Joseph Bédier

Le vin herbé

Frank Martin, Le vin herbé

★★★☆☆

Cardiff, Donald Gordon Theatre, 16 febbraio 2017

(video streaming)

Allestimento minimalista per il Tristano di Frank Martin

La commissione per un breve lavoro destinato a un insieme di dodici voci e piccola orchestra arrivò a Frank Martin dal Madrigalchor di Zurigo e come Le Philtre fu eseguito a Zurigo nel 1940. Il compositore volle espandere il lavoro aggiungendo una seconda e una terza parte, un prologo e un epilogo e in questa versione integrale Le vin herbé fu presentato il 28 marzo 1942. La prima versione scenica, diretta da Ferenc Fricsay e con la regia di Oscar Fritz Schuh, ebbe luogo a Salisburgo nell’agosto 1948, in tedesco come Der Zaubertrank. Il testo, dello stesso compositore, è tratto da Le Roman de Tristan et Iseut pubblicato nel 1900 da Joseph Bédier, specialista di letteratura medievale.

Nel prologo il coro chiede al pubblico se vuole sentire un bel racconto d’amore e morte, quello di Tristano e Isotta che tanto si amarono e che morirono di dolore lo stesso giorno, «Lui par elle, elle par lui». Prima parte. La pozione. La madre di Isotta la Bionda consegna a Brangania un vino drogato con erbe il cui effetto sarà quello di far innamorare Isotta e re Marco la sera delle nozze, così gli sposi «s’aimeront de tous leurs sens et de toutes leurs pensées, à toujours, dans la vie et dans la mort». Durante una sosta in cui l’equipaggio della nave che deve portare la donna da re Marco è sceso a terra, Isotta e Tristano bevono, senza conoscerne l’effetto, il vino e diventano perdutamente innamorati l’uno dell’altra. Seconda parte. La foresta di Morois. Arrivati da re Marco gli amanti vengono denunciati. Scampando alla morte essi si ritrovano nella foresta dove vivono fino a che il rimorso di Tristano nei riguardi di re Marco li porta a separarsi. Terza parte. La morte. Esiliato e lontano da Isotta, Tristano accetta di sposare la figlia del duca di Hoël, Isotta dalle Bianche Mani. Ferito in battaglia, Tristano sente che sta per morire e chiede a Kaherdin di poter rivedere l’amata per l’ultima volta. Kaherdin gli dice che se sulla nave ci sarà la donna isserà una vela bianca, in caso contrario sarà nera. Isotta dalle Bianche Mani ascolta questa conversazione e quando all’orizzonte, dopo una tempesta di mare durata cinque giorni, appare una nave con la vela bianca, lei dice a Tristano trattarsi di una vela nera e l’uomo muore di dolore. All’arrivo in terra Isotta scopre che Tristano non è più vivo e anche lei si lascia morire sdraiata sul suo corpo. Re Marco li fa seppellire di fianco e un albero cresciuto sulla tomba di Tristano tende i suoi rami verso quella di Isotta. Tagliato ben tre volte, questo ricresce ogni volta e «plonge encore au lit d’Iseut». Il re rinuncia a farlo tagliare. Nell’epilogo il coro ricorda i trovatori del passato che hanno raccontato questa storia perché si possa trovare conforto «contre l’inconstance, | Contre l’injustice, | Contre le dépit, contre la peine, | Contre tous les maux d’amour».

Rispetto alla versione wagneriana di 82 anni prima, questa di Martin è intimista, con soli sette archi (due violini, due viole, due violoncelli un contrabbasso) e un pianoforte. L’omogeneità della strumentazione non preclude una certa ricchezza di colori nella partitura. Diversamente dallo Stravinskij dello stesso periodo, che si contrapponeva al tardo romanticismo, Martin dimostra invece di essere un romantico alla sua maniera nell’uso della melodia e dell’armonia. Il risultato non è un freddo racconto della vicenda, ma un’appassionata lettura fatta dai due protagonisti che sono membri essi stessi del coro che commenta le loro azioni.

La costa gallese, dal cui mare prende il via la storia, ospita ora questa produzione de Le vin herbé: siamo infatti alla Welsh National Opera nel Donald Gordon Theatre del Wales Millennium Centre di Cardiff. L’oratorio profano viene allestito dalla regista Polly Graham con una scena minimalista costituita da un solo ponte praticabile e alcune sedie, i costumi sono moderni, l’azione è concentrata sui due protagonisti. La smilza compagine cameristica, diretta da James Southall, è posta al centro del palcoscenico.

Nell’originale le voci soliste degli otto personaggi appartengono a un coro di dodici elementi, qui invece abbiamo degli interpreti già noti e il coro è ricco di una quarantina di voci. Caitlin Hulcup e Tom Randle sono la coppia di amanti: la prima è un intenso mezzosoprano, il secondo ha una sua sommessa nobiltà ma anche i difetti di vocalità già rilevati altrove. Nell’insieme comunque formano una coppia credibile, anche se la lingua inglese della prosaica traduzione di Hugh Macdonald non rende la musicalità del testo originale.

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