A Midsummer Night’s Dream

Benjamin Britten, A Midsummer Night’s Dream

★★★☆☆

Palermo, Teatro Massimo, 19 settembre 2017

(diretta tv)

Il Sogno di Britten a Palermo non fa sognare

Il regista scozzese Paul Curran ha messo in scena l’opera di Britten parecchie volte e proviene da Valencia questa sua ultima versione ora al Massimo di Palermo. Sue sono la regia e le scene, i costumi sono di Gabriella Ingram, le luci di David Martin Jacques e le coreografie di Carmen Marcuccio.

Nello spettacolo, ripreso da Allex Aguilera Cabrera, mentre gli strumenti dell’orchestra si accordano, vediamo a sipario aperto un sito archeologico, colonne doriche su una piattaforma rotante, che viene popolato dai personaggi della commedia che arrivano chi a piedi chi in bicicletta – in seguito si vedranno anche dei segways. Con le prime note del preludio “slow and mysterious” del crepuscolo nel bosco la scena piomba nel buio e magiche figure con lucine incorporate e dai colori fluorescenti prendono posto sulla piattaforma del monumento fino all’arrivo di Puck. Sui glissandi sornioni dell’orchestra entreranno poi in scena i mortali, mentre le grossolane note dei fiati accompagneranno l’ingresso dei «rustics» per la rappresentazione della «most lamentable comedy, | and most cruel death of Pyramus and Thisby».

Ecco quindi presentati musicalmente i tre mondi del Sogno scespiriano: gli dei e le fate, i nobili ateniesi e gli “hard-handed men” prossimi al mondo animale – e infatti sarà di Bottom la metamorfosi asinina. Ed è quello del mondo delle fate quello meno convincente in questo spettacolo con un Oberon enorme bacherozzolo e Tytania una Frida Kahlo da avanspettacolo. Coreografie riempitivo per i momenti strumentali e una generale aria da recita scolastica. La quasi totalità del coro di voci bianche è femminile (e così si perde il colore soprannaturale) e non sempre a suo agio nell’intonazione.

Vocalmente perfetto l’Oberon di Lawrence Zazzo, un po’ troppo metallica e vibrata la voce della Tytania di Jennifer O’Loughlin. Puck, il ballerino Chris Darmanin è bravo come acrobata, un po’ meno come attore. Buono il livello “umano” – Lysander Mark Milhofer, Demetrius Szymon Komasa, Hermia Gabriella Sborgi, Helena Leah Partridge – anche se nessuno dei quattro interpreti va oltre una gradevole performance. Il Theseus di Michael Sumuel e l’Hippolyta di Leah-Marian Jones entrano alla fine come i nobili sposi a commentare la sgangherata recita dell’efficace sestetto dei rustici, che qui ha la punta di eccellenza in Zachary Altman, un Bottom già ammirato altrove. Daniel Cohen dirige l’orchestra del Massimo e la sua è una lettura chiara e precisa della splendida partitura, ma senza particolari bellurie.

foto © Rosellina Garbo

 

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