Johannes-Passion

Johann Sebastian Bach, Johannes-Passion

★★★★☆

Parigi, Théâtre du Châtelet, 11 maggio 2021

(video streaming)

Terra e sangue per il Vangelo di Bieito

Creato al Teatro Arriaga di Bilbao nel 2018, arriva ora a Parigi allo Châtelet, che l’ha coprodotto, lo spettacolo di Calixto Bieito sull’Oratorio Johannes-Passion (La Passione secondo Giovanni, BWV 245), composto da Johann Sebastian Bach e presentato nella chiesa di San Nicola il Venerdì Santo del 1724, il suo primo anno quale Kapellmeister a Lipsia.

Le due parti, che precedono e seguono la predica, si basano su un libretto anonimo tratto nella quasi interezza dai capitoli 18 e 10 del Vangelo di Giovanni per quanto riguarda i recitativi, mentre i testi delle arie sono più liberamente ispirati, come avveniva nelle analoghe coeve composizioni sullo stesso tema. Il lavoro è stato rivisto da Bach nel 1725, 1732 e 1739-49 (questa la versione più eseguita oggi) con l’aggiunta di nuovi numeri e l’espunzione di altri. Rispetto alla Matthäus-Passion (La Passione secondo Giovanni,BWV 244) di tre anni dopo, La Passione secondo Giovanni è considerata maggiormente fuori dalle consuetudini e con un’immediatezza espressiva più forte e meno rifinita.

Ripreso da Lucía Astigarraga, lo spettacolo si svolge nel teatro Châtelet vuoto per l’emergenza sanitaria da Covid-19. I coristi si alzano dai loro posti in platea e salgono sul palcoscenico dove è già schierata l’orchestra. L’“azione” avverrà soprattutto al proscenio.

La scelta di Bieito di avere una formazione amatoriale è dettata da un’esigenza di autenticità e naturalezza nell’espressione che non si coniuga del tutto con la perfezione della prestazione vocale. È chiaro, qui conta l’immediatezza della presenza del coro/folla, con le sue imperfezioni di attacco, le intonazioni perfettibili, i gesti talora goffi. Siamo noi, gente comune, partecipi di questa vicenda che Bieito rende disturbante universalizzando al di là della sua cristianità questa «liturgia secolare, pagana, e spirituale. […] I testi biblici sono abbastanza aperti da poter essere interpretati in modo non letterale. Riflettono i nostri desideri, le frustrazioni, le fantasie e, soprattutto, esprimono il nostro profondo bisogno di credere, sia nel senso più semplice sia in quello più complesso del termine. […] La musica di Bach offre una grande opportunità per lottare contra il peso delle nostre esistenze e l’opacità di un sistema opprimente. Con Bach riscopriamo la fragilità, la bellezza e la crudeltà dei nostri tempi». Ecco allora che Bieito trasforma il Vangelo di Giovanni in «una favola su Gesù, un’allegoria, una metafora delle nostre vite». La scenografia di Aida Leonor Guardia ricrea un auditorium e i costumi di tutti i giorni (il direttore è in parka!) rendono quanto mai contemporanea la vicenda. In scena l’unica donna, il Soprano, è all’inizio oggetto di tutte le possibili sopraffazioni prima di diventare la Madonna/ Maddalena. Il sangue, la terra e i sassi che vengono deposti sul cadavere del Cristo sono gli unici elementi presenti in scena. Sempre presenti sono invece le interrelazioni molto fisiche tra i personaggi in questo canto di consolazione, amore per il prossimo e speranza di redenzione.

Se a Bilbao era il bruno e barbuto James Newby, qui Gesù ha i capelli biondi e gli occhi cerulei di Benjamin Appl, baritono allievo di Dietrich Fieschr-Dieskau di cui ricorda non tanto il timbro quanto la cura del fraseggio e dell’espressione. La sua singolare presenza rimarrà a lungo nella memoria. Joshua Ellicott fu l’Evangelista anche a Bilbao e la sua performance raggiunge qui l’assoluta perfezione: da quando appare nella balconata a quando scende sul palcoscenico per narrare più da vicino la vicenda, diventa totalmente personaggio. Il Basso Andreas Wolf, vocalmente autorevole, è un Pilato particolarmente combattuto con la sua coscienza mentre Robert Murray delinea un Tenore poco preciso e più attento alla presenza fisica che vocale. Il contraltista Carlos Mena si fa perdonare un inizio spento con l’intensità del suo «Es ist vollbracht!» accompagnato dal violoncello obbligato e le agilità della seconda parte. Eccellente attrice ma esilissima voce quella di Lenneke Ruiten che riesce nondimeno a delineare la fragilità e lo stupefatto dolore messo in scena dalla musica di Bach.

Il tempo metronomico segnato da Philippe Pierlot risente probabilmente della presenza di un coro amatoriale, Le chœur de Paris, che si dimostra molto volenteroso, mentre agli strumentisti di Les Talens Lyriques sembra che venga a mancare un gesto direttoriale più deciso. Solo l’inizio, «Herr, unser Hersscher», e il finale, «Ruht wohl, ihr heiligen Gebeine» riescono a suscitare qualche brivido emotivo. Per il resto si ha una sequenza piuttosto piatta di numeri musicali.

Un plauso va a tutti, coristi e solisti, per aver cantato a memoria, senza l’aiuto dello spartito davanti come è possibile fare  nelle esecuzione delle Passioni di Bach in forma concertante.

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