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Pablo Luna, Benamor
Madrid, Teatro de la Zarzuela, 22 aprile 2021
(video streaming)
Personaggi in cerca del loro genere
L’ambientazione esotica fa sì che questa non possa essere considerata una zarzuela in cui il tono castizo è un elemento necessario. Questo “capricho exótico” di Pablo Luna (musica), Antonio Paso Cano e Ricardo González del Toro (libretto) è una vera operetta, in tre atti, la cui azione è ambientata nel XVI secolo nella città di Isfahan, l’antica capitale della Persia. La vicenda prende spunto da un barbaro costume dell’epoca secondo il quale il primogenito del sultano doveva essere maschio e il secondogenito una femmina, pena la morte. La moglie gli dà due figli, ma nell’ordine sbagliato: di necessità vengono cresciuti nel genere opposto con le prevedibili e imprevedibili conseguenze.
Atto I. Cortile interno del palazzo reale del Sultano. L’eunuco Alifafe e i giannizzeri stanno alle porte dell’harem lodando la bellezza delle odalische mentre queste ultime si lamentano che il sultano non presti loro molta attenzione. Appare il gran visir Abedul dopo aver appena passato la notte con una ragazza (diventa sempre sordo quando lo fa). Alifafe finge di chiedergli un aumento per i suoi servizi ma il visir non lo sente. Arriva Pantea, la Sultana, che è preoccupata perché suo figlio Dario, il Sultano, ha deciso di far sposare presto sua sorella e vuole confessare un grande segreto al visir. Lei gli racconta che secondo la legge persiana, se il primogenito è una femmina, deve essere ucciso e se il secondo è un maschio, anche lui deve essere ucciso, ma quando ha partorito per la prima volta, ha avuto una femmina; per salvarla, l’ha nascosta a tutti e l’ha cresciuta facendole credere che fosse un maschio, Dario appunto. Il suo secondo figlio era un maschio e ha fatto la stessa cosa e ora è la principessa Benamor, che suo “fratello” vuole sposare. Il visir non può sentirla, ma lei pensa che l’abbia fatto e se ne va soddisfatta di averglielo detto pensando di poter contare sul suo aiuto. Dario, il Sultano appare e va a ricevere i tre pretendenti di sua “sorella”: Giacinto, un giovane gracile, Rajah-Tabla, un guerriero feroce, e infine Juan De Leon, un cavaliere spagnolo che finge di essere qualcun altro ma non riesce a ingannare il Sultano. Per qualche motivo il Sultano è molto affezionato al cavaliere Juan De Leon. Quando i pretendenti, la corte e il Sultano se ne sono andati, Benamor appare con gesti molto rudi e viene fermata dai membri della guardia che vogliono fuggire. Pantea, sua madre, la rimprovera e minaccia di rinchiuderla nel castello di Mudarra. Dario arriva e dice a sua sorella che ha deciso di farla sposare e lei non sembra opporsi troppo, pensando che questo la renderà più libera, ma quando le viene detto che deve scegliere tra uno dei tre pretendenti, decide di fuggire e così fa. Termina l’atto ordinando al Sultano di cercare sua sorella
Atto II. Nel mercato di Isfahan ci sono il visir, i giannizzeri e Alifafe, che cercano la principessa scomparsa. Un mercante, Babilón, propone al visir di comprare una bella ragazza di nome Nitetis, ma lui non accetta perché è sopraffatto dai problemi che deve affrontare e vuole essere in possesso di tutte le facoltà. Appare Pantea, che cerca anche lei sua figlia-figlio e si rende conto che il visirnon l’ha capita quando gli ha raccontato il problema. Vanno con lui nella tenda e decidono di ascoltare la conversazione di sua madre con il visir, dalla quale apprendono che i loro sessi sono stati scambiati. Benamor, più impaziente, vuole agire immediatamente, ma Dario crede che il visir troverà una soluzione. Nel frattempo il visir cerca di consultare Zaratrusta per avere un’illuminazione. Anche i due pretendenti arrivano al mercato e incontrano i principi e fanno delle avances alla principessa Benamor, ma lei li rifiuta. Appare anche il cavaliere spagnolo che vuole comprare la ragazza Nitetis ma non ha soldi. Quando scopre Dario gliela chiede e Dario, preso dalla gelosia, decide di comprarla per il suo harem. Gli altri due pretendenti rifiutati sono giunti alla conclusione che Benamor deve essere innamorato del cavaliere spagnolo e siccome entrambi hanno bisogno di sposarla perché è ricca e sarà in grado di tirarli fuori dalle difficoltà finanziarie che entrambi stanno attraversando, escogitano un piano per sfidarlo e toglierlo di mezzo.
Atto III. Al palazzo del sultano, Babilón è venuto a vedere se riscuoterà il compenso per la nuova odalisca che ha fornito per l’harem. Benamor, ora che sa di essere un uomo, si gode l’harem senza che le odalische se ne accorgano. Il visir è preoccupato perché Zaratrusta non gli propone nessuna soluzione e non sa come affrontare il problema. Parla con Juan de Diego e decide di raccontargliquello che sta succedendo, includendo nella storia che Darío è follemente innamorato di lui. Anche Benamor si confessa con Nitetis e le dichiara il suo amore, promettendole che sarà la sua favorita quando sarà sultano. Il cavaliere spagnolo propone che entrambi i principi vadano in Europa a studiare per tre anni in modo che il popolo non scopra il cambiamento e al loro ritorno nessuno li riconoscerà. Benamor paga gli altri due pretendenti e li convince a partire e a rinunciare alle loro pretese. Alla fine tutti cantano felici all’amore.
La lepida vicenda è molto simile a quella dell’opéra-bouffe di Jacques Offenbach L’île de Tulipatan (1868) in cui Alexis, figlio ed erede del re Cacatois XXII di questa lontana isola («distante 24 mila miglia da Nanterre»), si rivela essere in realtà una ragazza che il dignitario Romboïdal ha fatto allevare come un ragazzo per ragioni dinastiche. Hermosa, la figlia di Romboïdal, invece, è un ragazzo che sua madre, Théodorine, ha fatto crescere come una ragazza per evitare il servizio militare. Le cose sfuggono di mano quando Alexis e Hermosa si innamorano l’uno dell’altra e quando Romboïdal dice a sua figlia che non può sposare Alexis perché il principe ereditario è una ragazza. Hermosa dice al suo sbalordito padre che non le importa, da cui nasce un duetto sulle gioie di un potenziale matrimonio omosessuale.
Presentata al Teatro de la Zarzuela il 12 maggio 1923 e appartenente a una “trilogia orientale” assieme a El asombro de Damasco (1916) e a El niño judío (1918), Benamor è la penultima operetta scritta da Pablo Luna (1879-1942), il suo lavoro più ambizioso e quello che lo ha reso più popolare, ma è sorprendente come solo pochi mesi prima del golpe militare reazionario di Primo de Rivera in Spagna si offrissero al pubblico questioni così aperte sugli stereotipi sessuali e sulle identità transgender. In quello stesso 1923 un altro operettista, Franz Lehár, metteva in scena l’oriente, nel suo caso la Cina de Il paese del sorriso mentre Oscar Straus si faceva beffe dell’antico Egitto nella sua irriverente Die Perlen der Cleopatra.
Luna è stato anche un prolifico autore di zarzuelas, riviste e musiche per film: i sottogeneri sono tutti abbondantemente rappresentati nella sua produzione che diventò frenetica negli anni ’20-’30. Il preludio, i 14 numeri musicali e il finale che formano Benamor vengono presentati per la prima volta nello stesso teatro dove avvenne il debutto 98 anni fa. La versione musicale è di Enrique Viana, che si occupa anche della regia, mentre l’Orquesta de la Comunidad de Madrid è diretta da José Miguel Pérez-Sierra. La scenografia è affidata a Daniel Bianco, il direttore del Teatro de la Zarzuela, che riprende quelle originali di gusto orientalista del ’23.
Enrique Viana, che sembra voler emulare Esperanza Iris, la grande stella della zarzuela e dell’operetta nel primo terzo del secolo scorso per la quale fu scritto il lavoro, riserva per sé tre personaggi: quello del visir (presente nel libretto) e quelli di una logorroica coppia di panettieri i cui interventi sarebbero molto più apprezzati se fossero più concisi. Viana allestisce uno spettacolo grandioso che non bada a spese per le scenografie, i ricchi costumi di Gabriela Salaverri, le attente luci di Albert Faura e le coreografie di Nuria Castejón, che esaltano la varietà di toni e colori di questa operetta. La regia calca un po’ la mano sulle caratterizzazioni e il ritmo ne risente, ma i cantanti si dimostrano nel complesso efficaci attori. Vocalmente sono i ruoli minori i più riusciti, Damián del Castillo nella parte dell’avventuriero spagnolo Juan de Leon ha una voce solida ma risolve tutto forte e senza sfumature, così è anche per Vanessa Goikoetxea, testosteronica/o Benamor dall’emissione generosa ma poco controllata. Più belcantista il mezzosoprano Carol García (Darío) la cui vena lirica trova sfogo nel duetto d’amore del terzo atto. La direzione di José Miguel Pérez-Sierra si adegua alle esigenze di sfoltimento imposte dalla pandemia e il risultato è talora meno trascinante di quello che si vorrebbe. Così pure per il coro, decimato nei ranghi.
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