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Vincenzo Bellini, La sonnambula
New York, Metropolitan Opera House, 3 aprile 2009
Dessay e Flórez, una Sonnambula che sfiora la perfezione al MET
Ci sono spettacoli che, pur nati per essere effimeri, conservano la capacità di fissare nel tempo un istante di perfezione teatrale. Questa produzione de La sonnambula appartiene a quella ristretta categoria. A immortalarla sono soprattutto due interpreti in stato di grazia: una Natalie Dessay ancora all’apice assoluto delle sue possibilità artistiche e un Juan Diego Flórez che più smagliante di così è difficile anche solo immaginarlo. La loro presenza in scena basta da sola a illuminare l’intera esecuzione, ma ciò che colpisce, oltre al virtuosismo, è la naturalezza con cui entrambi incarnano la scrittura belliniana, restituendone la purezza vocale, la dolce malinconia, le filigrane melodiche e quel misto di grazia e tenerezza che è l’essenza stessa dell’opera.
Si tratta, del resto, di un lavoro straordinario scritto da Vincenzo Bellini nel 1830-31, quando il compositore non aveva ancora compiuto trent’anni. Lo compose con sorprendente rapidità – l’opera fu completata in poche settimane, con l’uso anche di alcune auto-citazioni rielaborate, come era normale per i tempi – quasi d’istinto, come se quella storia sospesa fra ingenuità pastorale e turbamento emotivo gli scorresse già nelle vene. Due anni dopo avrebbe lasciato l’Italia per Parigi, dove incontrò, tra gli altri, Chopin e dove avrebbe scritto la sua ultima opera, I puritani, prima che la morte prematura lo cogliesse nel 1835. In La sonnambula, però, c’è tutta la freschezza della giovinezza: la voce umana trattata come uno strumento di cristallo, le melodie che sembrano affiorare naturalmente dal silenzio, la capacità di raccontare un dramma minimo con una delicatezza assoluta.
Il libretto, firmato da Felice Romani, si ispira al vaudeville di Eugène Scribe La somnambule ou L’arrivée d’un nouveau seigneur del 1819. La vicenda, di per sé elementare, racconta di Amina, fanciulla promessa sposa che, a causa del suo sonnambulismo, viene sorpresa nella stanza del conte Rodolfo la notte prima delle nozze. Un malinteso che rischia di rovinarle la reputazione e il matrimonio, salvo poi sciogliersi nel più rassicurante dei lieti fini. È una storia tipicamente ottocentesca, fondata su equivoci, pudori e fragilità morali, ma Bellini e Romani la trattano come un piccolo gioiello sospeso nel tempo.
Atto I. Quadro primo: Villaggio. In fondo al teatro si scorge il mulino di Teresa: un torrente ne fa girare la ruota. Si festeggiano le nozze fra Elvino ed Amina, un’orfana allevata dalla mugnaia Teresa. L’unica ad essere scontenta è l’ostessa Lisa, anch’essa innamorata del giovane possidente, che rifiuta le profferte amorose di Alessio, un altro giovane del villaggio. Al villaggio giunge un nobiluomo, che mostra di conoscere assai bene quei luoghi, ma che nessuno dei villici riconosce. Si tratta del conte Rodolfo, figlio del defunto signore del castello. Il gentiluomo, che si stabilisce nella locanda di Lisa, rivolge alcuni complimenti ad Amina, dicendole che il suo viso le ricorda quello di una donna che egli aveva conosciuto molti anni prima. Prima di salutarlo, i villici lo avvertono che il paese è popolato dalla sinistra presenza di un fantasma, ma il colto signore giudica le loro parole frutto di pura superstizione. Le lusinghe del Conte hanno frattanto destato la gelosia di Elvino che, rimasto solo con lei, rimprovera la futura sposa. Quadro secondo: Stanza nell’osteria. Di fronte una finestra: da un lato porta d’ingresso: dall’altro un gabinetto. Avvi un sofà e un tavolino. Nelle sue stanze, il conte Rodolfo è intento a corteggiare Lisa. Quando s’odono dei passi, l’ostessa fugge precipitosamente, ma prima riconosce Amina, che in stato di sonnambulismo sta recandosi nella stanza del Conte. La sonnambula si rivolge affettuosamente al nobiluomo, invocando il nome del futuro sposo, descrivendo rapita la prossima cerimonia delle sue nozze e infine chiedendogli di abbracciarla. Rodolfo dapprima non sa che fare. Il gentiluomo decide quindi di non approfittare della situazione e abbandona la stanza senza svegliare la sonnambula. Nel frattempo un gruppo di villici sopraggiunge alla locanda per salutare il conte (di cui ha finalmente scoperto l’identità); Lisa, maliziosamente, conduce tutti alla stanza di Rodolfo, dove sorprendono la giovane Amina adagiata sul divano. Lo sconcerto è generale. Elvino, sconvolto, rompe il fidanzamento, mentre la ragazza, destatasi, inconsapevole di quanto è accaduto, non può trovare parole per giustificarsi.
Atto II. Quadro primo: Ombrosa Valletta fra il Villaggio e il Castello. Mentre un gruppo di villici si reca dal Conte per convincerlo a prendere le sue difese, Amina cerca consolazione nell’affetto della madre. Amina si imbatte in Elvino che, straziato per gli avvenimenti, le ricorda come lo abbia reso il più infelice tra gli uomini e le strappa l’anello di fidanzamento. Quadro secondo: Villaggio come nell’atto I. In fondo al teatro si scorge il mulino di Teresa: un torrente ne fa girare la ruota. Invano il conte Rodolfo tenta di spiegare ai villici cosa sia il sonnambulismo e di far recedere Elvino dalle sue posizioni. Il giovane, per ripicca, ha ormai deciso di andare a nozze con l’ostessa Lisa. Il paese è quindi nuovamente in festa in vista di una nuova possibile cerimonia nuziale, ma quando Lisa ed Elvino passano davanti al mulino di Teresa, la donna accusa Lisa di essere incorsa nella stessa colpa attribuita ad Amina, portando come prova un fazzoletto appartenuto all’ostessa e trovato nella stanza del conte Rodolfo. Elvino si sente nuovamente tradito, quando fra la meraviglia generale, si vede Amina camminare in stato di sonnambulismo sul cornicione del tetto di casa. È la prova che il conte Rodolfo aveva ragione. Contemplando il fiore appassito che Elvino le aveva donato il giorno prima, la sonnambula canta il suo amore infelice (“Ah! non credea mirarti”), ascoltata da tutti, e quando si desta può finalmente riabbracciare l’amato Elvino. Il villaggio, nuovamente in festa, si prepara per le tante sospirate nozze.
Mary Zimmerman, regista acuta e spesso anticonvenzionale, sceglie di prendere le distanze dalla Svizzera da cartolina in cui la maggior parte delle produzioni colloca la vicenda. Al posto degli chalet di legno e dei costumi tirolesi propone la sala prove di un teatro contemporaneo, dove una compagnia sta lavorando – ironia della sorte – proprio a una Sonnambulatradizionale. I confini tra vita e teatro si sovrappongono: l’amore dei due giovani protagonisti contemporanei ricalca quello di Amina ed Elvino; i membri della compagnia fungono da coro del villaggio, evitando allo spettatore l’ennesima sfilata oleografica. Solo nel finale i cantanti indossano i consueti costumi storici, creando un momento di sorpresa teatrale che diverte e, insieme, esalta il gioco metateatrale su cui si fonda l’intera regia.
Sul versante musicale la trasparente, preziosa orchestra belliniana trova in Evelino Pidò un interprete partecipe, attentissimo ai respiri dei cantanti e alle finezze della partitura. L’effetto magico dell’assolo di corno che introduce «Tutto è sciolto» – attacco che Flórez intona con un pianissimo legato da togliere il fiato – è uno dei momenti che rimangono impressi come pura perfezione sonora. Flórez domina la parte con una facilità disarmante: la precisione dell’emissione, la luminosità del timbro, la musicalità innata costruiscono un Elvino nervoso, tenero, impetuoso senza mai perdere il controllo stilistico.
Ma è nella scena di Amina, quando Natalie Dessay avanza verso l’orchestra sulla piattaforma, che lo spettacolo raggiunge un vertice emotivo. «Ah! non credea mirarti» diventa, nelle sue mani, un lamento fragile, quasi sospeso, un misto di malinconia e stupore che incanta per sincerità. Non fa dimenticare mostri sacri come Callas o Sutherland, né lo pretende: la sua interpretazione si affianca alle loro con una lettura più intima, moderna, toccante, tutta giocata sulla parola cantata e su una sensibilità scenica rarissima.
Accanto ai due protagonisti, merita citazione l’elegante e ironico conte Rodolfo di Michele Pertusi, che dà alla figura una morbida autorevolezza, mai ingessata, e contribuisce all’equilibrio dello spettacolo. Le ovazioni finali che investono tutti gli interpreti, ma soprattutto Dessay e Flórez, non sono soltanto il riconoscimento di una serata ben riuscita: sono il segno di un incontro felice fra talento, intelligenza teatrale e fedeltà a un capolavoro che, quando è servito così, sembra davvero rinascere a nuova vita.


⸫
- La sonnambula, Scappucci/Barberio-Corsetti, Roma, 18 febbraio 2018
- La sonnambula, Balsadonna/Avogadro, Torino, 13 aprile 2019
- La sonnambula, Fogliani/Erath, Düsseldorf, 15 marzo 2023
- La sonnambula, Lanzillotta/Le Lab, Roma, 11 aprile 2024
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