L’incantesimo / Pagliacci

Italo Montemezzi, L’incantesimo/ Ruggero Leoncavallo, Pagliacci

★★★☆☆

Riga, Latvijas Nacionālā Opera, 21 febbraio 2019

(video streaming)

«L’amor tutto può» /«Un amor ch’era febbre e follia!»

Trent’anni dopo la sua opera più famosa, L’amore dei tre re, Italo Montemezzi, residente in California dove si era rifugiato all’inizio della guerra, scrive l’atto unico L’incantesimo, su testo ancora una volta di Sam Benelli. Composto nel 1943 fu eseguito dalla NBC Symphony Orchestra, cui era stato dedicato, e trasmesso alla radio pochi mesi dopo. Per la prima rappresentazione scenica si dovrà aspettare il 9 agosto 1952 a Verona. Il compositore era scomparso il 15 maggio.

Folco, il signore del castello, attende l’arrivo dell’amico Rinaldo, il precedente spasimante della moglie Iselda. Nella notte si scatena una tempesta di neve e Folco teme che l’amico non arrivi. Egli ha convocato anche un mago perché durante una partita di caccia a un lupo in pieno inverno, Folco ha visto una cerva bianca dai tratti della sua sposa, Giselda, e vuole chiedere all’indovino il significato. Il mago Salomone gli rivela che se il suo amore per Giselda vuole che sopravviva deve dovrà ritrovare la cerva da lui ferita e portarla al castello. Nella donna intanto rinascono i sentimenti per il suo amante precedente, il cognato appunto, il mistero che lei ha finora nascosto. A Rinaldo chiede se il suo amore è così forte da tramutare il gelido giardino invernale in un giardìno fiorito a dimostrazione che l’amore può ogni incantesimo. «Se l’ami vedrai la primavera» canta fuori scena il mago. Torna Folco: non ha trovato la cerbiatta nella foresta ma ne vede il corpo morto nel posto dove stava sua moglie. Il paesaggio si trasforma in un giardino fiorito e Giselda canta estatica l’amore per Rinaldo.

La musica del breve lavoro, meno di cinquanta minuti, è decisamente fuori del suo tempo: mentre negli stessi anni Strauss, Britten, Prokof’ev, Dallapiccola sfornano i loro capolavori, Montemezzi si rifugia in un tardo romanticismo dalla turgida orchestrazione e dal canto declamato a tutta voce per una storia pseudo-simbolista che non appassiona. La ripresa di questo lavoro, abbastanza giustamente dimenticato, avviene tra le nevi della Finlandia: l’Opera Nazionale Lettone di Riga lo mette in scena come primo sportello di un dittico che ha nei Pagliacci di Leoncavallo, il maggiore elemento di richiamo.

Mentre l’atto unico di Montemezzi viene messo in scena dal regista armeno Aik Karapetian secondo una visione romantica con fantasiosi costumi medievali e una scenografia di fiaba, il lavoro di Leoncavallo ha un allestimento meno convenzionale. Il sipario si alza su un inserviente in canottiera che scopa un pavimento, ma non è la pista di un circo, bensì il pavimento di un ospizio per la terza età: alle pareti riproduzioni di cani in lotta con belve, in alto un lucernario mostra alberi scossi dal vento della sera. Vecchiette in abiti color pastello e vecchietti in carrozzella e deambulatore avanzano verso il proscenio, quasi minacciosi zombi. Si dispongono a semicerchio per accogliere i personaggi in male arnese che sono arrivati ad “allietare” gli ospiti. Nedda ha un occhio coperto da un cerotto, probabile “regalo” del violento e geloso marito, Tonio è da subito maltrattato da Canio. Durante la recita i vecchietti si assopiscono per svegliarsi solo all’assassinio dei due amanti. L’elemento grottesco dei vecchietti si somma a quello truculento della vicenda in un curioso mix.

In entrambi i pezzi si ammira il sinfonismo delle due partiture ben reso da Jānis Liepiņš, direttore dell’orchestra dell’Opera Nazionale Lettone, che passa con abilità dal postromanticismo fuori tempo di Montemezzi al verismo quasi espressionistico di Leoncavallo. L’unico interprete di ambedue le opere (Folco ne L’incantesimo, Tonio nei Pagliacci) è il baritono bielorusso Vladislav Sulimskij la cui presenza scenica e la voce possente sono ben conosciuti. Meno noti alle nostre latitudini gli altri interpreti, per lo più russi come Sergej Poliakov (Canio) e Tatiana Trenogina (Nedda) o lettoni come Valdis Jansons (Silvio) e Dana Bramane (Giselda)

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