
Elvio Giudici, Il Settecento
2016 Il Saggiatore, 824 pagine
Il secondo tomo dell’ambiziosa opera del Giudici sulla catalogazione e analisi delle registrazioni video commercialmente disponibili delle opere liriche si sviluppa con un numero di pagine ancora più considerevole del primo ed è dominato dalla figura di Mozart che, da sola, occupa il 70% delle 824 pagine del volume. Nel caso del Don Giovanni l’autore analizza in 54 pagine ben trenta diverse edizioni video. Altrettante solo le pagine dedicate al Flauto magico (venti edizioni) e addirittura 99 per le ventinove edizioni de Le nozze di Figaro. Ma anche al resto non viene meno l’impegno di approfondimento dell’autore: per il Fidelio, l’unica opera di Beethoven, sono ben 57 le pagine di analisi.
Per ragioni puramente contingenti Pergolesi riceve un’attenzione molto maggiore di Paisiello, nonostante il fatto che quest’ultimo sia autore di un numero decuplo di opere. Ma il fatto è che al compositore jesino la città nel tricentenario della sua nascita ha dedicato un festival con la rappresentazioni di tutte le sue opere in pregevolissime produzioni prontamente riversate su disco e quindi disponibili.
Gli altri compositori di cui vengono prese in esame le edizioni video sono: Cherubini, Cimarosa, Gluck, Haydn, Salieri e Spontini. Non mancano nomi meno noti come Carl Heinrich Graun, Giovanni Battista Martini, François-André Danican Philidor e Vicente Martin y Soler cui la sorte ha voluto che fosse registrato su DVD almeno un loro lavoro.
Anche in questo volume il Giudici riprende la questione della messa in scena dell’opera lirica con parole molto chiare: «ogni messinscena è […] una sorta di traduzione che lo spettatore legge attraverso la gestualità e la voce degli attori […] Siccome gli spettatori contemporanei non possono provare le stesse reazioni di quelli settecenteschi nei confronti di eventuali aspetti sovversivi e innovatori di certi testi (quelli di Da Ponte ad esempio, che poi nel caso di Don Giovanni e Nozze sono a loro volta traduzioni) può essere d’aiuto ricrearli non rielaborando il testo, bensì adoperando un linguaggio contemporaneo. Altrimenti detto, può essere utile separare la fedeltà nei confronti dello stile di rappresentazione dalla fedeltà alla drammaturgia di base e proprio allo scopo di evidenziare quest’ultima in modo il più evidente possibile a un pubblico di oggi, si può venir meno ai rigidi schemi visuali impiegati al suo nascere. È quanto […] hanno fatto e ancor più stanno oggi facendo un numero sempre maggiore di registi».
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