Marco Tutino, Falcone e Borsellino
Torino, Teatro Regio, 27 maggio 2022
Trent’anni dopo. Che ne è della memoria di quei giorni?
Con il sottotitolo “L’eredità dei giusti”, il lavoro che il Teatro Regio presenta per ricordare gli assassinii di Giovanni Falcone (23 maggio 1992) e Paolo Borsellino (19 luglio 1992) è un “racconto in musica”, un melologo per voci recitanti, soprano, coro e orchestra.
La musica porta la firma di Marco Tutino, compositore e direttore artistico del teatro torinese dal 2002 al 2006, la drammaturgia e la messa in scena quella di Emanuela Giordano, attrice e regista impegnata in progetti che hanno coinvolto scuole, università, carceri minorili e società civile, come “Il palcoscenico della legalità” a cui hanno collaborato anche magistrati, giornalisti e famigliari delle vittime della mafia. Entrambi trentenni allora, Tutino e Giordano si sono impegnati in un lavoro che non vuole essere retoricamente commemorativo o celebrativo, ma porre domande alla nostra contemporaneità.
Coprodotto da tre città – Torino (Teatro Regio, Mito Settembre Musica, Fondazione per la cultura), Milano (Piccolo Teatro-Teatro d’Europa, Mito) e Palermo (Teatro Massimo) – il lavoro è diviso in tre parti. La prima (“Le stragi”) rievoca le tragiche vicende di Capaci e di Via d’Amelio e le immediate reazioni che seguirono. L’ouverture è costituita da un numero strumentale in cui due parti distinte dell’orchestra si affrontano in modo drammatico: alle lunghe note tenute dagli archi si contrappongono gli ottoni che sfociano in una lugubre fanfara mentre sullo schermo dietro l’orchestra le immagini convulse che avevamo visto nei telegiornali dell’epoca qui si succedono con lente dissolvenze e cinque attori, arrivati dalla platea, restituiscono la memoria di quei giorni. Un’analoga contrapposizione, questa volta tra archi e percussioni, si ha nell’intervento solistico della seconda parte (“La reazione”) quando il soprano intona il testo di Vincenzo Consolo «Vita eterna, o Dio, non la morte». Qui Tutino utilizza il “Libera me” che concludeva il Requiem scritto assieme ad altri sei compositori – Lorenzo Ferrero (“Introito”), Carlo Galante (“Dies irae”), Paolo Arcà (“Offertorio”), Matteo D’Amico (“Sanctus”), Giovanni Sollima (“Agnus Dei”), Marco Betta (“Lux æterna”) – in memoria delle vittime, eseguito nella Cattedrale di Palermo il 27 marzo 1993 e mai più ripreso da allora!
Nella terza parte (“Il presente”) inizia il coro intonando il testo di Emanuela Giordano «Cosa resta di noi, | che cosa resta. | Uniti solo i morti, | divisi solo i vivi» in cui ci si domanda dell’eredità di quel «sangue dei giusti». È diventato seme? Non si direbbe, viste le polemiche che ancora oggi, a distanza di trent’anni, dividono l’opinione pubblica. La vecchia mafia è stata sì sconfitta, ma quella nuova si è trasformata, si è globalizzata, è ancora più potente e inafferrabile. Ma soprattutto, che ne è della cultura mafiosa, ben più difficile da sradicare? Il finale lascia un po’ di speranza: uniti forse ce la faremo, come dicono le bellissime parole in siciliano di Ignazio Buttitta: «Ascultami, | parru a tia stasira, | e mi pari di parrari o’ munnu. | Ti vogghiu diri | di non lassarimi sulu | ‘nta strada longa | chi non finisci mai | ed havi i jorna curti…».
Alessandro Cadario alla guida dell’orchestra del teatro dirige con grande partecipazione e nella sua concertazione la drammatica musica di Tutino acquista una dimensione particolarmente coinvolgente. Ottimo come sempre il coro, istruito dal maestro Andrea Secchi, impegnato in pagine importanti, e sontuosa la voce del soprano Maria Teresa Leva nella sua “romanza” della terza parte interpretata con accenti struggenti. Efficaci gli interventi dei bravissimi attori del Piccolo di Milano: Jonathan Lazzini, Anna Manella, Marco Mavaracchio, Francesca Osso e Simone Tudda.
Accoglienze calorosissime da parte del folto pubblico con punte di ingenuo entusiasmo dei tanti giovanissimi presenti per i quali l’assassinio di Falcone e Borsellino è distante quanto lo è per noi quello di Giacomo Matteotti…
⸪