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Alban Berg, Lulu
★★★★★
Monaco, Nationaltheater, 29 maggio 2015
(registrazione video)
Né realismo, né espressionismo: Lulu d’eccezione a Monaco
La storia inizia al cinema prima ancora che all’opera: nel 1929 il regista tedesco Georg Pabst porta sullo schermo il mitico volto di Louise Brooks in Lulu e da allora è difficile separare il caschetto di capelli neri dell’attrice americana dalla figura seducente e disinibita della protagonista di Erdgeist (Lo spirito della Terra, 1895) e Die Büchse der Pandora (Il vaso di Pandora, 1904), due drammi riuniti poi nel 1913 in uno solo. L’autore Franz Wedekind aveva subito la censura, l’ostracismo e anche il carcere per alcune sue opere provocatorie giovanili, ma anche in Lulu la cruda rappresentazione della sessualità e della violenza aveva superato i limiti di ciò che a quei tempi era considerato accettabile sul palcoscenico.
Alla sua morte nel 1935 Berg aveva lasciato l’opera incompiuta: del terzo atto mancava l’orchestrazione. La fortunosa prima esecuzione a Zurigo del 1937 avvenne senza l’atto finale sostituito dalle poche pagine che il compositore stesso aveva utilizzato nel frattempo per dei Pezzi sinfonici e un Adagio. In questa forma incompiuta Lulu venne presenta alla Biennale di Venezia del 1949 diretta da Sonzogno e con la regia Strehler mentre alla Scala arrivò solo nel 1963. In quegli stessi anni ’60 Karl Böhm la dirigeva e la registrava con i migliori interpreti dell’epoca. Nel 1979 la strumentazione del terzo atto si completava, con tutte le apprensioni del caso, per mano di Friedrich Cerha e l’opera, finalmente in tre atti, veniva diretta da Pierre Boulez e messa in scena da Patrice Chéreau a Parigi. Da allora quasi tutte le produzioni dell’opera sono avvenute nella forma completa.
Nel 2015 a Monaco la Bayerische Staatsoper affida Lulu a un’accoppiata di grande prestigio: Kirill Petrenko e Dmitrij Černjakov, e il risultato è superlativo.
Petrenko ricava dall’orchestra del teatro una particolare intimità cameristica, ma negli interludi sinfonici raggiunge una potenza sonora di grande drammaticità. Sono contrasti gestiti con grande sapienza dal direttore russo che della partitura evidenza la grande ricchezza cromatica. Perfetta la consonanza tra buca orchestrale e palcoscenico dove agisce un cast di eccellenza in cui svetta la Lulu di Marlis Petersen, non la solita Lolita morbosa, ma donna appassionata, vocalmente strepitosa nella precisione, nella musicalità, nell’estensione e nell’abbacinante registro acuto. Inquieto lo Schön di Bo Skovhus, grande attore e perfetta la Geschwitz di Daniela Sindram. Altra parte vocalmente impegnativa è quella di Alwa, qui un efficacissimo Mathias Klink. Molto ben tratteggiato il viscido Schigolch di Pavlo Hunka e bravissimi gli altri interpreti impegnati anche in due o tre ruoli: ricordiamo almeno Rainer Trost, Martin Winkler e Wolfgang Ablinger-Sperrhacke.
Il personaggio con cui si apre l’opera è il domatore di un circo particolare in cui gli animali sono uomini e donne chiusi in gabbie di vetro che formano una specie di labirinto degli specchi. In scena non ci sono passioni o sentimenti, ma solo istinti animali. Ogni capsula di vetro è abitata da una coppia che ripete quello che succede a Lulu e ai suoi amanti al proscenio. È un eros seriale, come seriali sono gli omicidi di Jack lo Squartatore nella Londra di fine Ottocento da cui parte il dramma di Wedekind, e Lulu è solo una delle tante vittime.
Il ritratto di Lulu del pittore è la sua figura i tracciata in bianco su uno di questi vetri, come se fosse la sagoma di un cadavere sul pavimento: il destino di morte di Lulu è già segnato e tutto quello che fa è un inesorabile cammino verso la fine. Nella drammaturgia di Malte Krasting però è lei a decidere, trafiggendosi con il coltello dell’ultimo cliente che ha le fattezze di Schön, l’unico suo vero amore, a detta di Lulu. Ma questo ha una capigliatura brizzolata mentre il vero Schön qui è calvo, e allora la ragazza gli nasconde i capelli con le mani per rafforzare l’illusione. Uno dei tanti dettagli della sensibile regia di Černjakov che ha disegnato anche la scenografia mentre Gleb Filshtinsky si è occupato delle magnifiche luci.
⸪