La sposa venduta

Bedřich Smetana, Prodaná nevěsta (La sposa venduta)

★★★★★

Wormsley, Garsington Opera Pavilion, 23 giugno 2019

Dal folklore ceco alla campagna inglese

Peculiare situazione quella dell’opera nel Regno Unito, dove non è tanto la capitale con il suo glorioso Covent Garden a destare gli interessi degli appassionati di lirica, quanto i suoi tanti festival estivi, per lo più immersi nella verde campagna inglese: dal blasonatissimo Glyndebourne al Grange Festival; dal Longborough Festival Opera all’Ilford Arts’ Festival; dal West Green House Opera al Buxton International Festival; dall’Opera Holland Park al Garsington Opera.

Quest’ultimo si è costruito una rinomata reputazione con una stagione in cui rarità operistiche sono affiancate a titoli di repertorio e dove a cantanti giovani ma promettenti viene data la possibilità di esibirsi in allestimenti molto curati in un padiglione nel parco che viene montato e smontato ogni anno. Nel 2019, anno in cui celebra il suo 30° anniversario, Garsington Opera mette in scena cinque produzioni: Don Giovanni di Mozart, Fantasio di Offenbach, The Turn of the Screw di Britten, I Vespri di Monteverdi e La sposa venduta di Smetana.

Senza stravolgere la drammaturgia, Paul Curran costruisce uno spettacolo delizioso che ha la freschezza e l’umorismo della vicenda originale, soltanto spostando l’ambientazione nell’Inghilterra degli anni ’50 – con il ritratto della giovane regina su un muro della locanda. Nelle scenografie di Kevin Knight il primo atto si svolge nei locali parrocchiali con annessa cucina dove si imburrano i sandwich con la corned beef. Qui il parroco mette un disco sul fonografo a valigetta ed ecco scaturire le note dell’ouverture. Con l’arrivo di giovani parrocchiani imbrillantinati che preferirebbero le canzoni di Elvis Presley, attorno al palo di calendimaggio piantato nel mezzo iniziano le danze di cui è costellata l’opera di Smetana (polka, furiant, ecc.) che qui talora hanno i movimenti del rock. Con un cambio di scena al passo della musica, così fluido da riscuotere gli applausi del pubblico, si passa al pub dell’atto secondo, con tanto di gioco delle freccette e l’andirivieni alla toilette maschile in seguito alle copiose bevute di birra. Anche qui la direzione attoriale del regista si rivela arguta e precisa. Dopo il lungo intervallo – che permette agli spettatori di cenare comodamente con vista idilliaca sulla campagna – il terzo atto ci immerge nella festosa atmosfera di un circo itinerante con la musica che accompagna alla perfezione i numeri dei giocolieri e degli acrobati.

La lingua cantata è quella originale. Qui nessun cantante è di lingua ceca, ma la dizione è quasi perfetta e colpisce la naturalezza con cui gli interpreti sbrogliano i vertiginosi scioglilingua dell’opera. Anche il coro dimostra una disinvoltura vocale e scenica che lascia sbalorditi: ognuno dei 24 coristi si è assegnato una distinta caratterizzazione che porta avanti per tutto lo spettacolo con una maestria frutto di lunghe e minuziose prove – un altro elemento che è sempre più difficile incontrare nelle stagioni dei grandi teatri lirici. Che il tutto avvenga con movimenti precisi e complesse coreografie è un fatto che desta ancora più ammirazione.

Corposa e ben proiettata è la voce di Natalya Romaniw, una Mařenka di carattere ma ottimamente definita nei momenti lirici. Con lo Jeník di Brenden Gunnell dal bellissimo timbro e dalla vigorosa presenza vocale, il duetto dell’atto primo «Věrne milování» raggiunge momenti di grande tenerezza in cui i due giovani, entrambi infelici per ragioni diverse, cercano affetto l’uno nell’altra. Ancora più struggente risulta il fatto che sia intonato tra le piastrelle e gli utensili di una cucina. Joshua Bloom è un Kecal mai troppo caricaturale e dai mezzi vocali sorprendenti per un ruolo buffo. Anche Stuart Jackson riesce a rendere affettuosamente simpatica la figura dell’impacciato e balbuziente Vašek con un’elegante linea lirica. Non sono da meno gli interpreti delle altre parti. A capo della Philharmonia Orchestra, Jac van Steen mantiene in perfetto equilibrio le raffinatezze strumentali, la vivacità dirompente e i momenti di malinconia di questa miracolosa partitura.

Eccellente la ripresa video. Certi teatri italiani avrebbero molto da imparare.

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