Stagione Sinfonica RAI

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Franz Liszt, Concerto n° 1 in Mi♭ per pianoforte e orchestra
I. Allegro maestoso
II. Quasi adagio
III. Allegretto vivace. Allegretto animato.
IV. Allegro marziale animato. Alla breve, più mosso.

Pëtr Il’ič Čajkovskij, Sinfonia n° 6 in si op. 74 (Patetica)
I. Adagio. Allegro non troppo. Adagio. Andante. Moderato mosso. Andante.Moderato assai. Allegro vivo. Andante come prima. Andante mosso.
II. Allegro con grazia. Con dolcezza e flebile
III. Allegro molto vivace
IV. Finale, adagio lamentoso. Andante

Torino, Auditorium RAI Arturo Toscanini, 6 maggio 2021

Fabio Luisi direttore e Alexander Malofeev pianoforte

Che emozione tornare ad ascoltare musica in presenza! Per la prima volta dopo sei mesi (ma sono sembrati molti di più) l’Auditorium “A. Toscanini” della Rai apre le sue porte al pubblico, anche se in numero strettamente contingentato, per il quinto concerto della stagione della sua Orchestra Sinfonica Nazionale. E si riscopre l’impatto sonoro della musica dal vivo, che nessun impianto di amplificazione ad alta fedeltà, nessun equalizzatore, nessuna diavoleria tecnologica può sostituire.

Per l’avvenimento vengono schierati due artisti di eccezione in un programma impegnativo con due lavori che vanno sotto la stessa etichetta di “musica romantica”, ma se solo trentasei anni separano la pubblicazione del primo concerto per pianoforte e orchestra di Liszt dalla sesta sinfonia di Čajkovskij, la differenza fra i due lavori non potrebbe essere più evidente. Nel caso del pezzo pianistico i primi schizzi risalgono al 1830, proprio l’anno in cui si fa per convenzione iniziare il movimento romantico in musica, la “Patetica” invece è del 1893, quando ormai si parla di tardo-romanticismo.

Autore estremamente prolifico, Liszt stranamente ha scritto solo tre concerti per pianoforte e orchestra, e il terzo addirittura non è stato inserito nel catalogo. La lunghissima gestazione del primo – che vide la stampa solo nel 1857 dopo innumerevoli revisioni – indica il suo cauto approccio verso una forma che conosceva perfettamente come esecutore ma meno come compositore. Il concerto in Mi ♭ è formato dai consueti quattro movimenti ma organizzati in una struttura unitaria che media il virtuosismo giovanile con più mature intenzioni espressive. Il neanche ventenne pianista russo Alexander Malofeev, già noto al pubblico torinese, è l’interprete ideale per il pezzo lisztiano che affronta con slancio e tecnica invidiabile rispondendo con il carattere liquido del suo primo tema alle fanfare dell’orchestra e ingaggiando poi deliziosi duetti con i singoli strumenti: prima il clarinetto poi flauto e clarinetto nell’adagio, in un disegno sempre chiaro e quasi cameristico. L’esigenza di terminare la serata prima del coprifuoco impedisce l’esecuzione di fuori programma che il pubblico avrebbe certamente gradito. Ma non mancheranno altre occasioni per riascoltare il talentuoso pianista moscovita.

Nella seconda parte è Fabio Luisi, appena nominato Direttore Emerito dell’Orchestra Sinfonica Nazionale, a concentrare l’attenzione. A memoria e senza bacchetta, con gesto sicuro ricrea l’ultima sinfonia di Čajkovskij, la più nota ed amata, scritta poco prima della sua drammatica e ancora misteriosa morte. Il titolo di Патетическая (patetičeskaia) fu scelto dal fratello Modest, mentre il compositore aveva invece pensato al termine Программная (programmnaya, ossia sinfonia a programma). Fatto sta che prevalse il termine scelto dal fratello tradotto in francese come “pathétique”, un aggettivo che però tradiva il concetto di “passionale” dell’originale introducendo una connotazione di “compassione” che ha finito per influenzare il nostro giudizio a posteriori.

E la lettura che ne dà il maestro Luisi sembra confermare l’intento originale: depurata di ogni eccesso di autocompiacimento, la sinfonia si erge come un monumento di sconvolgente drammaticità dove il primo tempo, di estrema complessità, con le sue 354 battute dura il doppio degli altri singoli movimenti e potrebbe essere una sinfonia conclusa in sé stessa. Fin dalle prime note cariche di angoscia sospesa si capisce che direttore e orchestra sono tutt’uno, l’intesa è palpabile e la sicurezza del direttore viene trasmessa a tutti gli strumenti. Le pause hanno la stessa tensione emotiva dei momenti più drammatici, i tempi hanno una maestosa tragicità. I colori sono scuri, viole e violoncelli, il fagotto raggiunge note così basse da sfiorare l’“afonia” prima dell’ultima esplosione del tema nel primo movimento. Il secondo movimento anticipa certi toni de La valse di Ravel per l’andamento sbilenco, il terzo è uno scherzo furioso che al termine suscita spesso l’applauso fuori tempo – ma ieri sera l’accorto pubblico dell’Auditorium non ci è cascato… L’ultimo movimento ritorna alle atmosfere dell’inizio, con un senso di rassegnazione ancora più intenso, però. La pagina sul leggio dei violini secondi – che il Maestro Luisi ha voluto schierare sulla destra tenendo davanti a sé viole e violoncelli – ha righi con note che diventano sempre più rarefatte, fino a scomparire nel nero della copertina dello spartito. Ed è il silenzio, un silenzio di lunghi, interminabili secondi prima che qualcuno nel pubblico prenda il coraggio di battere le mani.

Non ci poteva essere momento più carico di emozioni di quello vissuto ieri sera.

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