Il Principe Igor

Igor

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Intensa messa in scena della frammentaria opera di Borodin

Questa del Principe Igor (Князь Игорь, Kniaz’ Igor’) allestito al MET nel 2014 e qui riproposto in un blu-ray della Deutsche Grammophon è tra le più efficaci e affascinanti delle regie di Dmitri Černjakov, che quando si occupa di lavori della sua terra dimentica di voler sconcertare il pubblico dell’opera. E qui quello di New York ha decretato al suo allestimento un tripudio di applausi meritatissimi.

Il prologo e i quattro atti su libretto dello stesso compositore si basano sul poema epico slavo Canto della schiera di Igor sulla fallita campagna del 1185 contro gli invasori Poloviciani della proto-Russia di Kiev.

Borodin aveva intrapreso una brillante carriera scientifica come chimico, poi medico e infine professore universitario, ma intanto portava avanti i suoi studi musicali durante i mesi estivi quando era libero dagli impegni accademici. Determinanti erano stati il suo incontro con Balakirev e la conseguente adesione al Gruppo dei Cinque, la cui missione era di creare in Russia una cultura musicale nazionale al riparo dalle influenze occidentali.

Nel 1869 viene eseguita la sua prima sinfonia e contemporaneamente il compositore inizia a lavorare sulla sua opera, cui dedicherà gli ulteriori 18 anni della sua vita senza poterla però terminare. Lasciato incompiuto alla morte improvvisa del compositore a 53 anni (1887) Il Principe Igor venne rivisto e completato da Rimskij-Korsakov e Glazunov e potè finalmente andare in scena postumo nel 1890 al Mariinskij di San Pietroburgo.

Da allora la fama di Borodin musicista ha superato quella di Borodin scienziato e la sua musica è stata ampiamente saccheggiata in musical e canzoni. Famosa è la versione di Bing Crosby di Stranger in Paradise, adattamento delle “Danze poloviciane” del primo atto.

Dato lo stato di incompiutezza, l’opera ha una forma episodica e manca di una narrazione fluida che integri fra loro i vari episodi, ma proprio per questo, e anche grazie all’intervento dei due musicisti che l’hanno portata a termine, risulta molto ancora più moderna e innovativa.

Nel prologo il principe Igor e il suo esercito stanno per partire per una campagna contro il Khan dei poloviciani che minaccia la loro città, Putivl. Un’eclisse di sole viene interpretata come cattivo augurio, ma Igor non si lascia spaventare, saluta la moglie Yaroslavna e parte.
Nel primo atto siamo nel cortile della casa del principe Galitskij, fratello della moglie di Igor, che assieme ai suoi compagni di crapula trama per usurpare il trono al cognato. Yaroslavna lamenta l’assenza del marito e la notizia che è stato ferito e preso prigioniero con il figlio giunge assieme all’annuncio dell’approssimarsi del nemico.
Il secondo atto si svolge nel campo poloviciano. Ai canti e alle danze delle ragazze si unisce Končakovna, la figlia del Khan Končak, innamorata di Vladimir, il figlio di Igor.
Nel terzo atto vediamo Končak al ritorno del sacco della città di Putivl, primo atto della sottomissione della Russia al suo potere. Igor riesce a fuggire dal campo lasciando il figlio fra le braccia della figlia del nemico.
Il quarto atto presenta la città di Putivl distrutta dai poloviciani. Il ritorno di Igor infonde però speranza al suo popolo.

Ecco la situazione musical-drammaturgica come viene sintetizzata da Elvio Giudici. Ouverture:  composta da Glazunov, che sostenne di aver steso a memoria e in seguito orchestrato quanto ascoltato una sera da Borodin al pianoforte. Prologo: canto e piano di Borodin,  orchestrazione di Rimskij. Primo atto (Galitskij e compagni di bagordi nella prima scena, lamento di Jaroslavna e suo confronto col fratello nella seconda): canto e piano di Borodin, orchestrazione di Rimskij. Secondo atto: canto e piano di Borodin, orchestrazione di Rimskij. Fanno eccezione il secondo assolo di Končakovna col coro, composto da Glazunov e orchestrato da lui in coppia con Rimskij; aria di Vladimir e di Končak, Danze polovesiane, tutte orchestrate da Borodin. Terzo atto: la marcia polovesiana che lo principia è composta in spartito da Borodin e orchestrata da Rimskij; tutto il prosieguo è essenzialmente opera di Glazunov, che l’ha scritto impiegando squarci di musica scritta da Borodin per l’opera collettiva Mlada (ha più volte sostenuto essere questa l’intenzione di Borodin, in particolare per quanto concerne il terzetto Igor-Vladimir-Končakovna). Quarto atto: composto interamente in spartito da Borodin e orchestrato da Rimskij a eccezione del lamento di Jaroslavna e del coro che subito lo segue, che hanno la strumentazione stesa in ogni punto da Borodin. Il quale arresta però la composizione dopo la canzone dei due suonatori di gudok con intervento del coro. Stasov aveva proposto una conclusione apoteosica e pacificatoria, nella quale si celebrasse il matrimonio tra Vladimir e Končakovna e quindi l’alleanza tra Igor e i polovesiani: ma Borodin l’aveva respinta, indicazione ulteriore della scarsa sua propensione per un finale in pompa magna. Quello invece esteso da Rimskij (che finali di tal fatta, tenendo presente la sua Chovanščina, li amava molto) e col quale l’opera è sempre terminata: il popolo inneggia al ritorno di Igor replicando lo «Slava» che aveva concluso il Prologo.

Approfittando della frammentarietà dell’opera il regista (anche scenografo) e il direttore, qui un Noseda in splendida forma che mette a frutto la sua decennale esperienza al Mariinskij, allestiscono uno spettacolo di grande forza drammatica riorganizzando il materiale piuttosto liberamente. Innanzitutto l’epoca: dai costumi si capisce che non siamo nel XII secolo, ma ai tempi della Rivoluzione d’Ottobre, ce lo confermano anche le luci di emergenza che si accendono quando l’eclisse fa piombare nell’oscurità la sala in cui si svolge il commiato dei soldati dai famigliari.

Eliminata la pomposa ouverture di Glazunov, siamo subito in media res col coro che inneggia al principe. Potrebbe essere un finale d’opera, invece siamo solo all’inizio e l’esercito non è appena arrivato, ma è in partenza e i segnali premonitori di una disfatta non mancano. Infatti, delle proiezioni in bianco e nero ci mostrano gli orrori della battaglia: le facce terrorizzate delle giovani reclute, i lampi delle esplosioni, i cadaveri nel fango, Igor ferito. Su queste immagini da film muto d’epoca si innesta il canto delle fanciulle poloviciane e il velario diventa trasparente mostrando un meraviglioso campo di papaveri rossi (come nella Guerra di Piero di De André!). Un geniale colpo di teatro che toglie il fiato dall’emozione. Nella visione del regista queste scene, che si riferiscono agli atti secondo e terzo, sono frutto di un’allucinazione di Igor in seguito al trauma cranico che ha subito. Gli interventi dei personaggi assumono così un rilievo e una forza completamente diversi. La figura di Končakovna in quella distesa di fiori diventa l’emblema della femminilità, della felicità agognata e le famose danze perdono ogni connotato folclorico per rappresentare la gioia della giovinezza.

Ma è nel finale che l’intervento si fa più innovativo. Igor è tornato nella città distrutta, l’aula del prologo piena di detriti. I sopravvissuti cercano di scaldarsi bruciando le poche masserizie e la campana suonata per richiamare il popolo qui è una putrella di metallo che scende dal soffitto sfondato. Portato in mesto trionfo a spalle, Igor è smarrito e guarda con disorientamento la folla che lo acclama. Qui finirebbe l’opera (o per lo meno una delle sue tante versioni), ma dall’orchestra sale una musica dolorosa: è L’inondazione del Don scritta da Borodin per l’altra opera appena abbozzata Mlada. Igor prende una trave crollata e la trascina fuori, piano piano è aiutato da tutti in quest’opera di rinascita della città.

Della prestazione di Gianandrea Noseda basterebbe leggere quel che scrivono i recensori americani che esaltano la sua visione vibrante della partitura e la sua sensibilità spesso in contrapposizione a quella di un altro famoso direttore russo impegnato in quello stesso momento a celebrare i giochi olimpici di Sochi accanto a Putin…

Il’dar Abdrazakov è la punta di un cast eccezionale. L’affascinante cantante russo non sarà il classico basso profondo russo, ma ha di suo una musicalità e una sensibilità che rendono Igor una figura stupendamente umana. Voce di acciaio che rende bene la tempra del personaggio è quella di Oksana Dyka, la fedele moglie, invece la sensualità e prorompente fisicità di Anita Rachvelishvili si attagliano perfettamente alla figura di Končakovna. Mikhail Petrenko è convincente nel ruolo del depravato e odioso Galitskij e anche le impervie parti di Vladimir e Khan Končak trovano nei rispettivi interpreti dei validi cantanti, Sergey Semishkur e Štefan Kocán. Il coro del teatro americano, forse alla sua prova più impegnativa, si dimostra pienamente all’altezza della situazione.

Il blu-ray ha sottotitoli in sei lingue, ma non l’italiano e come bonus riporta le interviste fatte da Eric Owens durante gli intervalli della trasmissione live.

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