Ferdinand Hodler, Wilhelm Tell, 1987
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Gioachino Rossini, Guillaume Tell
Losanna, Opéra, 13 ottobre 2024
(video streaming)
A Losanna Tell fa centro per la prima volta
Nel 1897 Ferdinand Hodler aveva dipinto l’eroica figura di Wilhelm Tell, ora al Museo d’Arte di Solothurn che possiede altre opere del pittore svizzero. Per la sua messa in scena a Losanna il regista Bruno Ravella utilizza un paesaggio di Hodler – uno dei tanti in cui le montagne si riflettono sulla superficie di un lago – uno dei pochi elementi figurativi nella sua sobria lettura dell’ultimo capolavoro di Rossini, lasciando alla supremazia della meravigliosa musica tutto il suo spazio. Musica ascoltata per la prima volta nella città sul lago Lemano grazie al nuovo direttore del teatro, il marsiglese Claude Cortese, che inaugura la stagione e il suo incarico con questo grande successo.
Ma per una volta partiamo dal lavoro del regista televisivo, che durante l’ouverture, pur non rinunciando a farci vedere scorci naturali della confederazione e la presentazione degli interpreti nei loro personaggi, scende in buca per farci ammirare la bella figura del Maestro Lanzillotta ed i musicisti dell’Orchestre de Chambre de Lausanne impegnati con i loro strumenti – dal meraviglioso assolo del violoncello alle frasi del flauto agli ottoni prima nel temporale poi nella marcia – nell’ouverture più trascinante mai scritta. E tutti chiaramente soddisfatti dei primi applausi di una serata che si preannuncia musicalmente gloriosa. Le quattro ore e mezza della versione originale sono qui ridotte a tre ore 45 minuti, compreso un intervallo, a scapito di alcuni dei divertimenti danzati. Francesco Lanzillotta dirige il Tell con la vivacità e la finezza delle prime opere di Rossini: questo ultimo capolavoro spesso è visto come un Grand Opéra in cui si esagera la monumentalità con colori troppo saturi e tratti spessi. Brillante concertatore, dimostra quanto siano fondamentali gli ensemble in quest’opera, e come il loro intreccio nel quadro musicale e drammatico permetta di far sbocciare l’apoteosi dei finali. Privilegiando le battute sospese, i silenzi prolungati e i contrasti sonori finemente calibrati, con la sua una sensibilità musicale fa partecipare tutti gli orchestrali alla vasta tavolozza di delicate sfumature con cui Rossini stabilisce atmosfere bucoliche e pastorali.
Installatosi definitivamente a Parigi, Rossini aveva abbandonato il primato della voce solista virtuosistica adattandosi allo stile francese più declamatorio derivato dalla tragédie lyrique di Lully e Gluck. Qui la parola prevale sul suono, sul canto ornato. Una vera e propria rivoluzione per Rossini. Nel Tell predominano i recitativi e le declamazioni rispetto alle arie solistiche, con il coro diventato personaggio a sé stante. Il coro dell’Opéra de Lausanne, preparato da Alessandro Zuppardo, con la sua dizione perfetta dà il giusto colore a ogni sillaba, sfoggia una notevole gamma di sfumature, trasparenze e coesione. Non sono da meno i solisti, che formano un cast omogeneo e di eccezionale qualità. Nel ruolo che fu di Adolphe Nourrit, Julien Dran si affianca alle massime voci tenorili francesi di oggi – Jean-François Borras e Benjamin Bernheim – nella eleganza e capacità di cantare esprimendo tutte le intenzioni drammatiche del personaggio di Arnold con una tavolozza di colori e toni invidiabile. Il suo personaggio è combattuto tra il dovere di orfano e patriota da un lato, e il suo amore per una principessa straniera legata agli invasori dall’altro. E questo si esprime in un canto di grandi varietà espressive, lunghi fiati – uno solo per la frase « Asile héréditaire, | Où mes yeux s’ouvrirent au jour », l’aria del IV atto momento culminante della rappresentazione.
Altra rivelazione della serata è Elisabeth Boudreault, soprano canadese che riesce nell’impresa di trasformare Jemmy in un vero protagonista, grazie a una voce potente, dal timbro chiaro, luminoso, dalla eccezionale proiezione e dalla perfetta presenza scenica. Una conferma della conosciute qualità interpretative viene dal Tell di Jean-Sébastien Bou, baritono che supplisce con intelligenza ed espressività a un registro grave non immenso; dalla Mathilde di Olga Kulchynska, uno dei pochi cantanti non di lingua francese ma dalla dizione impeccabile; dal Gessler impressionante per presenza vocale di Luigi De Donato; dalla intensa Edwige di Géraldine Chauvet. Solidi ed efficaci il Mechtal/Walter Fust di Frédéric Caton e il Leuthold di Marc Scoffoni, mentre al Rodolphe di Jean Miannay mancano potenza e cattiveria. Deludente il Ruodi di Sahy Ratia per le note emesse con difficoltà.
La messa in scena di Ravella come s’è detto è molto semplice, quasi oratoriale, con costumi uniformi e una certa insipidezza visiva che contrasta con l’opulenza della musica. Le immagini che ci propone il regista questa volta sono di scarso impatto drammatico, come nel finale in cui non succede nulla se non la pietra su cui si trova Tell che si alza trasformando l’eroe in una statua sul piedistallo. C’è chi preferisce una regia rinunciataria a una velleitaria, ma una via di mezzo è sempre preferibile.
Il video dello spettacolo è disponibile su ArteTv.
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