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Christoph Willibald Gluck, Iphigénie en Aulide / Iphigénie en Tauride
Aix-en-Provence, Grand Théâtre de Provence, 11 luglio 2024
(diretta streaming)
Casa Atridi
Cinque anni dividono la composizione di Iphigénie en Aulide da quella di Iphigénie en Tauride: la prima fu creata il 19 aprile 1774 all’Académie royale de musique di Parigi su libretto di François-Louis Gand Le Bland Du Roullet, attaché all’ambasciata di Francia, tratto dall’Iphigénie di Racine di cento anni prima; la seconda nacque il 18 maggio 1779, sempre all’Académie, su testo del giovane poeta e per la prima volta librettista tragico Nicolas-François Guillard, tratto dall’omonima dramma di Claude Guimond de La Touche del 1757 a sua volta ricavata dalla tragedia di Euripide.
Nella prima siamo nella città di Aulide in Beozia dove la flotta greca pronta a partire per Troia è bloccata in porto da una bonaccia. Agamennone deve sacrificare la giovane figlia Ifigenia per placare la dea Diana ed affrontare così l’assedio alla città sull’Ellesponto. Oreste qui è bambino. Nella seconda sono passati 25 anni, siamo nel Chersoneso Taurico, l’odierna Crimea, Oreste ha vendicato su Clitennestra l’uccisione del padre Agamennone ed è Ifigenia ora che, diventata grande sacerdotessa, deve sacrificare a Diana il fratello in quanto straniero sbarcato in quel paese.
Iphigénie en Aulide inizialmente ebbe un successo modesto, ma nei successivi cinquant’anni le quattrocento riprese ne fecero l’opera di Gluck più eseguita, per poi passare in second’ordine rispetto all’Orfeo ed Euridice nella prima metà dell’Ottocento. Fu Richard Wagner a occuparsene nel 1847 con una la versione, Iphigenia in Aulis, per la Semper Oper di Dresda con Wilhelmine Schröder-Devrient nei panni di Clitennestra e Johanna Wagner in quelli della protagonista. La versione di Wagner ebbe grande successo nei teatri tedeschi dove venne rappresentata in luogo della versione originale francese fino ad anni recenti. La fortuna moderna dell’opera inizia nel 1950 al Maggio Musicale Fiorentino con Boris Christoff come Agamennone. Di un anno dopo è la registrazione radiofonica in tedesco con Dietrich Fischer-Dieskau e diretta da Artur Rother.
Iphigénie en Tauride è la penultima delle opere di Gluck, scritta nel pieno della polemica con Piccinni, autore anche lui dello stesso soggetto che venne però presentato quasi due anni dopo. Un’Ifigenia in Tauride era stata nel frattempo messa in musica da Tommaso Traetta nel 1763. L’opera di Gluck riscosse immediatamente un successo mantenutosi poi nel tempo. Una versione in tedesco fu approntata dallo stesso autore per Vienna in occasione della visita nella capitale asburgica del granduca Paolo di Russia e rappresentata nel 1781 al Nationalhoftheater, come l’imperatore Giuseppe II aveva voluto ridenominare il Burgtheater di Vienna dopo il licenziamento dei complessi e dei cantanti italiani e la loro sostituzione con artisti di lingua tedesca. Anche Richard Strauss si produsse in una completa revisione dell’opera andata in scena a Weimar nel 1900 con il titolo goethiano Iphigenie auf Tauris, una versione che si ascoltò a Martina Franca nel 2009.
Nell’ Iphigénie en Tauride molti sono gli autoimprestiti ricavati da sue opere precedenti:
- l’Introduzione è tratta dall’ouverture de L’île de Merlin, rappresentante una tempesta seguita dalla calma; nell’Iphigénie, l’ordine è però invertito, cosicché l’opera si apre con un momento di calma che si tramuta subitaneamente in tempesta.
- l’aria Dieux qui me poursuivez è tratta dal Telemaco («Non dirmi ch’io»).
- la musica per le Furie nel secondo atto è tratta dal balletto Sémiramis.
- l’aria «O malheureuse Iphigénie» del secondo atto è tratta da La clemenza di Tito («Se mai senti spirarti sul volto»)
- il coro sempre del secondo atto, «Contemplez ces tristes apprêts»,è tratto dalla sezione centrale della medesima aria.
- l’aria «Je t’implore et je tremble» era già apparsa con l’incipit «Perché, se tanti siete» nell’Antigono, ma è ispirata alla giga della Partita n. 1 in si bemolle maggiore (BWV 825) di Bach.
- una parte della musica della scena finale del quarto atto è tratta, di nuovo, dalla Sémiramis.
- il coro finale «Les dieux, longtemps en courroux» proviene da Paride ed Elena («Vieni al mar»).
Nonostante le differenze drammaturgiche e musicali, le due opere di Gluck vengono talora abbinate in un dittico, come succede ora con questa coproduzione con le Opere Nazionali di Atene e Parigi che inaugura il Festival di Aix-en-Provence 2024 diretto da Pierre Audi il quale nel 2011 ad Amsterdam aveva abbinato le due opere.
Alla sua quarta produzione al Festival, Dmitrij Černjakov unifica i due lavori con un’ambientazione moderna e minimalista che mostra uno spaccato della casa degli Atridi con pareti trasparenti e poche suppellettili nella prima parte. Nella seconda di quella casa e di quei mobili si vedono solo i fantasmatici contorni realizzati con tubi al neon. «Cette nuit… j’ai revu le palais de mon père», racconta Ifigenia, e una casa smaterializzata è quella nella scenografia dello stesso Černjakov che le luci di Gleb Filshtinsky rendono ancora più onirica. Con la drammaturga Tatiana Werestchagina, il regista russo imborghesisce la vicenda mitologica, anche Diana più che dea è una figura umana e fragile, sosia di Ifigenia, che offre il suo collo alla lama del carnefice per salvare la ragazza. Più che per placare l’offesa dea, il sacrificio è dettato dalla volontà di affermare il prestigio dei Greci in partenza per la guerra. E ‘GUERRA’ è la parola che campeggia nell’intervallo fra le due opere. E un ricovero per invalidi di guerra è diventata la Tauride, dove lo stesso Thoas si rivela fortemente traumatizzato, mentre Ifigenia, qui invecchiata più del dovuto, è una figura pessimisticamente rassegnata alla rovina della famiglia. Neanche il ritrovamento del fratello minore, che infatti fuggirà con Pilade lasciandola ancora una volta sola con i suoi soldatini giocattolo, riesce a smuoverne l’apatico atteggiamento.
Le numerose danze presenti in partitura vengono rese con movimenti in scena del coro e dei protagonisti principali, come il balletto-pantomima delle Eumenidi con l’apparizione di Clitennestra uccisa più volte da Oreste. Sempre molto attento alla psicologia dei personaggi si dimostra anche questa volta Černjakov. Ad esempio il rapporto bruscamente fisico tra Oreste e Pilade cela una relazione fortemente affettiva che però il regista, gay dichiarato, non rende sentimentalmente esplicita, anche se il libretto ne darebbe l’occasione. La seconda parte en Tauride risulta più convincente di quella en Aulide, ma l’aspetto borghese della vicenda mitologica sembra una soluzione un po’ troppo facile e un po’ scontato l’accento sul dramma di una famiglia così disfunzionale come quella di Agamennone – e qui Elettra è ancora una bambina mite e inoffensiva!
Per la parte musicale nessuna sorpresa con Emmanuelle Haïm a capo del Concert d’Astrée: la sua concertazione è precisa ma con gusto e diversificazione nelle due parti, con momenti particolarmente drammatici nell’Iphigénie en Tauride. Il flusso sonoro si avvale degli splendidi strumenti storicamente informati dell’ensemble fondato 24 anni fa dalla stessa Haïm dove il bel colore degli archi si unisce agli squillanti interventi dei fiati e alle trascinanti percussioni.
Prestazione magistrale è quella di Corinne Winters che si sobbarca il compito raramente realizzato di interpretare entrambe le Ifigenie, malgrado le due diverse tessiture: più lirica e luminosa quella della prima parte, più grave e introversa quella della seconda. Quasi sempre in scena, il soprano americano non dà cenni di affaticamento con momenti magici come quando intona «Ô malheureuse Iphigénie !» con accento sobrio ma proprio per questo più straziante. «Dieux, auteurs de mes crimes» canta invece Oreste, il personaggio più tormentato, che Florian Sempey interpreta con ampia gamma espressiva che talora nella veemenza del racconto va a scapito dell’intonazione, ma la sua è una presenza sonora e scenica di grande impatto. Stanislas de Barbeyrac è un Pilade stilisticamente impeccabile e nella sua aria «Unis dès la plus tendre enfance» molto commovente. Assieme i due cantanti portano in scena un indimenticabile rapporto di amicizia virile giustamente esaltato dal regista. Alexandre Duhamel è il Thoas distrutto dalla guerra di cui s’è già detto e la prova del baritono francese risulta del tutto convincente. Véronique Gens fu Iphigénie nella produzione Minkowski/Audi del 2011, ora è una Clitennestra magistralmente recitata e dalla massima attenzione alla parola, cantata con timbro sontuoso e perfezione stilistica. Russell Braun è un Agamennone di grande spessore drammatico mentre qualche stanchezza si coglie nel Calchas di Nicolas Cavallier. Vocalmente esuberante nel suo registro di haute-contre è il narcisistico Achille di Alasdair Kent, interpretato con ironia e cantato con sicurezza di acuti. Ottimo il coro del Concert d’Astrée istruito da Richard Wilberforce, quasi onnipresente nella partitura anche se in questa edizione è un personaggio spesso invisibile e relegato in buca.
Il video è disponibile gratuitamente su ArteTV.
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