Risurrezione

Franco Alfano, Risurrezione

★★★☆☆

Firenze, Teatro del Maggio, 19 gennaio 2020

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L’opera di Alfano risorge a Firenze gettando nuova luce sul suo autore

Non soltanto il Settecento italiano è campo di riscoperte: anche se quantitativamente e qualitativamente inferiore, l’opera del dopo-Verdi, il cosiddetto Verismo, è ora oggetto di nuova attenzione.

Conosciuto al più per una decina di lavori, quel periodo viene ora riproposto con frequenza, e non solo in Italia: anche nelle isole oltre Manica sembra esserci interesse a recuperare opere una volta estremamente popolari. È il caso di Isabeau di Mascagni all’Opera Holland Park, Mala vita di Giordano e L’oracolo di Leoni al Wexford Festival Opera, portate alla luce dal direttore italiano Francesco Cilluffo…

Proveniente appunto da Wexford, Risurrezione di Franco Alfano è ora a Firenze. Il compositore è ricordato soprattutto per aver completato la Turandot di Puccini lasciata incompiuta nel 1924 alla morte dell’autore: Alfano era stato scelto da Toscanini sì per gli indubbi meriti artistici ma anche per il fatto che la sua Leggenda di Sakuntala (1920) già aveva avuto un’ambientazione esotica e ciò era sembrato un valore aggiunto per l’impegnativo compito. Precedentemente, la sua opera Risurrezione era stata presentata a Torino il 30 novembre 1904 con successo: più di mille repliche, per lo meno fino agli anni ’50 del secolo scorso, per poi venire dimenticata.

I quattro atti su libretto in prosa (una novità per l’epoca!) di Cesare Hanau sono liberamente ispirati al romanzo omonimo di Lev Tolstoj del 1899. Il nucleo della vicenda è lo stesso – la storia di una ragazza orfana che viene sedotta da un giovane nobile e scacciata dalla famiglia che la ospitava quando viene scoperta la gravidanza – ma nell’opera solo in parte è messa in evidenza la forte denuncia sociale presente nel romanzo russo. La vicenda di Katjuša, che da ragazza madre diventa prostituta e poi deportata per un crimine non commesso, viene letta secondo la morale del tempo: la risurrezione del titolo è quella della “peccatrice” Katjuša che si redime rinunciando all’amore e al matrimonio riparatore col suo seduttore. Non sorprende che Tolstoj non ne amasse la trasposizione in musica.

Atto I. Dmitri, di ritorno per la sola notte di Pasqua nella casa della zia Sofia, prima di partire per la guerra contro i Turchi, vi ritrova la giovane orfana Katjuša Lubova; l’amore già sbocciato in passato tra i due ora rinasce più forte, ed ella si abbandona al principe che la notte diventa il suo amante. Il giorno dopo l’uomo parte per la guerra.
Atto II. La stazione di una piccola città. Katjuša, ora in stato di gravidanza, è stata cacciata di casa. Aspetta con ansia il principe Dmitri che dovrebbe transitare per la stazione. Ma quando lo vede arrivare in compagnia di una prostituta, non ha il coraggio di andargli incontro e rimane nascosta fino a quando lei va via, con il cuore trafitto dal dolore.
Atto III. Carcere a San Pietroburgo. Katjuša, affranta dall’incuranza di Dmitri e dalla morte del suo bambino, finisce in un luogo di dissolutezza. Rimane coinvolta in un crimine e, sebbene innocente, viene condannata per omicidio e deve essere deportata in Siberia. Prima che lei parta, Dmitri, preso dal rimorso, viene a vederla in prigione e si offre di sposarla. Ma ella è in un tale stato di disperazione che rifiuta l’offerta.
Atto IV. Sulla strada per la Siberia. Katjuša è diventata di nuovo sé stessa, la brava ragazza dolce dei tempi passati. Ha trovato la volontà di vivere dando conforto alle colleghe deportate. Dmitri, che l’ha seguita, ora vuole sposarla ad ogni costo. Ottiene la grazia per lei e la sua libertà. Ma Katjuša, anche se lei lo ama ancora con tutta l’anima, rifiuta. Si sente che solo se entrambi rinunciano al matrimonio potranno essere riscattati.

La musica di Alfano fa tesoro non solo di Puccini (molti passaggi echeggiano la sua Manon Lescaut) ma anche di Debussy (Pelléas et Mélisande è di due anni prima) per la ricercata armonia. Pur nella raffinatezza orchestrale l’opera non sfugge al gusto verista dell’epoca nei momenti più drammatici della vicenda, con ricorso al grido e al parlato.

Rosetta Cucchi legge la vicenda dal punto di vista della protagonista: la sua Katjuša è vittima prima del demone seduttore (ritratto nel quadro di Vrubel appeso nella camera di Dmitri), poi della società borghese che non tollera la sua “colpa” e infine del sistema giudiziario che la condanna per un delitto non ha commesso. La sua messa in scena essenzialmente tradizionale si avvale dell’impianto scenografico senza profondità di Tiziano Santi e solo nel finale ricorre a un efficace coup de théâtre: appare un campo di spighe dorate in cui si inoltrano Katjuša e una bambina, spesso presente in scena a rappresentare lo stato di innocenza perduta della donna, mentre suonano le campane di Pasqua della risurrezione di Cristo, le stesse che avevamo ascoltato all’inizio.

La direzione di Francesco Lanzillotta è trasparente e leggera, quasi evanescente nei finali d’atto. Solo raramente l’orchestra diventa turgida dispiegando la sua ricca strumentazione. Il maestro è abile nel concertare le diverse voci nella scena della stazione del secondo atto, un’invenzione del librettista, dove al dolore e alla solitudine della protagonista si alternano le vivaci controscene dei viaggiatori in attesa. Venti sono i cantanti in scena, ma solo tre hanno a disposizione un’aria che spezza lo stile declamato predominante. La più famosa è «Dio pietoso» di Katjuša, parte ripresa dal soprano francese Anne Sophie Duprels che conferma le doti drammatiche già esibite a Wexford. Il timbro non è dei più piacevoli, ma la voce ha una sicura proiezione. Quasi una romanza è «Piangi, sì piangi» di Dmitri, il personaggio più scialbo della vicenda e qui l’interpretazione di Matthew Vickers non ha fatto molto per riscattarne la statura: il cantante ha una bella voce ma non sempre sviluppa la potenza necessaria a bucare l’orchestra. Il messaggio di cristianesimo pietoso e umanitario dell’opera originale è delegato al personaggio di Simonson, il baritono Leon Kim che ha avuto un successo personale per la sensibile caratterizzazione e l’efficace performance vocale.

Anche se non è stata la riscoperta di un capolavoro nascosto, questa riedizione di Risurrezione ha permesso di gettare luce su un lavoro le cui preziosità sono da cercare più nell’orchestra che nella vocalità. Una cosa singolare per l’opera italiana in un’epoca che affidava alla melodicità di Puccini il suo punto di forza.

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