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Marco Tutino, La ciociara
★★★★☆
Cagliari, Teatro Lirico, 24 novembre 2017
(ripresa televisiva)
All’opera ci si emoziona. Anche a quella contemporanea.
Con il titolo Two Women, l’opera di Marco Tutino, su libretto di Fabio Ceresa e dello stesso compositore e ispirata al film La ciociara (1960) di Vittorio De Sica a sua volta basato sul romanzo omonimo di Alberto Moravia, ebbe la prima alla San Francisco Opera il 19 giugno 2015.
Concepita come coproduzione con il Teatro Regio di Torino, avrebbe dovuto debuttare in Europa nella città subalpina, ma un meschino gioco di veti incrociati ha cancellato l’impegno torinese e la presentazione avviene invece al Lirico di Cagliari, un teatro che negli ultimi anni ha dimostrato un’intelligenza e una lungimiranza che talora difettano a molte fondazioni liriche del continente.
Ripristinato il titolo originale, che sarebbe stato enigmatico e impronunciabile per il pubblico d’oltre oceano, La ciociara è riuscita nell’impresa di gremire il teatro di una città di 150 mila abitanti per ben otto repliche e con un successo travolgente, cosa impensabile in Italia per un’opera contemporanea.
Estate del 1943. Cesira è una giovane vedova che vive a Roma insieme alla figlia Rosetta durante la seconda guerra mondiale. Per sfuggire ai bombardamenti e alle insidie di una città allo sbando, Cesira affida il proprio negozio a Giovanni – un vecchio amico del marito trafficante al mercato nero e al cui assalto sessuale cede durante uno dei bombardamenti – e intraprende un difficile viaggio per rifugiarsi insieme alla figlia in Ciociaria, dove era nata. Arrivate non senza difficoltà, Cesira fa la conoscenza di Michele, un giovane intellettuale antifascista che ha trovato rifugio anche lui in quei posti. Il giovane, puro e idealista, si innamora di lei e Cesira lo ricambia. Anche Rosetta gli si affeziona. Michele viene arrestato dai tedechi e ucciso da Giovanni che è passato dalla parte dei fascisti. Nel paese razziato le due donne vengono assalite da un gruppo di Goumier (1) che le violentano. Rosetta ne esce traumatizzata e si chiude in una astiosa apatia. Alla Liberazione ricompare Giovanni, che ancora una volta ha cambiato casacca: ora si spaccia per amico degli americani. Cesira lo accusa di tradimento e di aver ucciso Michele, ma è lei stessa a fermare la folla che vuole fare giustizia sommaria sulla spia: «Basta sangue». Solo dopo, nel ricordo di Michele, madre e figlia si riavvicinano.
Filmati d’epoca in bianco e nero e mappe del teatro di guerra sono proiettati sul sipario durante l’ouverture. Definito il contesto storico, lo spettacolo vira nella vicenda particolare di Cesira e dei suoi sforzi per sopravvivere e salvare la figlia dagli orrori della guerra. Nell’allestimento dell’americana Francesca Zambello le scene realistiche di Peter Davison hanno come sfondo le efficaci proiezioni di S. Katy Tucker che esaltano la drammaticità della storia. Le scene hanno un montaggio quasi cinematografico, come quando la violenza sulle due donne si alterna all’uccisione di Michele, con le luci che evidenziano i due fatti mentre avvengono a pochi metri di distanza sullo stesso palcoscenico.
Come nella Tosca anche qui abbiamo l’amore, contrastato dal baritono, tra il soprano e il tenore, ma non è solo per questo che il nome di Puccini viene alla mente in questo nuovo lavoro di Tutino. Una grande orchestra accompagna i numerosi sbocchi melodici con cui i personaggi danno sfogo ai loro sentimenti. Così è per la morte di Michele, un Cavaradossi che al ricordo della vita che sta per perdere esplode in una melodia struggente, quasi una romanza. Gli interludi orchestrali, i concertati, i duetti sono sempre sostenuti da un’orchestrazione ricca, temi sempre nuovi si rincorrono e giocano con i timbri di una strumentazione raffinata che però quando è ora sa caricarsi di pathos rilasciando sulla scena note lancinanti. Di fronte alla rarefazione di molti lavori del teatro contemporaneo, quello che più colpisce ne La ciociara è l’opulenza dei mezzi impiegati che richiamano il musical in uno stile però che vuole proporsi come neo-verista, nel senso di voler affrontare “col cuore” una tematica forte da esprimere con mezzi che coinvolgano, giustamente, il pubblico più vasto. E se non mancano le raffinatezze e le dotte costruzioni armoniche, il messaggio è affidato soprattutto alla melodia e al suo impatto emotivo. Non c’è da vergognarsi se si esce da questo spettacolo con gli occhi lucidi.
Grande merito di ciò va anche alle due interpreti femminili. La Cesira di Anna Caterina Antonacci resterà tra i personaggi più memorabili del teatro musicale moderno: senza mai ricorrere a sguaiatezze, la cantante utilizza le sue eccelse qualità sceniche e vocali per delineare con intensità una madre coraggiosa. La sontuosa linea vocale si piega a esprimere una sofferta dolcezza nella ninna nanna per confortare la figlia, così come nel grido appassionato con cui nel finale rinfaccia la mancanza di umanità e compassione alla folla abbrutita. E bravissima è Lavinia Bini, Rosetta, in cui le qualità liriche e luminose della voce si adattano perfettamente al ruolo della ragazza che passa nel modo più tragico da adolescente innocente a donna violata.
Troppo impegnativo invece il ruolo di Michele per Aquiles Machado, tenore lirico più che drammatico, che infatti nel registro acuto denuncia qualche difficoltà. Nella parte dello spregevole (ma, ahimè molto italiano…) Giovanni si cala con efficacia Sebastian Catana, mentre Roberto Scandiuzzi come il maggiore tedesco von Bock dà ulteriore prova della sua impeccabile presenza ed eleganza vocale. Ben realizzati dai rispettivi interpreti sono anche gli altri personaggi secondari introdotti nel libretto e assenti nel romanzo originale.
La direzione di Giuseppe Finzi mantiene sempre desta la tensione emotiva e drammatica che si scioglie per contrasto in poche oasi di serenità, come quella della canzone che celebra la fine della guerra, quella romantica La strada nel bosco che aveva tra gli autori C.A. Bixio ed era uscita proprio nel 1943 in una pellicola di Bragaglia cantata da Gino Bechi. Canzone che De Sica aveva voluto anche nel suo film per accompagnare l’immagine degli occhi in lacrime di Sophia Loren.
Il prossimo appuntamento con un’opera di Tutino sarà tra pochi mesi a Genova: un’altra città di mare, infatti, vedrà il debutto di Miseria e nobiltà. Ancora una volta sarà il vecchio cinema italiano ad ispirare il compositore di oggi.
(1) Corpo speciale delle truppe coloniali francesi che fecero breccia nella linea Gustav oltre la quale si erano arroccati i tedeschi. Come compenso ebbero via libera nel saccheggiare i villaggi che attraversavano. Migliaia di donne e bambine furono violentate (“marocchinate” si disse allora con un disgustoso eufemismo) durante quell’avanzata e molti uomini persero la vita nel vano tentativo di proteggerle.
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