Don Giovanni

 

Wolfgang Amadeus Mozart, Don Giovanni

★★★★☆

Salisburgo, Haus für Mozart, 22 agosto 2008

(registrazione video)

Il Don Giovanni noir di Guth

Secondo sportello della trilogia dapontiana di Claus Guth a Salisburgo. Dopo le magnifiche Nozze di Figaro del 2006 ecco, due anni dopo, il suo Don Giovanni.

L’inizio dello spettacolo ce lo facciamo raccontare da Elvio Giudici che a questa produzione ha dedicato una lunga analisi nel suo Il Settecento. L’opera. Storia, teatro, regia da poco uscito: «L’apertura del sipario avviene a metà dell’ouverture, ed è un discreto choc. La scena [di Christian Schmidt] è un bosco il cui intrico di tronchi, rami, saliscendi muschiosi, radure, diventa – grazie a luci portentose [di Olaf Winter] – un insieme inquietante ma anche fascinoso di ambienti che saranno poi riportati alternativamente in primo piano in virtù dell’essere rotante il centro del largo palcoscenico […] Al centro di tale scena, in un magnifico ralenti che ti fa subito pensare al cinema di Sam Peckinpah, vediamo un uomo in fuga inseguito da un altro. Giunti al centro d’una radura s’arrestano, si fronteggiano, il più giovane e slanciato raccoglie un grosso ramo e colpisce alla testa quello più anziano e corpulento: che cade all’indietro sbattendo contro un grosso tronco […] ma riuscendo a levare in alto la pistola tenuta in mano e a sparare, colpendo al ventre l’altro, prossimo a reiterare il colpo. Questi lascia allora cadere il ramo premendosi la ferita, da cui escono fiotti di sangue, mentre il sipario ridiscende».

Tutta la rappresentazione si svolge nel tempo che separa Don Giovanni da una morte ineluttabile in questo bosco notturno, luogo delle pulsioni e delle dissolutezze del protagonista, dove gli altri personaggi si aggirano armati di torce elettriche. Don Giovanni e Leporello sono due vagabondi tossicodipendenti, quest’ultimo con qualche problema comportamentale in più tradito da innumerevoli tic nervosi. Donna Anna è morbosamente attratta da Don Giovanni e ogni volta che lo incontra scambia con lui furtivi sguardi o baci. Alla fine si ucciderà per l’impossibilità di averlo. Messa in scena certo non convenzionale questa, ma intrigante e con momenti teatrali di grande impatto realizzati secondo una tecnica filmica: il ruotare della struttura in palcoscenico suggerisce una carrellata cinematografica e il magnifico gioco di luci accentua l’aspetto non naturalistico della messa in scena. Il tutto è esaltato dalla ripresa video, come sempre eccellente, di Brian Large, che qui raggiunge la perfezione.

Innumerevoli sono i momenti geniali nella regia di Guth. La scena del catalogo non è un numero comico: sotto la triste pensilina di una fermata d’autobus, qui tappa esistenziale, si svela la metafora di una vita tragicamente inutile e Don Giovanni ascolta con crescente disperazione quell’arido elenco di numeri qual è stata la sua sterile vita. C’è poi Zerlina che ricrea più o meno inconsciamente con Masetto la stessa scena dell’altalena vissuta con Don Giovanni o Donna Elvira che canta «Mi tradì quell’alma ingrata» aggrappata al corpo del marito, svenuto e ferito.

Merito di questa produzione è anche il ripristino del duetto del secondo atto tra Leporello e Zerlina, numero che viene sempre tagliato e su cui Mila non aveva risparmiato a suo tempo le critiche: «Si tratta di un assurdo duetto […] dove quest’ultima vuole vendicarsi contro il servo con eccessi sadici di crudeltà (“con queste mani | ti strappo il cor e poi lo getto ai cani”) e Leporello cerca di placarla invocando goffamente le sue grazie (“per queste tue manine | candide e tenerelle, | per questa fresca pelle | abbi pietà di me”) […] Si tratta di una sbrodolatura buffonesca […] non solo strampalata ed importuna dal punto di vista drammatico, ma anche del tutto insignificante dal punto di vista musicale». Guth riesce invece a rendere teatralmente efficace anche questa scena. Il finale è indicibilmente drammatico: sul bosco scende sempre più fitta la neve l’incontro con il Commendatore è probabilmente l’allucinato frutto delle droghe assunte da Don Giovanni che finalmente muore liberandosi così dai suoi dèmoni.

In perfetta sintonia con il regista è la direzione drammaticamente tesa fin dall’ouverture di Bertrand De Billy alla testa dei Wiener Philharmoniker. Senza eccedere nella frenesia dei tempi riesce a sottolineare la violenza delle emozioni e ad accompagnare efficacemente col fortepiano e il violoncello gli intensissimi recitativi. La versione scelta è quella di Vienna, ma senza il moralistico sestetto che conclude l’opera. Molta attenzione è riservata ai recitativi che hanno un ritmo da teatro di prosa e alla direzione attoriale: l’approfondimento psicologico dei personaggi raggiunge risultati prodigiosi grazie anche ai bravissimi interpreti. Dal Don Giovanni di Christopher Maltman, magari non eccelso vocalmente ma tutt’uno con la parte scenicamente, a quell’animale di palcoscenico che è Erwin Schrott, un Leporello indimenticabile. Alex Esposito è il Masetto più convincente che sia mai stato visto in scena. Il cantante otterrà un analogo risultato con il suo Leporello nella produzione di Holten. Polenzani sembrerebbe il meno convinto dell’operazione e la sua aria straniata non si capisce se sia sincera o un’abile finzione. A lui si devono comunque i momenti elegiaci più belli e in un certo modo necessari in questa cruda vicenda. Efficace il Commendatore di Anatoli Kotscherga. Il cast femminile è dominato da Dorothea Röschmann, una donna Elvira il cui temperamento non deforma mai l’immacolata linea vocale. Annette Dasch è la tormentata donna Anna e Ekaterina Siurina una sontuosa Zerlina.

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