Armida

MUSICA: ROF AL VIA CON L'ARMIDA DI RONCONI

Gioachino Rossini, Armida

★☆☆☆☆

Pesaro, Adriatic Arena, 10 agosto 2014

Il flop della maga

Per l’inaugurazione del XXXV Festival Rossiniano, all’Adriatic Arena di Pesaro viene messa in scena un’opera che mai come le altre ha bisogno di una protagonista assoluta in scena. Il fatto che in tre epoche diverse oltre alla Coltran, alla Callas e alla Fleming poche altre abbiano avuto il coraggio di affrontare questo personaggio la dice lunga. E così la serata del 10 agosto è finita tra pochi applausi e qualche rumoroso dissenso.

I motivi dell’insuccesso dello spettacolo sono numerosi.

Cominciamo dalla messa in scena. Luca Ronconi si ripresenta esattamente a trent’anni dal suo mitico Viaggio a Reims del 1984 che proprio la sera prima è stato proiettato in Piazza del Popolo nella registrazione televisiva mai uscita in DVD. Nell’Armida la stanchezza dell’ottantaduenne glorioso regista si è manifestata in tutta la sua evidenza. L’idea dei pupi siciliani non regge più di qualche minuto e la staticità e l’omogeneità dei loro costumi sembrano contagiare anche gli interpreti, lasciati a cincischiarsi con le loro armature di latta e spadine di legno.

La scena della Palli con pannelli semoventi non migliora la situazione, così come la farraginosa coreografia che sembra aver riunito tutti gli stili della danza, routine ginniche e acrobazie in un unico lunghissimo pastrocchio che non si capisce se vuole rinarrarci episodi de La Gerusalemme liberata o semplicemente dare sfogo ai pur bravi ballerini.

Il progetto luci di A.J.Weissbard non solo non ha aiutato lo spettacolo, ma ha contraddetto in più punti quello che diceva il libretto e ha fatto mancare del tutto la magia che ci si doveva giustamente aspettare. Dei costumi di Giovanna Buzzi qualcosa si poteva già paventare dalla qualità degli schizzi pubblicati sul programma di sala.

Se la parte visiva si è dimostrata manchevole, come si è detto, è la parte musicale quella che più ha indisposto il pubblico.

La direzione di Carlo Rizzi si è distinta per pesantezza, grigiore di colori e piattezza. Non è stata aiutata, bisogna dire, da un’orchestra non proprio in stato di grazia, con alcune parti solistiche che, perlomeno alla prima, hanno lasciato a desiderare. Anche la prestazione del coro del Comunale di Bologna ha mostrato opacità che generalmente non ha.

E veniamo alla protagonista, Carmen Romeu, che da ruoli di brava comprimaria ha fatto (o meglio, le hanno fatto fare) il salto più lungo della gamba: nonostante qualche tentativo andato a segno, la sua performance in generale ha fortemente deluso e scatenato l’insofferenza di parte del pubblico. Il personaggio non è mai uscito fuori in maniera convincente né vocalmente né scenicamente, nonostante l’avvenenza del giovane soprano spagnolo.

Non migliori note si hanno dal reparto maschile. Armida è un’opera che ha bisogno di ben sei tenori. Non è che ne manchino oggi e risparmiare su numero e qualità non ha certo giovato allo spettacolo.

Randall Bills non ha i mezzi per affrontare un ruolo rossiniano e fargli fare addirittura due personaggi è stata una vera cattiveria. Anche Dmitrij Korčak ha dovuto coprire due ruoli diversi e seppure superiore nello stile e nei mezzi vocali, il tenore russo li ha cantati come fossero lo stesso personaggio.

Tralasciando il tenore n° 5, arriviamo al Rinaldo di Antonino Siragusa, fisicamente distante da quello che ci aspettiamo da un paladino, ma vocalmente generoso, anche troppo talora, soprattutto negli acuti che, anche se non sono da “cappone sgozzato” come li ha perfidamente definiti qualcuno, sono comunque troppo gridati. Questo però non è il suo ruolo essendo lui maggiormente a suo agio in una tessitura più acuta.

Due ruoli anche per Carlo Lepore, che non è che non abbia i mezzi per affrontare sia Idraote sia Astarotte, ma conciarlo in quel modo con piume di gallo cedrone in testa e lasciarlo lì a sbatacchiare le ali di pipistrello issato in una teca semovente è stata un’azione di incomprensibile crudeltà – verso il cantante e verso il pubblico.

In conclusione una serata da dimenticare, ma se ne dovrebbero invece ricordare in futuro gli organizzatori di uno dei più prestigiosi festival del mondo.

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