Jean-Philippe Rameau, Samson
Aix-en-Provence, Théâtre de l’Archevêché, 12 luglio 2024
(diretta streaming)
Sansone scansionato e la musica riciclata di Rameau
È al Théâtre de l’Archevêché che, dopo più di due secoli, sono state (ri)eseguite alcune delle opere più importanti di Jean-Philippe Rameau: Platée nel 1956; Les Boréades, mai eseguite prima sul palcoscenico, nel 1982; l’anno successivo Hippolyte et Aricie. Per la loro sesta collaborazione con il Festival, l’ensemble Pygmalion e Raphaël Pichon propongono questo progetto Samson. Liberamente ispirata a un’opera perduta di Rameau, su libretto di Voltaire, questa produzione è uno dei principali eventi del 76° Festival d’Aix-en-Provence, che coglie l’occasione per rinnovare la conoscenza di uno dei suoi compositori più emblematici.
Voltaire era molto critico nei confronti delle tragédies lyriques, colpevoli, a suo avviso, di un uso eccessivo della danza e di arie di bravura. Famoso all’epoca come drammaturgo e commediografo, il filosofo cercava di far rivivere l’ideale di edificazione morale propugnato dai capolavori di Corneille e Racine, sognando di portare sul palcoscenico lirico un’opera capace di difendere una visione ideologica radicale e un pensiero critico. Anche a costo di suscitare polemiche, come avevano fatto nello stesso periodo le sue Lettres philosophiques. La collaborazione di Voltaire con Rameau iniziò, tuttavia, con un malinteso. Dopo la prima di Hippolyte et Aricie aveva dichiarato: «La musica è di un certo Rameau, un uomo che ha la sfortuna di saperne più di Lully. È un pedante della musica. È esatto e noioso». Pochi mesi dopo però faceva una completa inversione di rotta, rivolgendosi al compositore in termini ditirambici per proporgli un libretto su un soggetto biblico di sua scelta. Nacque così il Samson.
Il progetto subì un rallentamento, in parte per la riluttanza di Rameau a eliminare il Prologo e un certo numero di divertissements, ma soprattutto a causa della censura, che intervenne a più riprese, in particolare per sostituire Sansone con il personaggio mitologico di Ercole, la cui espressione di forza fisica era meno soggetta a controversie teologiche. Tutto fu invano, perché l’accusa di aver mescolato il sacro con il profano portò alla definitiva messa al bando dell’opera con il pretesto che il testo biblico era presentato sotto forma di favola. L’opera fu ascoltata da un ristretto numero di persone, tra cui Voltaire, ma la partitura non fu mai pubblicata poiché Rameau preferì riutilizzare la musica che aveva originariamente composto in altre opere. Voltaire pubblicò il suo Samson alla fine della sua vita, per l’edizione delle sue opere complete, ma in una versione presumibilmente edulcorata.
Prologo. La Volupté (Piacere sensuale) celebra il suo lungo regno sul popolo di Parigi. Ercole e Bacco ammettono che l’amore ha fatto loro dimenticare le famose vittorie militari e offrono la loro obbedienza al Piacere. Improvvisamente, la Virtù arriva in una luce accecante. Rassicura Piacere che non è venuto a scacciarla, ma a servirsi del suo aiuto per convincere i mortali a seguire le lezioni della verità. Dice che ora presenterà al pubblico un Ercole vero, non mitico (cioè Sansone) e mostrerà come l’amore abbia causato la sua caduta.
Atto primo. Sulle rive del fiume Adone, i prigionieri israeliti deplorano il loro destino sotto la dominazione filistea. I Filistei intendono costringere gli israeliti ad adorare i loro idoli. Arriva Sansone, vestito con una pelle di leone, e distrugge gli altari pagani. Esorta gli israeliti indifesi a riporre la loro fede in Dio, che gli ha dato la forza di sconfiggere i Filistei.
Atto secondo. Nel suo palazzo reale il re dei Filistei apprende della liberazione dei prigionieri da parte di Sansone e della sconfitta dell’esercito filisteo. Entra Sansone, con una clava in una mano e un ramo d’ulivo nell’altra. Offre la pace se il re libererà gli israeliti. Quando il re rifiuta, Sansone dimostra che Dio è dalla sua parte facendo sgorgare spontaneamente l’acqua dalle pareti di marmo del palazzo. Il re rifiuta ancora di sottomettersi, così Dio manda un fuoco dal cielo che distrugge i raccolti dei Filistei. Infine, il re accetta di liberare gli israeliti e i prigionieri si rallegrano.
Atto terzo. I Filistei, compresi il re, il sommo sacerdote e Dalila, pregano i loro dèi Marte e Venere di salvarli da Sansone. Un oracolo dichiara che solo la forza dell’amore può sconfiggere Sansone. Fresco delle sue vittorie, Sansone arriva e viene cullato dal mormorio di un ruscello e dalla musica delle sacerdotesse di Venere, che celebrano la festa di Adone. Dalila prega la dea di aiutarla a sedurre Sansone. Sansone cade nel suo fascino nonostante gli avvertimenti di un coro di israeliti. A malincuore parte di nuovo per la battaglia, dopo aver giurato il suo amore a Dalila.
Atto quarto. Il Sommo Sacerdote esorta Dalila a scoprire il segreto della straordinaria forza di Sansone. Entra Sansone, pronto a fare pace con i Filistei in cambio della mano di Dalila e supera la sua iniziale riluttanza a che il matrimonio abbia luogo nel Tempio di Venere. Dalila dice che lo sposerà solo se le rivelerà la fonte della sua forza e Sansone le dice che sta nei suoi lunghi capelli. Si sente un tuono e il Tempio di Venere scompare nell’oscurità; Sansone capisce di aver tradito Dio. I Filistei accorrono e lo fanno prigioniero, lasciando Dalila disperata e pentita del suo tradimento.
Atto quinto. Sansone si trova nel tempio filisteo, accecato e in catene. Si lamenta della sua sorte con un coro di israeliti prigionieri, che gli portano la notizia che Dalila si è uccisa. Il re tormenta ulteriormente Sansone facendolo assistere ai festeggiamenti per la vittoria filistea. Sansone chiede a Dio di punire la bestemmia del re. Sansone promette di rivelare i segreti degli israeliti a patto che questi ultimi vengano allontanati dal tempio. Il re acconsente e, una volta che gli israeliti se ne sono andati, Sansone afferra le colonne del tempio facendo crollare l’intero edificio su di sé e sui Filistei.
Quasi tre secoli dopo, Raphaël Pichon si occupa del “caso Sansone” da autentico detective, guidato da un’intuizione nata dalla scoperta, in una lettera di Voltaire, di un’allusione all’opera censurata, in cui quest’ultimo esaltava al suo corrispondente i meriti del celebre coro «Que tout gémisse», che apre il II atto di Castor et Pollux: «Che peccato, se penso che è con questo lamento degli israeliti che si apriva il nostro Samson!». L’indagine è andata avanti e ha rivelato che Rameau ha riutilizzato pagine in diverse opere successive, come Les Indes galantes, Les Fêtes d’Hébé e Zoroastre. Il Samson presentato ad Aix-en-Provence non è una ricostruzione del Samson perduto, ma “una libera creazione”, un pasticcio, un assemblaggio di brani di Rameau con un testo in gran parte nuovo ispirato alla storia biblica di Sansone e una drammaturgia ideata dal regista Claus Guth e da Yvonne Gebauer.
Abbandonando un’impossibile ricostruzione filologica, Pichon e Guth si spingono più indietro nella storia biblica rispetto al libretto di Voltaire o ad altri adattamenti come l’oratorio di Handel o il Samson et Dalila di Saint-Saëns. Le parole originali sono modificate per raccontare una nuova storia, che poco ha a che fare con la trama su riportata. Un paesaggio sonoro elettronico cupamente rimbombante e lamentoso, progettato da Mathis Nitschke, punteggia in modo inquietante alcune scene, un dialogo tra la musica di Rameau e suoni più contemporanei. Quello che vediamo svolgersi sul palcoscenico è la ricostruzione retrospettiva dell’azione basata sui ricordi dell’anziana madre di Sansone tornata sul “luogo del delitto”: una stanza rovinata da un cataclisma, che potrebbe essere una stanza del Palazzo Arcivescovile passata ai raggi X e perquisita da uomini in giacca e cravatta che appartengono al nostro tempo. È qui che Sansone si è tolto la vita abbattendo queste mura e portando con sé tutti i Filistei che lo avevano imprigionato. La madre si chiede allora come abbia fatto il figlio a trovarsi lì, in un bel gioco di analogie tra lo spazio demolito, il corpo ormai annientato del figlio e la sua memoria in frantumi. Il resto dello spettacolo diventa l’indagine sulla morte del figlio della madre di Sansone, l’attrice Andréa Ferréol che recita brani da Il testamento di Maria (2012), il romanzo dello scrittore irlandese Colm Tóibín narrato dalla prospettiva della madre di Gesù. A fare da collegamento tra i diversi numeri musicali sono le citazioni bibliche dal “Libro dei Giudici” (capitoli 13-16) dell’Antico Testamento proiettate su una parete del ricco ambiente in rovina (scenografia di Etienne Pluss) illuminato dal bel gioco luci di Bertrand Couderc in cui il raggio di luce rossa rappresenta la forza sovrumana di Sansone, ma anche la sua violenza, mentre a tratti l’azione si arresta e un raggio verde percorre la scena come per farne una scansione. I sobri costumi disegnati da Ursula Kudrna puntano sul bianco per gli Ebrei e il nero per i Filistei. Gli innumerevoli balletti sono qui realizzati con movimenti semicoreografati dei coristi e di mimi durante i numeri strumentali.
«Ciò che risalta maggiormente nel lavoro congiunto di Pichon e Guth è la complessità del ritratto di Sansone, a sua volta eroe e antieroe, santo e demone, torturatore e martire. La storia di Sansone non è altro che una ripetizione infinita di violenza e vendetta, giustificata dall’elezione divina del nazir. Questo Sansone è un’illustrazione profondamente toccante delle peggiori giustificazioni che gli uomini danno alla violenza che perpetrano, che riecheggia la denuncia di Voltaire del fanatismo religioso, ma che si tinge di una malinconia che è molto del nostro tempo. Come non pensare agli eventi che stanno attualmente lacerando i territori palestinesi e israeliani quando rivisitiamo questa storia biblica, che ritrae scontri inestricabili nella terra di Gaza?», scrive Clément Mariage su Forum Opéra.
A fare da collante a tutto ciò è la concertazione di Raphaël Pichon, alla testa dell’ensemble Pygmalion, che esalta l’arditezza strumentale di Rameau e la forza della sua musica che passa indenne da un testo all’altro. Il magnifico coro Pygmalion è di volta in volta Filisteo o israelita o commenta l’azione portata avanti da interpreti quali il baritono americano Jarrett Ott, un Sansone scenicamente intenso e vocalmente solido che supera la barriera della lingua con un fraseggio incisivo o il basso argentino Nahuel di Pierro, il perfido Achisch. Ma le eccellenze qui sono femminili: la Dalila di Jacquelyne Stucker, sontuosa e sensuale; Timna, la moglie di Sansone non nominata dalla Bibbia, l’incantevole Lea Desandre. Personaggio totalmente inventato è quello di Elon, un amico di Sansone colpito dalla violenza delle sue azioni che passa dalla parte dei Filistei, affidato alla smagliante vocalità di Laurence Kilsby.
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