Maurice Ourry

Il signor Bruschino

foto © Studio Amati Bacciardi

Gioachino Rossini, Il signor Bruschino o Il figlio per azzardo

★★★★☆

Pesaro, Teatro Rossini, 7 agosto 2021

Al ROF salpa la barca del Signor Bruschino

Il castello di Gaudenzio è un barcone da pesca (che però si chiama “Il mio castello”…) nella messa in scena di Barbe&Doucet – Renaud Doucet regista e André Barbe scenografo e costumista – de Il signor Bruschino, la seconda proposta del Rossini Opera Festival di quest’anno. A parte l’ambientazione e il periodo, gli anni ’30-’40 del secolo passato, non ci sono particolari forzature o attualizzazioni nella loro piacevole lettura di questa farsa. D’altronde la vicenda di Giuseppe Maria Foppa è già di per sé abilmente congegnata e non specificamente datata.

Guy Simard immerge nella luce dorata di un mattino d’estate la scena formata da un piccolo molo, un barcone e una scialuppa. Suoi sono anche gli effetti di riflessi sull’acqua o i cambi di luce nei momenti clou della vicenda che è scandita sulla musica che Michele Spotti, alla guida dell’Orchestra Filarmonica Gioachino Rossini in platea, realizza con gusto fin dalla celebre sinfonia, con quei colpi sul leggio dei secondi violini che tanto irritarono il pubblico della disastrosa prima al San Moisè veneziano il 27 gennaio 1813. Qui nello storico teatrino pesarese, nei palchi di questa anteprima riservata alla stampa il pubblico è invece soddisfatto: la musica scorre vivace ma con rispetto dei cantanti e senza i ritmi forsennati a cui qualcuno talora si appiglia. Rispetto ad altre farse qui il tono surrealistico è meno marcato e, seppur strampalata, la storia ha una sua verità e i personaggi una dimensione caricaturale mai esagerata.

Lo hanno ben compreso sia Michele Spotti, cui si deve una concertazione accurata e leggera, sia gli interpreti, a partire da Pietro Spagnoli – Gaudenzio nella produzione qui al ROF del 1997, ripresa del collaudato spettacolo di Roberto de Simone risalente al 1985 – il quale incarna un Bruschino padre scorbutico e ipocondriaco che in fondo però suscita la nostra simpatia per la burla di cui è fatto oggetto. Il ruolo di “buffo parlante” è magnificamente realizzato dal baritono romano che cesella l’espressione senza affettazione e utilizza con maestria dinamiche e colori per definire il personaggio. Riesce a interpretare anche il suo tormentone «Uh, che caldo!» esprimendolo ogni volta (e sono ben sedici!) in un modo diverso. Gli fa da da spalla il “buffo cantante” Gaudenzio, qui un Giorgio Caoduro uscito dall’Accademia Rossiniana, ma che solo ora debutta a Pesaro, che dipana le agilità della parte con agio e riempie la sala con una voce ben proiettata e di bel timbro. Il tutto a sostenere un carattere che verrà alla fine burlato lui stesso: il matrimonio che ha celebrato è quello della sua pupilla con il figlio del suo nemico, nel frattempo convenientemente deceduto, e il rimprovero «Per un stolido puntiglio | rinnegate adesso un figlio!» fino a quel momento rivolto a Bruschino padre, è ora per lui.

La coppia dei giovani amanti ha in Florville figlio l’elemento motore della vicenda: è lui che paga l’albergatore affinché tenga rinchiuso in soffitta per debiti il vero Bruschino figlio, è lui che che si traveste e fa impazzire Bruschino padre fingendosi il figlio. Il tenore americano Jack Swanson si cala con sicurezza nella parte ed esibisce uno strumento vocale di buona qualità. Anche la dizione è irreprensibile. Marina Monzò, soprano valenciano di grande temperamento e sicura tecnica vocale, delinea una Sofia all’inizio timida, poi sempre più sicura di sé fino a sostenere vittoriosamente lo scontro con Bruschino padre, che ne rimane un po’ infatuato. Non particolarmente caratterizzato, ma comunque efficace, il Filiberto di Gianluca Margheri mentre la Marianna di Chiara Tirotta, il commissario di Enrico Iviglia e il Bruschino figlio di Manuel Amati completano il cast di una felice produzione.

Al fortepiano Giorgio d’Alonzo accompagna i recitativi infiorettandoli con gusto e improvvisando quando Bruschino tarda a tirar fuori gli occhiali per leggere l’ennesima lettera. Sono infatti delle lettere gli elementi che risolvono questa breve farsa in cui un Rossini ventunenne fa chiaramente presagire la sua sorprendente futura carriera.

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Il signor Bruschino

Gioachino Rossini, Il signor Bruschino

★★★★☆

Monaco, Nationaltheater, 21 marzo 2021

(video streaming)

Comicità in bianco e nero

La pandemia non ferma i teatri allo stesso modo: a Monaco si reagisce meglio che in altri e la programmazione prosegue, anche se in streaming, magari sfruttando in maniera diversa il nuovo medium.

Marcus H. Rosenmüller, regista di cinema e documentarista televisione, che aveva qui prodotto sette anni fa un Comte Ory, fa diventare Il signor Bruschino un film in bianco e nero, una vecchia pellicola rigata dal tempo in cui le inquadrature hanno un taglio cinematografico. La vicenda è ambientata in un teatro dove Sofia è una sarta e Florville il custode, con l’orchestra sul palcoscenico davanti a uno schermo e i cantanti agiscono al proscenio con pochi mezzi scenografici a disposizione. Dirige l’orchestra del teatro in formazione ridotta – flauto, due oboi, clarinetto, fagotto, due corni, archi e basso continuo al pianoforte per i recitativi secchi – Antonino Fogliani, un esperto di questo repertorio che infatti mette abilmente in risalto i frutti del precoce genio rossiniano, qui otto numeri musicali preceduti dalla famosa sinfonia con gli archetti dei violini che battono sui leggii.

A parte Bruschino padre, ognuno dei personaggi principali ha un pezzo in cui primeggiare: Emily Pogorelc dipana la bellissima aria di Sofia «Ah, donate un caro Sposo» con sensibilità e agili colorature; Josh Lovell è un lirico Florville nel «Deh tu mi assisti amore» con cui si apre l’opera e i due giovani interpreti si uniscono nel sognante «Quant’è dolce un’alma amante»; di tono completamente diverso è il duetto «Io danari vi darò» in cui Florville si mette d’accordo con Filiberto, un efficace Edwin Crossley-Mercer, per tener rinchiuso nella locanda Bruschino figlio per farsi passare per lui e conquistare la figliola; l’aspetto più comico dell’atto unico è appannaggio dei personaggi di Gaudenzio, qui Misha Kiria buon caratterista ma dall’intonazione talora vagante nella sua cavatina «Nel teatro del gran mondo». Come Bruschino padre, che nonostante sia il personaggio del titolo non ha un’aria tutta per sé ma entra a far parte degli insiemi, c’è l’irresistibile e come sempre eccellente Paolo Bordogna. Eliza Boom (Marianna), Andrew Hamilton (Delegato di Polizia) e Andres Agudelo (Bruschino figlio) completano lo smilzo cast di questo fluido e piacevole spettacolo.


 

Il signor Bruschino

Gioachino Rossini, Il signor Bruschino

★★★☆☆

Pesaro, Teatro Rossini, 18 agosto 2012

(registrazione video)

Bruschino a RossiniLand

Nato nel 2004 dall’incontro di attori usciti dalla Scuola Laboratorio di Sesto Fiorentino, Teatro Sotterraneo è un elemento di spicco della nuova scena contemporanea. Vincitore del premio Ubu del 2019 («per la capacità di rinnovare la scena, mettendo alla prova la tenuta del linguaggio e facendo emergere gli aspetti più inquieti e imbarazzati del nostro stare nel mondo attraverso l’uso intelligente di nuovi codici visuali e linguistici»), nel 2012 era stato ingaggiato dal ROF per la messa in scena dell’ultima delle cinque farse scritte dal giovane Rossini per il veneziano Teatro di San Moisé. Dopo aver completato il recupero di tutti i lavori, anche di quelli meno noti o addirittura inediti, il Festival ora si premura di riproporli in allestimenti che spesso rasentano la sperimentazione.

“Farsa giocosa” è definito Il signor Bruschino e stavolta la denominazione è azzeccata per la strampalata vicenda del Foppa, resa ancor più stravagante dalla messa in scena del collettivo Teatro Sotterraneo: il sipario si apre sul padiglione “Il signor Bruschino” di RossiniLand, un parco divertimenti dedicato al sommo pesarese. Figuranti un po’ svogliati e dai costumi ironici si preparano a rivivere la vicenda per il pubblico domenicale di famiglie scese sull’Adriatico. Il tour include anche la visita all’ottocentesco Teatro Rossini e i turisti armati di macchina fotografica (sì, sette anni fa ancora non erano soppiantate dagli smartphone) ammirano dorature, velluti, palchi e rispettivi occupanti. Arguta e divertente la regia dà pepe a questa operina dal ritmo scorrevole.

Dopo la bella prova del Demetrio e Polibio di due anni prima, tornano a occuparsi delle scenografie e dei costumi gli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Urbino con eccellenti risultati. Il giovane Daniele Rustioni a capo dell’Orchestra Sinfonica Rossini dà una lettura efficace del lavoro con spunti interessanti. Nettamente sbilanciato il cast vocale: Sofia è Maria Aleida dal timbro sottile, l’espressione un po’ monocorde, agilità precise ma meccaniche e una predilezione per i sopracuti non sempre giustificata. Di poco volume anche il Florville di David Alegret, voce per di più dal timbro non piacevole. A contrasto è il peso sonoro di Roberto de Candia (Bruschino senior) e Carlo Lepore (Gaudenzio), che arriva su un segway e per tutta la serata impone la sua presenza sia vocale che scenica. Una quasi debuttante Chiara Amarù è Marianna, vivace Filiberto è Andrea Vincenzo Bonsignore mentre nella parte ridotta di Bruschino junior troviamo Francisco Brito.

 

Il signor Bruschino

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★★★★☆

1813, annus mirabilis di Rossini

Il signor Bruschino o Il figlio per azzardo è l’ultima delle cinque farse che Rossini scrisse per il teatro San Moisè di Venezia (1). Presentata il 27 gennaio 1813 (2), su libretto del Giuseppe Foppa e tratta dalla commedia in cinque atti Le fils par hasard ou Ruse et folie (1809) di Alissan de Chazet e Maurice Ourry, fu un fiasco solenne e venne rappresentata solo altre due volte nell’Ottocento, di cui una a Parigi nel 1856 diretta da Offenbach. Solo nella seconda metà del secolo scorso l’operina ha ripreso a essere presente sulle scene, rimanendo comunque molto più famosa la sinfonia, con quei colpi del legno dell’archetto sul leggio che scandalizzarono tanto alla prima: «Diremo soltanto che è incomprensibile come un maestro s’immagini in una sterilissima sinfonia d’innestar la battuta delle pianelle de’ lumi dell’orchestra, basso avvilimento, cui rifiutaronsi la prima sera i valentissimi professori che la compongono» scrive il cronista del “Giornale dipartimentale dell’Adriatico”. L’insuccesso della prima era da addebitare sia alla musica sia alla macchinosità della vicenda ridotta da cinque a un solo atto (3). Ma il libretto del Foppa, che già aveva scritto per Rossini L’inganno felice e La scala di seta, è invece ben congegnato e arguto (con quel Bruschino padre che ad ogni istante sbuffa nel famoso tormentone «Uh, che caldo!») e la musica di grande qualità, con otto numeri che alternano sapientemente arie solistiche e pezzi di insieme. Smilzo l’organico strumentale: cinque legni, 2 corni, archi e il clavicembalo (o violoncello/contrabbasso) per i recitativi.

Nel 1989 allo Schwetzingen Festival Gianluigi Gelmetti inizia la presentazione delle farse rossiniane (ne seguiranno negli anni successivi altre tre) con l’allestimento di Michael Hampe, le scenografie di Carlo Tomasi e i costumi di Carlo Diappi. Regia tradizionale e scorrevole, ironica e al passo con la musica.

La direzione di Gelmetti è frizzante ed elegante allo stesso tempo e si avvale di un cast di ottimo livello. Amelia Felle, Alberto Rinaldi e Alessandro Corbelli sono tutti, oltre che eccellenti vocalisti, attori disinvolti e perfettamente a loro agio in scena. Non molto gradevole il timbro di David Kuebler, ma il cantante tedesco si dimostra comunque grande stilista.

Qualcuno sa spiegare che cosa c’entra la riproduzione de Il bacio (1859) di Hayez sulla copertina del disco in cui una specie di alpino abbraccia la sua bella prima di partire per la guerra?

(1) Le altre quattro sono La cambiale di matrimonio, L’occasione fa il ladro, L’inganno felice e La scala di seta.

(2) Dopo neanche due settimane è la volta del Tancredi, a maggio de L’italiana in Algeri, a dicembre dell’Aureliano in Palmira.

(3) Florville, amante di Sofia, giunge al castello di Gaudenzio, tutore della fanciulla, per trarla in sposa, ma viene a sapere che Gaudenzio l’ha destinata al figlio di un certo signor Bruschino rinchiuso in una locanda in quanto ha contratto debiti per più di 400 franchi. Florville si finge cugino di Bruschino e ne salda il debito a patto che continui a essere tenuto sotto chiave. Si fa dare dal locandiere Filiberto la lettera di presentazione di Bruschino e si sostituisce a lui per sposare Sofia; fa quindi recapitare a Gaudenzio una finta lettera di Bruschino padre, nella quale si chiede che il tutore faccia arrestare il figlio perdigiorno e lo trattenga nella sua abitazione. Florville si fa arrestare volontariamente e recita la parte del pentito di fronte a Gaudenzio. Ma in quella giunge Bruschino padre, furibondo per le malefatte del figlio, che ovviamente non riconosce in Florville. Gaudenzio crede che Bruschino non riconosca il figlio per l’irritazione e lo invita a cedere. Bruschino padre chiede addirittura l’intervento di un delegato di polizia, ma non si viene a capo di nulla. Inoltre Filiberto chiama Florville Bruschino e questo toglie ogni dubbio all’adempimento del contratto nuziale. Ma Filiberto reclama il saldo del debito a Bruschino, scoprendo così l’inganno. Bruschino vuole svelare tutto, ma apprende che Florville è il figlio di un senatore nemico di Gaudenzio, così per vendicarsi riconosce Florville come figlio e lascia che sposi Sofia. Anche Gaudenzio acconsente, ma improvvisamente fa la sua comparsa il vero Bruschino figlio. Gaudenzio va su tutte le furie quando apprende di aver dato la sua pupilla in sposa al suo maggior nemico, ma ormai è troppo tardi e al tutore non resta che il perdono dopo che Bruschino gli rifà il verso: «Per un stolido puntiglio | rinnegate adesso un figlio!»