées”, si legge sulla partitura): a Berlino Michieletto prevede un prologo, ma è muto e vediamo una vecchia signora entrare in scena e rammendare delle vecchie punte per ballerina. Qui il tono fiabesco è soppiantato da un’atmosfera realistica che rende ben più commovente il destino della povera Lucette, questo il nome della Cenerentola di Cain/Massenet, qui immobilizzata in un letto d’ospedale a causa di una gamba fratturata per una caduta in scena. La drammaturgia di Simone Berger è pienamente accettabile e assieme alla regia di Michieletto e alle scene di Paolo Fantin fa di questo spettacolo uno di quelli memorabili che ogni tanto si ha la fortuna di vedere.

Cendrillon è un lavoro della maturità di Massenet e fu creata per l’Opéra-Comique nel 1899. Non è tra le più frequentate di un compositore di circa 35 opere che al di fuori della Francia è conosciuto quasi esclusivamente per Manon e Werther – in particolare questo è un debutto sulle scene della Komische Oper. La musica è un dotto pastiche di stili, da quello “Versailles” di Mme de la Haltière a quello neoclassico del trio con le figlie, dal galante al passionale. I riferimenti letterari si sommano a quelli musicali in una raffinata e un po’ fredda parodia intellettuale e la scelta vocale ricorda lo Hänsel und Gretel di Humperdinck e il Rosenkavalier di Strauss per quanto riguarda il predominio delle voci femminili, anche per alcuni personaggi maschili. Ciò dà un colore particolare a quest’opera crepuscolare.

Cendrillon è una magnifica e intensa Nadja Mchantaf, sicura vocalmente e magnifica attrice, che per di più mette a frutto i suoi studi di danza classica in un’interpretazione a tutto tondo del personaggio che incarna con sconvolgente immedesimazione. Il suo prince charmant trova nel corpo androgino del mezzosoprano Karolina Gumos il partner giusto per vocalità e presenza scenica. Padre affettuoso – specificità di questo personaggio, unico nelle varie versioni di Cenerentola – è quello interpretato con grande sensibilità da Werner van Mechelen mentre Agnes Zwierko è la matrigna, una gustosa maestra russa di ballo. Fata dalle impeccabili colorature è quella di Mari Eriksmoen. Il resto del cast e i coristi partecipano a questa deliziosa fiaba con grande entusiasmo. Brillante e piena di colori la direzione di Henrik Nánási, direttore musicale del teatro.

La scenografia di Paolo Fantin, le luci di Diego Leetz e i costumi di Klaus Bruns fanno il resto: bastano due tende sugli specchi per trasformare la sala prove di ballo nella camera di ospedale e viceversa. Quando poi si tratta del duetto del terzo atto, qui trasformato in pas de deux, quinte di cartapesta scendono dall’alto per creare un romantico boschetto mentre la nebbia è fatta dai macchinisti e i riflettori vengono sistemati a vista. Il teatro è finzione, la realtà non è una fiaba, ma quanto amore per il teatro da parte di Michieletto che rende quest’opera molto più bella di quanto sia in realtà.

Chérubin

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★★★★☆

Cherubino diventa grande

Il Teatro Lirico di Cagliari ha spesso fatto opera meritoria nell’allestire titoli quasi sconosciuti, come questo Chérubin, opera poco frequentata di un Massenet maturo che la presenta il 23 maggio 1905 a Monte Carlo. Sono tre atti su testo di Francis de Croisset e Henri Caïn dalla pièce teatrale omonima del Croisset, liberamente sviluppati partendo dalla vicenda de Le nozze di Figaro. Ma attenzione, qui non siamo nella parte finale della trilogia di Beaumarchais, quella Mère coupable con l’amore disperato di Cherubino per la contessa che gli si è concessa una volta e dalla quale aspetta un figlio. No, qui si narrano i giorni vissuti dal paggio al suo compimento di 17 anni quando si affranca dalla innocente fanciullezza per acquistare la libertà di un adulto, un piccolo Don Giovanni, dice alla fine il tutore che lo conosce bene. Quella di Chérubin è una vicenda esile, quasi da operetta, che il pubblico e la critica del tempo non apprezzarono particolarmente. Entusiasta fu invece Fauré che ne ammirò la lirica scrittura e la ricercata armonia.

Atto I. Dopo un vivace preludio che avrebbe potuto scrivere Chabrier, veniamo a sapere che Cherubino, il giovane paggio del conte di Almaviva, sta per ricevere la sua prima promozione nell’esercito. Il Filosofo, precettore di Cherubino, annuncia che a seguito di ciò vi saranno dei festeggiamenti e che sarà invitata la prima ballerina dell’Opera, la spagnola Ensoleillad, cortigiana d’alto bordo e amante del re. Nina confessa che è innamorata del giovane il quale arriva tutto eccitato per la libertà di cui ora può godere: «Je suis gris! Je suis ivre! C’est le soleil qui m’a grisé, je suis si content de vivre Que je pourrais… vous embrasser. J’ai dix-sept ans, cela me grise, J’ai dix-sept ans! Plus de tuteur! la liberté!». Cherubino riesce a passare segretamente una lettera d’amore alla Contessa confessando al tutore che è contemporaneamente innamorato della Contessa e della Ensoleillad. All’improvviso arriva il Conte che ha scoperto la lettera di Cherubino e lo minaccia di morte. Nina salva il paggio recitando a memoria la lettera e dichiarando che era stata indirizzata a lei. Appagato il Conte torna al banchetto.
Atto II. Un vivace preludio orchestrale dal colore inconfondibilmente spagnoleggiante con largo uso di castagnette ci introduce a una locanda non lontana in cui dei viaggiatori, tra cui la Contessa e la Baronessa, si lamentano con il locandiere sulla assegnazione delle camere. L’arrivo di Cherubino con degli ufficiali scatena presto un duello a causa delle avances che il giovane festeggiato fa alla moglie del capitano Ricardo. Neanche l’arrivo della Ensoleillad fa desistere i duellanti e solo il Filosofo riesce a ricondurli a miti propositi. Partiti i militari, Cherubino corteggia la ballerina sotto il suo balcone che affianca sia quello della Contessa sia della Baronessa. Ciascuna delle tre donne pensa che la serenata le sia rivolta e tutte e tre lasciano un pegno al giovane. I mariti e l’amante della ballerina scoprono la tresca e sfidano a duello Cherubino.
Atto III. Il giovane si prepara al triplice duello e scrive le sue ultime volontà mentre il tutore gli impartisce una lezione sulle tecniche di combattimento. Arrivano la Contessa e la Baronessa che vogliono scoprire a chi fosse indirizzata la serenata della notte precedente. Cherubino non può far altro che confessare che fosse rivolta alla ballerina spagnola e così i due mariti ritirano i duelli programmati, ma a Cherubino si spezza il cuore quando vede l’Ensoleillad lasciare la locanda facendo finta di non conoscerlo. Nina giunge annunciando che si ritirerà in convento visto che il suo amore non viene corrisposto. Cherubino capisce il suo errore e si rende conto che Nina è la donna giusta per lui. A questo punto anche il Duca annulla il duello.

Nelle sue 25 opere pubblicate Massenet ha esplorato tutti i generi possibili: opéra, opéra-comique, opérette, drame lyrique, opéra romanesque, comédie lyrique, épisode lyrique, conte de fées, conte lyrique, drame musical, comédie héroïque, opéra tragique, farce musicale, opéra légendaire e con questa la comédie chantée.

Per quanto riguardo il soggetto e il suo trattamento musicale non si può dire che Chérubin sia incongruo con i tempi: il 1905 è lo stesso anno in cui va in scena la Salome di Richard Strauss, ma anche La vedova allegra. E l’anno prima c’erano state Madama Butterfly e Jenůfa. E poco prima Pelléas et Mélisande. I primi anni del XX secolo sono un periodo eclettico in cui ancora convivono le propaggini del tardo romanticismo ottocentesco con i fermenti inquieti del nuovo secolo. Per ritrovare poi la stessa ambientazione settecentesca si dovrà aspettare il 1911 del Rosenkavalier e anche se qui in Massenet non c’è quella struggente nostalgia che ritroviamo nel capolavoro straussiano, il personaggio di Chérubin è comunque connotato da una leggera malinconia per il rimpianto di una fanciullezza perduta. La brillantezza della partitura cela in alcuni punti una tristezza che il brioso libretto non riesce a cancellare del tutto, come nella scena del testamento. Il lavoro rappresenta per Massenet quel ritorno al passato e al culto del classico che non poteva non fare riferimento a quel Mozart di cui all’epoca si venivano a riscoprire i capolavori.

A Cagliari nel gennaio 2006 Emmanuel Villaume dirige con esperienza questo lavoro francese non facile in cui il palcoscenico è spesso sovraffollato di ciarlieri personaggi. L’allestimento è curato da Paul Curran per regia e coreografie (indimenticabile la sua Cenerentola genovese) e Paul Edwards per le scenografie e i costumi. Quello che si vede in scena è un episodio fiabesco, se non onirico, con facciate e scale sghembe, quasi fotogrammi da film surrealista a colori, con costumi mirabolanti che partono da Erté per arrivare a un ironico e sfrenato kitsch. Le piume chilometriche in testa bilanciano le imponenti crinoline femminili, mentre gli uomini sfoggiano abiti variopinti e parrucche sproporzionate.

Ben definita è la distribuzione delle voci. Chérubin, “soprano lyrique (petite Falcon)”, qui è Michelle Breedt, vocalmente a posto ma scenicamente non molto convincente come paggio diciassettenne. L’Ensoleillad, la cui parte fu scritta originariamente per la Cavalieri, è il soprano Parizia Ciofi: ineccepibile nelle sue impervie agilità, è la brava prima della classa che fa molto bene quello che fa, come sempre quasi perfetta e come sempre senza particolare fascino pur arrivando su un cigno come Lohengrin e partendo su una decappottabile d’epoca. Nina è “soprano de sentiment”, una Carmela Remigio per una volta più convincente del solito. Philosophe, “basse cantante ou baryton un peu grave”, è un Giorgio Surjian disinvolto seppur con qualche stanchezza nella voce. Il Duca, “ténor trial (comique)”, è uno spigliato Bruno Lazzaretti (un Capitan Uncino in abito a motivi animalier) che neanche viene citato sulla copertina della confezione.

Don Quichotte

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★★★★☆

Un toccante addio alle scene

Nel 2010 per dare l’addio alle scene dopo cinquant’anni di carriera, il settantenne José van Dam sceglie uno degli ultimi lavori di Massenet, quel Don Quichotte su libretto di Henri Cain, solo indirettamente collegato all’opera del Cervantes ma piuttosto ispirato da Le chevalier de la longue figure, commedia di Jacques le Lorrain andata in scena a Parigi sei anni prima nel 1904. E van Dam sceglie la sua città (Bruxelles) e il suo teatro (La Monnaie) in una produzione che ha Marc Minkowski come direttore e Laurent Pelly come regista. Dal palco c’è ad applaudirlo anche la regina Fabiola.

Quasi un’installazione artistica la scena del primo atto di Barbara de Limburg, una catasta di fogli di carta sotto il balcone di Dulcinea: sono i fogli su cui il cavaliere errante ha vergato i versi di lode alla sua bella. Anche negli atti successivi i rilievi del panorama iberico sono fatti di fogli di carta che hanno la stessa consistenza dei sogni che ossessionano il «fou sublime». La regia di Pelly non ci risparmia i particolari curiosi, come il cavallo chitarrista o la morte in piedi del cavaliere, ma muove i personaggi in scena con abilità e sempre in ossequio alla musica. Minkowski, perfettamente a suo agio nel repertorio francese, dà una lettura precisa e partecipe della partitura velata di una certa mestizia che ha il culmine espressivo nell’interludio tra secondo e terzo atto, ma non mancano altri momenti magici come l’inizio del quarto, il preludio con violoncello del quinto e il finale con la toccante morte del protagonista.

L’opera di Massenet è quasi una meditazione sulla nostalgia del passato, sui rimpianti della vita, come canta Dulcinea sul ritmo lamentoso di una danza lontana: «Lorsque le temps d’amour a fui, | que reste-t-il de nos bonheurs? | Et des étés, | lorsque la nuit dans ses voiles ensevelit | l’éclat des fleurs» (Quando il tempo degli amori è fuggito, cosa resta della nostra felicità? E delle estati, quando la notte col suo velo nasconde la bellezza dei fiori).

Atto I. Una piazza di fronte alla casa di Dulcinée. Si sta celebrando una festa. Quattro speranzosi ammiratori di Dulcinée le fanno la serenata dalla strada. Dulcinée appare e spiega filosoficamente che essere adorate non è abbastanza. Si ritira e una folla, in gran parte mendicanti, acclamano l’arrivo dell’eccentrico cavaliere Don Quichotte (montando il suo cavallo Rossinante) e del suo buffo scudiero Sancho Panza (su un asino). Felicissimo della loro attenzione, Don Quichotte dice a un riluttante Sancio di lanciare loro del denaro. Dopo che la folla si è dispersa, lo stesso Don Quichotte fa una serenata a Dulcinée, ma viene fermato da Juan, un geloso ammiratore della bellezza locale. Segue un combattimento con la spada, interrotto dalla stessa Dulcinée. È incantata dalle antiquate attenzioni di Don Quichotte, rimprovera Juan per la sua gelosia e lo manda via. Il vecchio le offre la sua devozione e un castello. Lei suggerisce che invece potrebbe recuperare una sua collana di perle rubata da Ténébrun, il capo dei banditi. Don Quichotte si impegna a farlo e Dulcinée si riunisce rapidamente ai suoi amici uomini.
Atto II. In campagna. Una mattina nebbiosa, Don Quichotte e Sancho entrano con Rossinante e l’asino. Don Quichotte sta componendo una poesia d’amore. Sancho fa una grande tirata contro la loro spedizione, contro Dulcinée e contro le donne in generale. Le nebbie si disperdono rivelando una fila di mulini a vento che Don Quichotte prende per un gruppo di giganti. Con orrore di Sancho, Don Quichotte attacca il primo, solo per essere catturato in una delle pale e sollevato in aria.
Atto III. In montagna. Crepuscolo, Don Quichotte crede che si stiano avvicinando ai banditi. Sancho va a dormire mentre Don Quichotte fa la guardia. I banditi compaiono improvvisamente e dopo un breve combattimento prendono il cavaliere prigioniero. Sancho fugge. Sorpresi dalla sfida del vecchio, i banditi lo riempiono di botte e intendono ucciderlo, ma la preghiera di Don Quichotte spinge Ténébrun, il capo dei banditi, a graziarlo. Don Quichotte spiega la sua missione e la collana gli viene restituita. I banditi chiedono la benedizione del nobile cavaliere prima che egli parta.
Atto IV. Il giardino della casa di Dulcinée. Musica e balli, è in corso una festa, ma Dulcinée è malinconica. Scuotendosi, prende una chitarra e canta. Tutti si ritirano per la cena. Arrivano Sancho e Don Quichotte. In attesa di Dulcinée, Sancho chiede la sua ricompensa a cui Don Quichotte risponde con vaghe promesse di un’isola, un castello, ricchezze. Dulcinée e la sua compagnia salutano il cavaliere e lui restituisce la collana tra gli applausi di tutti. Però, quando le chiede di sposarlo, viene accolto da una risata isterica. Avendo pietà, Dulcinée dice agli altri di andarsene, si scusa ma gli spiega che il suo destino, il suo modo di vivere sono diversi dai suoi. Lo bacia sulla fronte e se ne va. Ma la compagnia ritorna per prendere in giro il vecchio. Sancho li rimprovera e porta via il suo padrone.
Atto V. Un passo di montagna in un’antica foresta. Una chiara notte stellata, Don Quichotte sta morendo. Ricorda che una volta aveva promesso a Sancho un’isola come ricompensa e gli offre un’isola di sogni. Verso la morte, Don Quichotte alza lo sguardo su una stella che brilla luminosa in cielo e sente la voce di Dulcinée che lo chiama in un altro mondo. Quindi si accascia, mentre Sancho piange sul suo corpo.

Tre sono i personaggi principali dell’opera. Nel ruolo del titolo van Dam non ha certamente più la voce di un tempo e non tiene le note basse con fermezza, ma compensa con la sua consumata esperienza artistica. È l’incarnazione stessa di don Chisciotte con la sua innata nobiltà cavalleresca e il suo sguardo chiaro perduto nel vuoto. Silvia Tro Santafé è una Dulcinea di carattere con una voce vibrata e sensuale. Nel suo personaggio troviamo anche un po’ delle smanie della Conceptión de L’heure espagnole di Ravel che debutterà sulle scene di lì a poco. Werner van Mechelen si rivela un ottimo Sancho Panza. Il quartetto degli spasimanti di Dulcinea è composto da giovani cantanti scelti per l’occasione tramite audizione, come si vede nel lungo e interessante documentario sulla creazione dello spettacolo negli extra del disco. Da tenere d’occhio il promettente soprano Julie Mossay, Pedro en travesti.

Una sola traccia audio con difetti nel suono, che talora diminuisce o salta. Sottotitoli in tre lingue, ma non nella nostra (ed è un disco made in Italy!) nella solita scomoda confezione in cartoncino con cui vengono presentati i DVD della casa Naïve, tale di nome e di fatto…

Cendrillon

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★★★★★

Una Cenerentola di favola

Nel 1899 Jules Massenet mette in musica il “conte de fées” Cendrillon (Cenerentola) in quattro atti – la 14esima delle sue oltre trenta opere – nello stesso anno in cui Georges Méliès gira il film muto dallo stesso titolo. Al volgere del secolo i due francesi si volgono dunque a quel Perrault che due secoli prima aveva pubblicato la sua fortunata versione di fia­be del patrimonio popolare.

Così aveva fatto Rossini nel 1817, ma la musica di Massenet è ovviamente un’altra cosa e l’umorismo è quello di chi ci aveva commosso con il Wer­ther o la Manon, un umorismo “francese”, fatto di sottigliezze e ironia.

Cendrillon non è certo la miglior opera di Massenet, ma contiene pagine magnifiche come il duetto d’amore del terz’atto che sembra anticipare i toni del Rosenkavalier. E comunque il compositore si conferma un esperto illustratore musicale di storie molto diver­se, da Erodiade a Tai­de, dal Don Chisciotte al Cid a Esclarmonde, da Saffo a Cleopatra. La vena fer­tile del musicista sembra sempre a suo agio qualunque sia il sog­getto scelto. E qui eccelle l’elegante parodia di stili che vanno dal barocco della solenne ouverture, alle fatuità settecentesche del risveglio del princi­pe alle trovate timbri­che e armoniche che preannunciano molta musica del XX secolo.

Sia Massenet che Méliès avevano a disposizione i più progrediti ritrovati tecnici della modernità di allora, in particolare il musicista debuttava in una Salle Favart, sede dell’Opéra Comique, appena restaurata, con un nuovo impianto elettrico e con la possibilità di rea­lizzare molti effetti scenici. La sua opera fu un trionfo immediato, con cinquanta repliche nella sola prima stagio­ne. Il libretto di Henri Cain è rispettosamente fede­le al testo di Perrault.

Atto primo. Madame de la Haltière e le sue due figlie si stanno preparando per il gran ballo che il principe darà a corte in uno stato di grande agitazione, mentre Pandolfe si lamenta con sé stesso per aver scelto in seconde nozze una moglie così autoritaria da costringerlo a trascurare Lucette, da tutti soprannominata Cenerentola, figlia nata dal suo precedente matrimonio. Tutti, tranne Cenerentola, si avviano al ballo. La fanciulla, sola e malinconica, si addormenta accanto al fuoco. In sogno le appare la sua fata madrina che, con un colpo di bacchetta magica, la trasforma in una dama splendidamente vestita. Cenerentola promette di tornare entro i rintocchi della mezzanotte e si avvia alla festa.
Atto secondo. Al palazzo reale, medici e ministri cercano di distrarre il principe ma senza successo. Solo la splendente apparizione di Cenerentola durante il ballo riesce a scuotere il giovane. Ma a mezzanotte la fanciulla deve fuggire come ha promesso alla fata.
Atto terzo. Nella sua fuga Cenerentola ha perso una scarpetta di cristallo. La fanciulla, agitata e in ansia, si rifugia vicino al camino. Quando la matrigna e le sorellastre ritornano dal ballo le raccontano di una ‘avventuriera’ che, con il suo comportamento scandaloso, è venuta a turbare la festa e irritare il principe. Al colmo della disperazione, Cenerentola fugge nel bosco e si lascia cadere sfinita sotto la quercia delle fate. Sogna, e nel sogno ritrova il principe, affranto per la sua scomparsa, deciso a donarle il proprio cuore.
Atto quarto. Cenerentola è stata ritrovata svenuta nel bosco. Ora è gravemente ammalata e il padre la veglia. Un messo reale annuncia che il principe, anch’egli ammalato di malinconia, sta cercando la bella sconosciuta del ballo. Guidata dalla fata, Cenerentola raggiunge il principe che finalmente la può stringere tra le braccia nel tripudio generale.

L’edizione corrente è dell’Opera di Santa Fe, ripresa alla Royal Opera House di Londra nel 2011. Il regista Laurent Pelly non tenta nessuna attualizzazione (1) o lettura psicanalitica (2) o sociologica o quant’altro della fiaba. La sua messa in scena è una deliziosa, pulita e a suo modo ingenua rappresentazione della nota vicenda, lasciando alla musica il ruolo principale. Le essenziali scene disegnate da Barbara de Limburg sono costituite dalle pagine di una delle eleganti edizioni in carat­tere Garamond della fia­ba di Charles Perrault (che belli i puntini delle i che diventano stelle o la parola carosse che diven­ta la carrozza che porta Cendrillon al ballo!). I divertenti movi­menti co­reografici sono di Laura Scozzi, partner artistica usuale di Pelly al quale si devono anche i gustosi costumi.

Il direttore Bertrand de Billy spreme dall’orchestra tutte le meraviglie armoniche e melodiche della partitura e si dimostra un eccellente concertatore di voci. E quali voci! Joyce DiDonato è semplicemente meravigliosa. Non solo non fa rimpiangere Frederica von Stade che ha ricreato il ruo­lo di Cendrillon ai giorni nostri, ma è addirittura superiore per espressività ed eleganza di fraseggio senza il vibrato vecchio stile della collega americana. Il ruolo di Prince Charmant è qui affidato a un mezzosoprano, un’eccezionale Alice Coote perfettamente a suo agio nei ruoli en travesti. La gorgheggiante fata madrina è Eglise Gutiérrez, mentre il grande baritono francese Jean-Philippe Lafont, papà Pandolfe, si dimostra ahimè vocal­mente molto affaticato e non riesce a tener testa a quella megera di mo­glie, una spassosa Ewa Podleś.

Due dischi, immagine perfetta, due tracce audio ed extra finalmen­te interessanti tra cui quattro interviste agli artefici di questa feli­cissima produzione.

(1) In Cinderella story, il film di Mark Rosman, la protagonista Samantha alla fine del ballo perde il cellulare.

(2) Bruno Bettelheim ci ha dato il suo punto di vista sulla scar­petta di vetro: «Un ricettacolo dove può penetrare una parte del corpo […]  considerato come un simbolo della vagina poiché è fatta di una materia fragile che si può rompere se si penetra con forza: non si può non pensa­re all’imene. Un oggetto che si perde alla fine di un ballo […] come la verginità» (Il mondo incantato, 1977).

  • Cendrillon, Nanási/Michieletto, Berlino, 12 giugno 2016