Mese: Maggio 2019

Cleopatra

★★★☆☆

Di scale, sandali e pepli

Compositore insolitamente precoce anche per la sua epoca – aveva debuttato diciannovenne a Napoli con l’opera buffa Le contesse villane  – Lauro Rossi (1810-1885) fu un artista poliedrico: autore di musica sacra, sinfonica, da camera, di una trentina di opere, docente e direttore dei conservatori di Milano e Napoli, impresario e direttore di una compagnia d’opera in Messico. I suoi lavori per il teatro ebbero debutti in teatri prestigiosi: alla Scala di Milano (La casa disabitata, Azema di Granata, Bianca Contarini, Le Sabine) e al Regio di Torino (La Contessa di Mons, Cleopatra).

La scena è in Egitto e a Roma, intorno al 32 avanti Cristo. Atto primo. Nel meraviglioso palazzo della regina d’Egitto, Diomede, consigliere di Cleopatra, predice una grande catastrofe per la nazione, ora che la regina si è perdutamente invaghita del triumviro romano Antonio. I sacerdoti hanno ricevuto infausti presagi e insistono per essere ascoltati. La gloriosa fama dell’antico Egitto è in pericolo. Mentre un coro di schiavi fuori scena inneggia alle delizie dell’amore, fanno il loro ingresso Antonio e Cleopatra. I sacerdoti annunciano nuovamente il pericolo e Diomede, geloso, se la prende con Antonio. Mentre i due amanti non fanno altro che esprimere i loro più amorosi sentimenti, il consigliere teme che la regina prepari una trappola per ucciderlo, ma nonostante ciò non riesce a spegnere la divorante adorazione che prova per lei. Durante un banchetto, un balletto e il coro celebrano le gioie della vita in onore di Antonio e Cleopatra. I due innamorati ordinano del vino e Antonio racconta alla bella Cleopatra quanto sia orgoglioso di essere al suo fianco. Brinda alla magia della notte, alla luna e soprattutto alla stessa regina. In qual mentre uno squillo di tromba annuncia l’arrivo di un messaggero, Proculejo. Cleopatra teme che porti cattive notizie e i suoi timori vengono ben presto confermati: Antonio è richiamato a Roma e, se rifiuterà, delle truppe saranno inviate dall’Italia contro l’Egitto. Antonio, sprezzante, straccia il messaggio mentre Cleopatra gli giura eterna fedeltà, ma poi accetta lìordine di Roma e riprende il banchetto.
Atto secondo. In una sala della reggia di Cleopatra con splendida vista sul porto di Alessandria, la regina attende invano il ritorno di Antonio da Roma. Carmiana e un gruppo di schiavi cantori cercano di consolarla, ma lei rimprovera gli oracoli di averla ingannata. Da tempo scruta l’orizzonte alla ricerca della nave di Antonio ma ormai dispera di poterlo rivedere. Entra Diomede e Cleopatra è sgomenta nel vederlo, dato che, consigliata da un dio maligno, aveva dato ordine di ucciderlo. L’uomo confessa che la sua vita è diventata uno strazio dal momento in cui è comparso Antonio che le ha rubato l’affetto della regina, lui però ha sempre sperato che Cleopatra cambiasse idea. La donna ammette di averlo trattato troppo crudelmente, ma Diomede insiste instillandole il dubbio che Antonio la tradisca, visto che corrono voci di un suo nuovo amore. Sconvolta, la regina decide di partire per Roma, pronta ad avvelenare la sua rivale sconosciuta. Diomede la implora, per il bene dell’Egitto, di non essere precipitosa, ma niente pare calmare la furia di Cleopatra.
Atto terzo. Nel palazzo romano di Ottavio Cesare, sua sorella Ottavia è in procinto di sposare Marco Antonio. Gradisce il canto augurale delle ancelle, ma in cuor suo teme che il futuro marito non abbia ancora dimenticato Cleopatra e questo la frena dall’avvicinarsi all’altare sacro. Suo fratello e lo stesso Antonio la rassicurano. Mentre i fidanzati si allontanano, Ottavio Cesare rivela trionfalmente che mai avrebbe sperato in un giorno tanto fausto: con il matrimonio di sua sorella i suoi sogni imperiali non si limiteranno più al solo Occidente, ma gli porteranno conquiste anche nel meraviglioso e ricchissimo Oriente. In un’ampia strada, di fronte al tempio di Giunone, si festeggia il matrimonio di Antonio e Ottavia, quando arriva Cleopatra seguita da Diomede, che l’ha convinta a non interrompere la cerimonia per evitare di essere uccisa, ma ora la donna vuole affrontare il suo vecchio amante. Per quanto egli abbia ripagato indegnamente l’amore che lei serba ancora per lui, potrà farsi perdonare se lascerà la sua sposa, salvandola così dalla vendetta della regina d’Egitto. Tutti sono profondamente turbati, finché Cleopatra cerca di colpire la rivale, ma è ostacolata da Antonio. La regina minaccia morte e distruzione però sa bene che se non rinuncerà ai suoi propositi e l’Egitto sarà messo a ferro e fuoco dai romani. Alla fine Cesare trattiene Antonio, impedendogli di cedere alle tentazioni di Cleopatra.
Atto quarto. In una piazza di Alessandria, Antonio è distrutto dopo la sconfitta subita ad Azio contro le truppe di Ottavio Cesare. La sua alleanza con Cleopatra si è dimostrata rovinosa e ora accusa la regina di perfidia e spera di rappacificarsi con Cesare. Piange di rabbia pensando ai suoi compagni morti in battaglia, finché una fanfara annuncia l’arrivo dei suoi fedeli soldati egiziani che gli annunciano l’imminente ingresso di Cesare nel palazzo di Cleopatra. Tutti i suoi sogni sono svaniti, anche l’amore per Cleopatra, e ora non pensa che di morire da bravo romano. Nel suo palazzo la regina confessa a Carmiana di aver abbandonato il campo di battaglia ad Azio perché non riusciva più a sopportare gli orrori della guerra. Forse con la sua seduzione potrà impedire a Cesare di distruggere l’Egitto. Quando lui entra, gli promette la cessione a Roma di Cipro e della Fenicia in cambio della sicurezza del suo trono. Cesare affascinato pare cedere, quando Proculejo irrompe annunciando il suicidio di Antonio. Cesare accusa Cleopatra di tradimento e di aver distrutto il matrimonio di sua sorella Ottavia e le ordina di seguirlo a Roma. La regina sdegnata rifiuta. Solo la morte potrebbe sottrarla a tale onta, ma Diomede, entrato furtivamente, ha capito in anticipo le sue intenzioni e le porge un cesto di fiori in cui è nascosto un aspide. Quando Cesare le ordina nuovamente di seguirlo, la regina apre il canestro e si fa mordere dal serpente velenoso, pronta a raggiungere Antonio nella morte. Cesare ammette la grandezza della regina, Diomede vede morire davanti a sé la donna che ama e, mentre passa il corteo funebre di Antonio, Cleopatra cade a terra senza vita.

Quasi coetaneo di Giuseppe Verdi, Lauro Rossi risente dell’ingombrante presenza del Maestro. La sua Cleopatra è di cinque anni successiva all’Aida e nella vocalità e nel carattere dei personaggi, certo non nella psicologia grossolanamente abbozzata dal librettista Marco d’Arienzo, ci sono non poche affinità. Anche qui poi si trova lo stesso gusto orientalista e l’atmosfera da grand opéra che fa da sfondo ai due lavori. Diversi ovviamente sono i risultati: il mestiere di Rossi non è minimamente confrontabile con il genio verdiano e la sua Cleopatra rimane una curiosità con poche chance di recupero nei cartelloni attuali. Anche se però… In più di un momento ricorda un’altra opera castigata dalla critica ma osannata dal pubblico, La Gioconda di Ponchielli, dello stesso anno: come là anche qui i sentimenti sono del tutto scoperti ed esaltati da un canto viscerale che fa della Cleopatra di Rossi quasi una Medea altrettanto vendicativa dove l’estasi amorosa si trasforma poche battute dopo in furia omicida.

Un personaggio del genere ha bisogno di un’interprete di grande temperamento e mezzi vocali praticamente illimitati e trova tutto ciò in Dīmītra Theodosiou, il soprano greco che affronta la parte con indomito coraggio, una potenza e un’estensione ragguardevoli e osannati dal pubblico presente in sala. Qui siamo nella città natale di Lauro Rossi e nel bel teatro a lui dedicato. Si tratta della ripresa in tempi moderni dell’opera e viene registrata e messa a disposizione su DVD della Naxos. Sotto la bacchetta di David Crescenzi gli altri efficaci interpreti sono Alessandro Liberatore (Marco Antonio), Paolo Pecchioli (Ottavio Cesare), Sebastian Catana (Diomede), Willian Corrò (Proculejo) e Tiziana Carraro (Ottavia). I ballabili sono tagliati e l’unica azione coreografica è affidata a una sola ballerina e ai movimenti poco originali ideati da Gheorghe Iancu. Anche senza saperlo si indovina subito l’autore della scenografia e dei costumi: una scalinata, colonne, gambe nude per gli uomini, lunghi pepli per le donne, bianco per gli egizi, nero e rosso per i romani… Certo, è Pier Luigi Pizzi, autore anche della “regia”, un continuo saliscendi per la lucida scala.

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Amleto

William Shakespeare, Amleto

Regia di Valerio Binasco

Fonderie Limone, Torino, 2 maggio 2019

Un Amleto lineare

Un Amleto come da tempo non viene messo in scena in Italia quello di Valerio Binasco: non una “rilettura”, una “decostruzione”, un “montaggio di materiali”, un “adattamento”, una “trasposizione”, ma una fedele drammatizzazione di quasi tutti i versi della più lunga tragedia scespiriana. La traduzione di Cesare Garboli, usata da Carlo Cecchi nel’98 quando Binasco interpretò Amleto, e l’aggiunta di alcune parolacce – che fanno tanto ridere il pubblico – assieme ai costumi attualizzano la vicenda: il racconto di un giovane devastato da una terribile condizione di lutto, come la definisce il regista.

Il grande palcoscenico delle Fonderie Limone è vuoto, cassa di risonanza dei personaggi. Ben 37 quelli previsti, qui opportunamente ridotti e affidati a una compagnia che si è formata proprio con questo spettacolo tanto di identificarsi come Lemon Ensemble! Dodici attori con più ruoli, inizialmente sotto tono, poi sempre più intensi in un crescendo emotivo molto ben costruito dal regista. Se è doveroso citare Gabriele Portoghese (Amleto), Michele di Mauro (il re), Mariangela Granelli (la regina), Giulia Mazzarino (Cordelia) e Christian di Filippo (Orazio), una menzione speciale merita Nicola Pannelli, efficacissimo Polonio e poi becchino. Ma anche tutti gli altri caratterizzano al meglio i personaggi loro assegnati.

 

El barberillo de Lavapiés

Francisco Asenjo Barbieri, El barberillo de Lavapiés

★★★★★

Madrid, Teatro de la Zarzuela, 12 aprile 2019

(live streaming)

Il barbiere di Madrid

145 anni dopo il debutto avvenuto il 18 dicembre 1874, El barberillo de Lavapiés, zarzuela in tre atti appartenente al género grande, è sulle tavole del Teatro de la Zarzuela di Madrid con la regia e l’adattamento di Alfredo Sanzol del libretto di Luis Mariano de Larra. Sotto la trascinante direzione musicale di José Miguel Pérez-Sierra alla guida dell’Orchesta della Comunidad Autónoma de Madrid i cantanti Borja Quiza (vivacissimo Lamparilla dalla inesausta presenza scenica), Cristina Faus (Paloma dalla vocalità suadente e anche lei perfetta attrice), María Miró (Marquesita del Bierzo), Javier Tomé (Don Luis de Haro) e David Sánchez (Don Juan) danno voce ai personaggi della vicenda che ha luogo nel quartiere di Lavapiés, uno dei più popolari della Madrid del 1770, regnante Carlos III.

Atto I. Il Pardo, Lavapiés, durante la festa di Sant’Eugenio. Una folla si è radunata per celebrare la festa, tra cui un esuberante gruppo di venditori ambulanti, giovani coppie di innamorati e studenti. Lamparilla, dentista-barbiere, diverte la folla con la storia della sua carriera, prima di andare a fare alcune critiche incisive al governo del giorno. C’è una crisi e il capo ministro Grimaldi ha ordinato pattuglie e lampioni per la sicurezza della città di notte. La sarta Paloma, un’altra figura popolare, arriva cantando una canzone. Lamparilla è innamorato di lei, ma lei lo stuzzica. Entrano ora travestiti Don Juan de Peralta ed Estrella, Marquesita di Bierzo. Stanno pianificando la rovina di Grimaldi per conto del Conte Floridablanca, ma prima che possano unirsi ai loro cospiratori nella vicina locanda compare il fidanzato della Marchesa, Don Luis de Haro. Siccome è un nipote di Grimaldi, il marchese non può dirgli quello che lei e Don Juan stanno veramente facendo. La marchesa e don Juan entrano nella locanda all’arrivo di un gruppo di majas e studenti; ma Don Luis, profondamente sospettoso, decide di andare a cercare le guardie vallone per indagare. Un duello è in vista. La Marquesita esce dal nascondiglio per chiedere aiuto alla sua sarta e confidente Paloma. Spiega la delicatezza politica della situazione e chiede a Paloma di presentarla alla festa come un oscuro cugino e implorare Lamparilla di portarla via in sicurezza. Don Luis si avvicina, ma il marchese viene salvato dalla scoperta dalla astuta Lamparilla, che offre il suo braccio alla signora velata e la porta nella casa di fronte. Le guardie vallone marcano poco dopo e circondano la locanda, ma Lamparilla sfugge a Don Luis con un furbo monologo. Don Luis incontra il comandante della guardia Don Pedro, che gli racconta della trama che coinvolge il suo fidanzato. Mentre la folla si riunisce, la Guardia porta una tenda per arrestare i cospiratori senza attirare troppa attenzione. In effetti finiscono con un prigioniero, ma la testa che spunta attraverso la tenda appartiene all’onnipresente Lamparilla.
Atto II. Una piazzetta davanti al barbiere di Lamparilla. Le guardie valloni continuano le loro ronde notturne, mentre i clienti di Lamparilla si lamentano dei disastri che li hanno colpiti per mano degli assistenti del barbiere durante la sua assenza. Lamparilla riappare, con gioia di tutti: si vanta di essere stato imprigionato per aver rotto i nuovi lampioni, ma la verità è che Marquesita ha corrotto il carceriere per liberarlo, e chiede ancora a Paloma di persuadere Lamparilla a unirsi alla cospirazione. Pagherà persino il loro matrimonio, ma Paloma, grata alla Marquesita per aver badato alla madre morente, non vuole pagare. In ogni caso lo scopo della cospirazione è pacifico: forzare Grimaldi ad accettare un incontro tra il re e Floridablanca, in modo che quest’ultimo possa spiegare le sue idee di riforma. La Marquesita vuole che Lamparilla corrompa alcuni piantagrane per rompere i lampioni e distrarre l’attenzione delle guardie mentre la vera azione va avanti. Don Luis appare, ma il marchese gli proibisce di vederla per quattro giorni prima di unirsi ai cospiratori nella sua casa vicino al negozio di barbiere. Ritorna per entrare nella casa travestito, con sei dei cospiratori. Paloma chiama Lamparilla ed entra nel negozio per spiegare ulteriormente il piano. Nel frattempo Don Luis ritorna tranquillamente, incontrando Don Pedro e i suoi valloni. Agendo sul suggerimento di Luis, si sistemano per guardare la casa della Marquesita e attendono il loro momento per irrompere e impossessarsi dei cospiratori. Don Luis cerca di intercedere per il suo fidanzato, ma Don Pedro è fermamente convinto che tutti debbano essere catturati. Mentre la folla si raccoglie, Lamparilla inizia una canzone per sviare i sospetti della Guardia . I valloni si preparano a prendere d’assalto la casa, nonostante le suppliche di Don Luis, ma ormai la Marquesita e le sue amiche hanno avuto l’opportunità di fuggire attraverso un buco nel muro e – aiutate dall’oscurità dovuta alla rottura dei lampioni – attraverso i tetti alla libertà. L’atto finisce in confusione mentre i valloni escono dalla casa del marchese, confusi sul fatto se debbano inseguire i cospiratori o incastrare i rivoltosi.
Atto III. La stanza di Paloma nella calle de Toledo. Le cucitrici che lavorano per Paloma cantano mentre finiscono di cucire alcune gonne, apparentemente sul cardellino di Paloma. Paloma è stata tenuta chiusa in casa sua dal fallimento della cospirazione e non è stata in grado di lavorare per i suoi clienti aristocratici. Tuttavia, lei tace sul suo piano di aiutare Marquesita e Don Luis a fuggire dalla città vestiti da majos. Quando la Marquesita appare nel suo costume da maja, Paloma le dà qualche consiglio su come interpretare la sua nuova parte. Don Luis viene condotto da Lamparilla e tutti si preparano a dirigersi alla campagna. Si sentono dei passi e il quartetto si dirige verso la camera da letto di Paloma prima che Don Pedro e le guardie vallone compaiano sulla scena vuota, accompagnate dalle sarte che li deridono. Qualche istante dopo, però, i due aristocratici e Paloma vengono catturati. Poi Lamparilla (che è fuggito attraverso il tetto) irrompe trionfalmente con grandi notizie: Floridablanca ha incontrato il re ed è stato nominato ministro. Don Luis, nipote del caduto Grimaldi, deve andare in esilio. La Marquesita manterrà fede con il suo fidanzato e andrà con lui, ma Lamparilla e Paloma si giurano amore eterno nella gioia generale.

Storia di intrighi politici centrati sul personaggio della Marquesita e del suo amore per Don Luis de Haro, contrapposta alla coppia formata dal barbiere e da una sarta di Lavapiés, Paloma, in un complotto che combina elementi seri, comici e satirici in egual misura, la zarzuela di Barbieri si avvicina ai coevi lavori di Gilbert & Sullivan. Qui il sinistro coro delle guardie valloni ha più che una somiglianza con i loro cugini primi, il coro della polizia nei Pirates of Penzance. Ma qui è Madrid il genius loci motore della vicenda, una Madrid sempre presente e viva per il pubblico del 1874 come quello di oggi.

Francisco Asenjo Barbieri fu a capo di quel gruppo di compositori che a metà Ottocento riuscirono a sensibilizzare l’opinione pubblica e politica sull’importanza della zarzuela per l’identità culturale della Spagna, al punto da raccogliere fondi sufficienti per far costruire a Madrid un teatro espressamente a questo tipo di spettacolo. Fu grazie a loro che nel 1856 aprì le porte il Teatro de la Zarzuela, in Calle de Jovellanos, dove è attivo ancora oggi. La maggior parte delle opere che vi si rappresentarono furono scritte proprio dai membri della Sociedad e fra loro si distinsero per la quantità e la qualità proprio quelle di Francisco Asenjo Barbieri.

Nel suo Barberillo de Lavapiés teatro lirico e spirito popolare si mescolano in un equilibrio perfetto.Il riferimento al Barbiere di Siviglia di Rossini è evidente e volontario: Barbieri rivolge all’illustre compositore un omaggio nell’aria introduttiva di Lamparilla, che riecheggia con le sue parole quella di Figaro che entra in scena snocciolando i suoi titoli, che vuol far sembrare nobiliari, ma in realtà sono umilissimi, con un risultato piuttoso comico e chiudendo come in Rossini: «Lamparilla no, | Lamparilla sí, | este es el barbero | mejor de Madrid». La partitura di Barbieri caratterizza anche tutti gli altri personaggi: la maja Paloma, figlia del popolo e della città di Madrid; i personaggi nobili, con cui la musica abbandona i toni folkloristici per guardare alla tradizione italiana della forma tripartita; i popolani con i loro tratti comici; i cori vivaci.

Con questa produzione si conferma il nuovo corso della zarzuela in Spagna oggi, con allestimenti moderni che si liberano della paccottiglia folcloristica senza rinnegare l’autenticità del genere. Come Emilio Sagi, anche Alfredo Sanzol mette in scena l’opera spagnola con mezzi nuovi. Diversamente da Calixto Bieito con il suo Barberillo del 1998, Sanzol sceglie il vuoto del palcoscenico: nella semplice e senza tempo scenografia di Alejandro Andújar non ci sono ricostruzioni in cartapesta a tinte vivaci. Qui otto pannelli neri definiscono i vari ambienti in cui si svolge la vicenda e solo ai ricchi costumi dello stesso Andujar spetta il compito di ricreare l’atmosfera dell’epoca settecentesca. Fin dall’inizio la regia adotta soluzioni originali: prima ancora che attacchino le pimpanti note della ouverture, sulle tavole del palcoscenico risuonano i passi dei trampolieri e dei ballerini con un effetto molto suggestivo. Ma molti sono i momenti nuovi e intelligenti della sua scelta registica e vivacissime le belle coreografie di Antonio Ruz. Meglio non si poteva fare per mettere in giusta luce una delle più belle opere nate in terra di Spagna.