
Carl Dahlhaus, Richard Wagner’s Music Dramas
1979 Cambridge University Press, 162 pagine
Si tratta della traduzione di Richard Wagners Musikdramen che Carl Dahlhaus aveva pubblicato nel 1971. È il primo testo in cui l’opera wagneriana non viene approcciata dal punto di visto filosofico o storico-politico. Il libro inizia dall’assunto che il termine “dramma musicale” è stato malinteso: la particolarità del teatro di Wagner è che mentre lavorava sul testo, nell’immaginazione dell’autore già prendeva forma la sua possibile realizzazione scenica. Diventa irrilevante quindi la diatriba musica/testo, essendo chiaro che il giudizio ultimo sul dramma sarà basato sull’esperienza in scena.
Il discorso così si allarga al problema della messa in scena dell’opera lirica in generale: «Il mero testo verbale e musicale del dramma musicale non costituisce di per sé un’opera d’arte conchiusa ed autosufficiente, un opus perfetto che sulla scena ci si limita ad eseguire, a rappresentare: all’opposto, soltanto nella messa in scena, nella scenica realizzazione, esso trova pieno compimento ed adempimento, viene letteralmente “messo in opera”. La storia della messa in scena è dunque parte integrante della storia medesima dell’opera wagneriana, e delle mutazioni cui andò soggetta. […] Fintanto che sulla scorta dello schema corpo/anima dominante nell’estetica del XIX secolo s’intende la messa in scena come mero involucro esteriore del dramma, la storia della messa in scena significherà null’altro che mutevolezza delle forme e delle apparenze che di volta in volta assume un’opera, intatta ed inalterata nella sua identità e sostanza: l’anima resta illesa. Chi invece nella messa in scena vede una parte costitutiva dell’opera medesima, anzi il suo compimento ed adempimento, dovrà necessariamente far propria l’idea della mutabilità storica dell’opera d’arte – un’idea difficile da accettare o anche soltanto da concepire, poiché contravviene all’opinione radicalissima che la grandezza di un’opera d’arte sia per definizione sottratta all’influsso della storia – oppure arrendersi ad un rigido tradizionalismo che nega la storia o le si oppone e tenta di proteggere, oltre che l’opera, anche la sua messa in scena da trasformazioni e modifiche che equivarrebbero ad altrettante alterazioni dell’essenza stessa dell’opera e non soltanto della sua apparenza».
⸪