Guillaume Tell

Gioachino Rossini, Guillaume Tell

★★★☆☆

Orange, Théâtre Antique, 12 luglio 2019

Rossini au grand air

Ci sono delle opere che, essendo ambientate principalmente all’aperto e con grandi masse corali, non dico che si prestino, ma soffrono meno nella rappresentazione en plein air dei festival estivi, e il Guillaume Tell sarebbe una di queste. Ma la concentrazione e l’acustica che offre una sala di teatro sono tutt’altra cosa – per non parlare della lunghezza, con il pubblico costretto a stare quattro ore seduto su gradoni di pietra.

Alle Chorégies d’Orange il direttore della manifestazione, Jean-Louis Grinda, ha programmato quest’anno, a 190 anni dal suo debutto parigino, l’impegnativo ultimo capolavoro di Rossini. Impegnativo per voci, orchestra e messa in scena. Per quest’ultima Grinda, nelle vesti di regista, ha giocato al risparmio sia per idee registiche che sceniche: non si sa se per problemi di budget (una sola serata) o per stringenti costrizioni all’utilizzo della particolare location del Théâtre Antique o per una voluta scelta registica, fatto sta che l’apparato scenografico è limitato a sole proiezioni, efficaci ma non esaltanti, sul muro di scena colonizzato da rondini che hanno accompagnato coi loro garriti le note della sinfonia. Ecco quindi un gioco d’ombre per la «sombre forêt», le increspature delle acque prima placide e poi turbolente del lago dei Quattro Cantoni e infine il paesaggio di montagna, un «horizon» non proprio «immense», del più bel finale d’opera di tutti i tempi. All’inizio era comparsa una carta della Svizzera e per la scena di Gesler al terzo atto un muro di castello coi suoi stemmi. Tutto realizzato in videografica. Unici elementi tangibili sono la strana barca con cui arrivano Rodolphe e i soldati alla fine del primo atto e la striscia di terra arata da Tell nel cui solco alla fine una bambina getterà dei semi – i semi della libertà. Quest’ultima è pressoché l’unica idea di una produzione che si affida a una tradizione delle più consolidate:  mela (enorme) e balestra comprese e pure il cavallo su cui entra in scena Hedwige. Una piattaforma rotante e leggermente basculante è utilizzata con una tale parsimonia che alla fine risulta quasi inutile. C’è chi ha definito quella di Grinda una mise en place più che una mise en scène

Con copiosi tagli la durata dello spettacolo effettivo è portata a meno di quattro ore, intervallo compreso, quasi due ore in meno di quella del ’95 di Gelmetti/Pizzi a Pesaro. L’Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo, a parte qualche suono falso dei fiati, risponde correttamente alla guida di Gianluca Capuano, direttore dell’ensemble monegasco Les musiciens du Prince e perfettamente a suo agio nel repertorio barocco (da Monteverdi a Händel), in quello settecentesco (Gluck, Mozart) e in quello rossiniano e donizettiano. Con un utilizzo giudizioso dei volumi sonori (per non coprire le voci dei cantanti non microfonati) e delle agogiche, il suo Guillaume Tell non sarà tra i più trascinanti, ma l’orchestra è sempre in ottimo equilibrio con la scena e gli effetti timbrici ben riusciti – compatibilmente con l’acustica.

Il cast comprende interpreti ben collaudati che affrontano ancora una volta parti a loro ben note: è il caso di Nicola Alaimo, Guglielmo Tell imponente, dalla solida linea vocale che sa però piegarsi alla morbidezza nella scena col figlio che precede la sua prova di tiratore. Anche Nicolas Courjal ritorna nel ruolo di Gesler e come sempre incanta per il meraviglioso timbro con cui scolpisce la parola e per la magnetica presenza scenica. Di Celso Albelo (Arnold) ancora una volta si ammira lo stile ineccepibile e la linea di canto seducente che in «Asile héréditaire» desta l’entusiasmo degli oltre seimila spettatori presenti. Ruodi trova in Cyrille Dubois il massimo della liricità, un pescatore forse di eccessiva raffinatezza e leggerezza. Il comparto femminile si affida all’esperienza di Annick Massis, una Mathilde anche lei osannata dal pubblico, e alla freschezza e vivacità di Jodie Devos, credibile e adorabile Jemmy. Nora Gubisch è una convincente Hedwige così come lo sono gli interpreti dei ruoli secondari: Nicolas Cavallier (Walter Fürst), Philippe Kahn (Melchthal),  Philippe Do (Rodolfe), Julien Veronese (Leuthold). I cori riuniti di Toulouse e Monte-Carlo offrono una bella prova di coesione con un momento di gloria nel finale. I pochi balletti sfuggiti ai tagli hanno le coreografie non esaltanti di Eugénie Andrin eseguite dal Ballet de l’Opéra Grand Avignon.

In definitiva uno spettacolo piacevole, ma per le bellurie belcantistiche ci si dovrà chiudere in un teatro come si deve la prossima volta.

 

 

 

 

 

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