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Leoš Janáček, Věc Makropulos (L’affare Makropulos)
direzione di Pinchas Steinberg
regia di Luca Ronconi
Torino, Teatro Regio, 9 dicembre 1993
Doppietta Makropulos
Venticinque anni fa Torino si era dedicata in pieno all’Affare Makropulos con una doppietta molto stimolante: in scena al teatro Regio il lavoro di Leoš Janáček in lingua italiana (cosa che oggi sarebbe impensabile!), al Carignano la pièce teatrale di Karel Čapek da cui l’opera è tratta.
Nelle parole di Luca Ronconi, il regista di entrambi gli allestimenti, «il progetto nasceva insieme, proprio con l’idea di mettere in scena il testo in prosa e l’opera. È stato molto interessante lavorare contemporaneamente a questi due spettacoli, nell’opera si va più sul metafisico, è più incentrata sulla protagonista, Emilia Marty, e ci sono meno personaggi rispetto alla commedia; il testo di Čapek ha invece uno spirito più paradossale. Avevo due straordinarie protagoniste, molto seducenti, come Mariangela Melato per la commedia e Rajna Kabaivanska per l’opera, c’era una bella competizione amichevole tra le due, l’una è andata a vedere lo spettacolo dell’altra. Il lavoro di Janáček più che melodramma è teatro musicale». Due prime donne per interpretare l’enigmatica figura di Elina Makropulos, un solo regista, ma due diversi scenografi: Margherita Palli al Regio e Carlo Diappi al Carignano. Carlo Diappi disegna anche i costumi anni ’20 dei cantanti, tra cui José Cura (Albert Gregor), Laura Cherici (Kristina) e Ugo Benelli (il vecchio Hauk-Sendorf).
Un impianto scenografico in diagonale quello della Palli con una pista che attraversa delle librerie oblique e minacciosamente incombenti che formano un’atmosfera surreale: «È difficile raccontare, in poche righe, l’infallibile esattezza dell’allestimento […] Al taglio essenziale della musica corrispondono le geometrie sghembe e i lunghi piani sui quali i personaggi giungono da irreali distanze in un mondo convulso e frantumato. E in esso si muovono: caratteri diversi, disegnati con straordinaria varietà e precisione, e tuttavia legati, come marionette, al filo di un destino manovrato da altri. Tra di essi, guidata da un’implacabile volontà e tuttavia già segnata dalla morte, si erge la fatale protagonista, bellissima e cadente, avida di vita e logorata dai secoli». (Dino Villatico)
«Nel punto cruciale, quando assume la sua età smisurata, la protagonista si rappresenta in una transizione rapinosa: in fondo, si libera dall’orrore della morte quando rivela l’orrore del suo corpo in disfacimento; e muore in una sequenza indimenticabile, come una grande farfalla notturna, una tragica marionetta che sente il suo corpo disperato liberarsi dai lacci e tiranti che la tenevano su con un necromantico artificio». (Giorgio Pestelli)
Per la ripresa dello spettacolo alla Scala nel 2009 – ovviamente nella lingua originale – ecco due giudizi del tutto antitetici. Quello di Enrico Girardi: «La ripresa di un allestimento di anni e anni prima è sempre una prova del nove. Gli spettacoli così così naufragano, quelli nati già vecchi diventano improponibili, quelli buoni invecchiano bene, quelli ottimi possono persino migliorare. Ed è questo il caso del Caso Makropulos di Leoš Janáček nell’edizione prodotta nel 1993 a Torino[…] Le scene di Margherita Palli sono paradossalmente ‘fedeli’ […] ma sghembe. Sembra una messinscena in 3D ma di prima del digitale. Perfetta per questa musica e per questa drammaturgia […] anche perché ‘interpretata’ da una gestualità e una recitazione congrue a tal contesto. In ciò sta il punto di forza di questa ripresa: un cast che fa del canto e dello stare in scena un tutt’uno, cantanti che sanno quel che stanno dicendo e perché dirlo in quel modo». Ecco invece quello di Elvio Giudici: «Lo spettacolo di Luca Ronconi, nato nel ’94 (sic) a Torino, è parecchio invecchiato: una delle sue consuete megacostruzioni, stavolta librerie strapiombanti di sbieco su una passerella ad angolo retto librata in aria, che poi sta lì e non serve a niente, mentre il ben più decisivo lavoro sui personaggi è solo sbozzato»!

Mariangela Melato e Riccardo Bini nello spettacolo di prosa
⸪