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Arnold Schönberg, Moses und Aron
★★★★☆
Parigi, Opéra Bastille, 9 novembre 2015
(streaming video)
Indimenticabili immagini di un’opera sulla proibizione delle immagini
Tutto esaurito, non un posto libero nell’enorme Opéra Bastille per un’opera di Schönberg salutata alla fine da un uragano di applausi! La stessa cosa era successa a Londra un anno fa alla Royal Opera House per Mittwoch di Stockhausen, a dimostrazione che la coazione a ripetere i soliti stessi titoli dei teatri lirici forse sta arrivando a un punto salutare di saturazione. Ma l’allestimento deve essere poco meno che straordinario per attirare le folle alla dodecafonia di Schönberg – e qui la straordinarietà c’è.
Prima produzione di Stéphane Lissner e proveniente da Madrid, sul podio c’è il grande Philippe Jordan e in scena le invenzioni scenografiche del regista italiano Romeo Castellucci, cesenate classe 1960. Come Stefano Poda anch’egli si occupa della totalità della messa in scena di uno spettacolo: regia, drammaturgia, scenografia, coreografia, costumi, luci; una visione integrale del teatro come arte plastica e visionaria. Dopo essere stato una punta della sperimentazione teatrale in Italia con il suo gruppo “Societas Raffaello Sanzio”, negli ultimi anni Castellucci si è volto con successo anche al teatro d’opera, tanto da essere eletto nel 2014 “Regista dell’anno” dalla rivista Opernwelt.
Nel primo atto di abbagliante bianchezza in cui un velatino aggiunge una nebbia di quasi invisibilità, un vecchio registratore lascia cadere dall’alto il nastro contenente la voce del roveto ardente. «Un grande, solido, stagliato (così stagliato da apparire iperreale) Revox che sovrasta l’arco di proscenio con le sue bobine che girano lente – il movimento è quello fatale e stupefacente dell’automatismo d’antan, il fascino quello della vecchia fantascienza – riversando il nastro magnetico tra le mani di un’ombra che lo accoglie e lo aggroviglia con la tormentata rassegnazione di chi vorrebbe, ma non può, rifiutare un dono soverchiante». (1)
Riluttante – preferirebbe portare al pascolo le sue greggi – Mosè si incarica di “sbobinare” il messaggio, lui «profeta balbuziente a cui manca il verbo, visionario che (non) vede nulla […] E proprio nel momento della sua controversa vocazione, Romeo Castellucci chiama alle sue spalle il suo fantasma: un bellissimo toro si sporge da una teca, è pallido come un ectoplasma ma un inimitabile fremito delle nari, un minaccioso movimento della testa, rivelano la sua vita: più che un simbolo è una presenza, una forza possente […] una forma, una perturbante forma vivente che, prima di incontrarla in un allevamento, il regista è andato a scovare in chissà quale Lascaux della mente (o nelle evoluzioni del toro picassiano)».
Nel secondo atto (il terzo sappiamo essere stato appena abbozzato dal compositore) tutto viene capovolto e al bianco subentra un nero assoluto. Il vitello d’oro qui più che il grande toro bianco che abbiamo visto prima nella teca è l’“oro nero”, il petrolio, un vischioso liquido con cui tutti vengono contaminati. Visivamente notevole è l’effetto in cui figure in bianco si immergono in una lunga vasca a livello del pavimento per emergerne tutte nere, meno una, quella del giovane, che rimane per poco tempo di un bianco immacolato prima di essere però anche lui cosparso della pece nera. Il liquido è poi spalmato sulla scena e forma delle lettere, le parole delle tavole portate da Mosè.
Come è nel caso di Poda, la perfezione formale delle ideazioni visuali di Castellucci stende un velo di gelida bellezza su quanto avviene in scena e anche se il lavoro di Schönberg non si può certo definire il massimo della esperienza emotiva, altrove, come ad esempio nell’allestimento di Decker a Bochum, il coinvolgimento del pubblico era decisamente maggiore. L’orgia del secondo atto qui non ha proprio nulla di orgiastico, ma è un astratto gioco di corpi e contorsionismi che si atteggiano in glaciali tableaux vivants.
Eccezionale la componente musicale dello spettacolo, dall’orchestra diretta con maniacale attenzione da Jordan al coro onnipresente. I due fratelli sono interpretati da Thomas Johannes Mayer, un Mosè complesso che padroneggia vocalmente in maniera superba lo Sprechgesang che gli ha assegnato l’autore, e uno stupefacente e indefesso John Graham-Hall, Aronne, voce e anima del popolo irrequieto.
Soltanto alla fine durante gli interminabili applausi si scopre che in scena c’erano dei disabili, alcuni anche su sedia a rotelle, che si mescolavano a quel popolo variegato e smarrito che siamo tutti noi.
Di grande qualità lo streaming video trasmesso dalla rete arte in alta definizione e in formato panoramico.
(1) Questa come le altre citazioni sono di Attilio Scarpellini in un’appassionata recensione con immagini dello spettacolo. Un altro interessante articolo può essere letto qui. È sempre più frequente leggere recensioni più interessanti nei blog di appassionati che non sulle pagine dei giornali specializzati.
⸪