Il turco in Italia

Gioachino Rossini, Il turco in Italia

★★★☆☆

Bologna, Teatro Comunale, 12 marzo 2017

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Il Turco a Bologna in memoria di Alberto Zedda

Prodotto dal Rossini Opera Festival (ROF) e presentato a Pesaro la scorsa estate nella messa in scena di Davide Livermore, Il turco in Italia è ora a Bologna in una ripresa che doveva essere diretta dal maestro Alberto Zedda, ma il musicologo e fondatore del ROF ci ha lasciato proprio pochi giorni fa. La rappresentazione è stata dunque dedicata al ricordo dell’instancabile animatore della prestigiosa rassegna e uno dei massimi fautori della Rossini Renaissance della nostra epoca.

Lo stesso Zedda, grande esegeta dell’opera rossiniana, aveva puntualmente precisato somiglianze e differenze tra questo lavoro e la più nota Italiana in Algeri dell’anno precedente: nel melodramma dell’Anelli del 1813 il libretto allineava azioni inverosimili tipiche dell’opera buffa tradizionale – quella che Stendhal definiva «folie organisée» – senza curarsi della compatibilità con i personaggi, prototipi astratti di comicità; nella vicenda del Romani de Il turco in Italia invece l’umorismo deriva dai comportamenti quotidiani di persone di stampo borghese dotate di sentimenti veri. Qui sono i personaggi stessi a determinare il procedere del dramma in un ingegnoso meccanismo meta-teatrale in cui un librettista è in cerca di ispirazione per il testo di una nuova opera. Nella lettura di Livermore questo espediente diventa meta-cinematografico: il poeta Prosdocimo ha qui le fattezze di Marcello Mastroianni nel film di Federico Fellini 8 1⁄2.

Il regista ci ricorda infatti che Fellini e Rossini sono figli della stessa terra: il primo è nato a Rimini, il secondo a Pesaro, 40 chilometri più a sud sulla costa adriatica. Non è quindi del tutto campata in aria la lettura che Livermore svolge con coerenza per tutto lo spettacolo con Prosdocimo, il librettista, trasformato in sceneggiatore/regista della vicenda delle due storie intersecanti di Don Gironio e Fiorilla, il marito inetto e la moglie capricciosa, e di Selim e Zaida, il principe turco all’estero e la moglie ingiustamente ripudiata.

La trasposizione felliniana di Livermore non può fare a meno del circo ed ecco allora che il «coro di zingari, zingare, turchi e maschere» diventa una variopinta troupe circense (stupendi come sempre i costumi di Gianluca Falaschi) di domatori, saltimbanchi, trapezisti e clown. Anche Zaida è un immancabile personaggio del circo, la donna barbuta. Prosdocimo/Federico si muove attorniato dalle sue creazioni femminili mentre Fiorilla si muove in Lambretta e ha l’abito a pois bianchi e neri dell’attrice Claudia Cardinale. Il turco Selim è lo Sceicco bianco e Narciso un prete in tonaca lunga, presenza costante nelle pellicole del regista romagnolo.

Lo spettacolo inizia con la proiezione dei provini per i personaggi principali e termina con la ripresa dell’ultima scena con la ricomposizione delle coppie, anche se nell’ultima inquadratura il flirt tra Fiorilla e Selim non sembra del tutto concluso. Nel frattempo il poeta si era affannato sulla macchina da scrivere per le battute da fornire ai suoi personaggi.

L’unico interprete già presente nella produzione pesarese è Nicola Alaimo 
che qui raffina ancor più il suo ruolo di Don Geronio, facendone un personaggio perfettamente a fuoco sia vocalmente sia scenicamente. Se inizialmente la sua impacciata figura può provocare qualche sorriso, ben presto si guadagna invece l’empatia di tutto il pubblico che prova compassione e affetto per questo «marito debole e pauroso». Anche il personaggio di Fiorilla nel finale tocca le corde della compassione quando viene scacciata dal marito e canta «Tutto ho perduto. Pace, marito, onor, intendo…». Qui Hasmik Torosyan dopo aver esibito le sue doti di agilità, tira fuori toni di grande espressività, anche se il soprano armeno ha un che di metallico non sempre piacevole nel timbro della voce.

Il Selim di Simone Alberghini è corretto ma manca dei tratti mattatoriali che il suo personaggio dovrebbe esibire. Ci pensa Alfonso Antoniozzi a compensare tale mancanza con la consumata teatralità che caratterizza il suo ruolo di Prosdocimo. Lo stile di Maxim Mironov, Don Narciso, è eccellente, ma il non grande volume non emerge nei concertati e la voce è talora coperta dalla musica.

La direzione d’orchestra di Christopher Franklin non entusiasma e manca di verve, cionondimeno alla fine il pubblico rimane convinto e tributa un caloroso successo allo spettacolo.

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