foto © Monika Rittershaus
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Antonín Dvořák, Rusalka
Madrid, Teatro Real, 25 novembre 2020
(video streaming)
È a Madrid uno degli spettacoli più emozionanti di questi ultimi anni.
Un’opera inizia con tre ninfe che cantano e danzano e un basso che scherza con loro. No, non è Das Rheingold, ma un lavoro del 1901, molti anni dopo il Ring wagneriano, ma anch’esso tratto da una mitologia, quella slava, anche se qui i ruoli sono scambiati: il maschio è Vodník, lo spirito dell’acqua, mentre le ninfe dimorano nella foresta. È la storia di un’ondina, fanciulla triste che vuole fuggire dalle profondità del lago perché sogna di possedere un corpo umano: ama un mortale e per questo vuole diventare mortale anche lei. «Tu stesso mi hai portato questi echi misteriosi: i mortali avrebbero un’anima che noi non abbiamo, e questa anima li trasporta in cielo, nell’al-di-là, quando il loro essere muore e sparisce nel nulla!» (1) dice a Vodník. Come nel Ring il tema principale è l’amore, là maledetto, qui condannato alla maledizione di dare morte e rendere eternamente infelici.
La storia riprende liberamente il racconto romantico Undine (1811) di Friedrich de la Motte Fouqué e la fiaba Den Lille Havfrue (La sirenetta, 1837) di Hans Christian Andersen. Terza intonazione sull’argomento, dopo la Rusalka di Aleksandr Dargomyžskij (1856) e quella incompiuta di Henry Duparc (1895), questa di Antonín Dvořák, su libretto di Jaroslav Kvapil, fu scritta in tempi brevi da un compositore profondamente ispirato dall’argomento. Dopo le sue prime quattro sinfonie suggerite da ballate popolari, Rusalka rappresenta il punto culminante dei suoi lavori teatrali e quello di maggior successo anche oggi. Come in Wagner, anche qui vi sono incisi musicali ricorrenti, ad esempio quello di Vodník: «Běda! Běda!» (Sventura! Sventura!), che viene riproposto in diversi momenti. E innumerevoli sono i rimandi musicali alla Teatralogia.
Alla guida dell’orchestra del teatro Real il suo Direttore Musicale Ivor Bolton ricrea il ricco sinfonismo di Dvořák con i suoi colori e la idiomaticità dei temi, preservandone però la leggerezza e la trasparenza in ottimo equilibrio con le voci in scena. Come Rusalka Asmik Grigorian si conferma la cantante dei nostri giorni: timbro caldo ma voce che sale all’acuto agevolmente, grande proiezione, enorme personalità, presenza scenica magnetica. Intensa interprete, non solo della voce ma di tutto il corpo sa fare uno strumento di eccelsa espressività, unica e diversa da tutte/i le/gli altre/i. Non ci sono parole per definire questo miracolo scenico che regge i primissimi piani come una consumata attrice cinematografica. Nella lettura di Christof Loy è una ballerina infortunata: la danza è spesso citata nel libretto ed è l’attività principale delle spensierate Ninfe. Suo è il piede che non sa camminare sulla terra. Dalla maga Ježibaba ottiene lo status di mortale e conseguentemente l’uso della gamba, in cambio del mutismo però – in questa strana opera la protagonista principale è muta per buona parte dei tre atti – esibendosi in passi sulle punte in cui la Grigorian dimostra una insospettabile capacità. Nel primo atto la resa della famosissima aria alla Luna ha un’intensità e una fluidità vocale che richiamano altre grandi interpreti di ieri, prima fra tutte Lucia Popp, ma dal confronto delle due interpretazioni quella della Grigorian è connotata da un’inquietudine che manca alla performance della splendida e troppo presto scomparsa cantante slovacca: quella della Grigorian fa già presagire il tragico finale con toni di lancinante tristezza. Poi, quando riacquista la voce nel terzo atto il colore drammatico è ancora più intenso e nei duetti prima con la Ježibaba e poi col Principe l’intensità dell’interpretazione tocca punti di grandissima emozione, grazie anche alla presenza del tenore Eric Cutler che si dimostra qui il finissimo e sensibile cantante che conosciamo. Per una strana coincidenza finzione e realtà si mescolano in modo assurdo: se la Rusalka di Loy è una ballerina che riacquista la capacità di danzare e getta le stampelle non più necessarie, queste sono invece necessarie per Eric Cutler, che alla vigilia della prima si è leso il tendine di Achille e deve quindi cantare il ruolo del Principe reggendosi con le stampelle. Ma quella che era una sfortunata disgrazia qui aggiunge alla regia di Loy un’ulteriore pregnanza: l’idea che Rusalka superi la sua infermità trovando l’amore di qualcuno che è anche lui infermo rende la vicenda ancora più commovente e quasi sconvolgente nella sua intensità è il finale col Principe che invoca: «Líbej mne, líbej, mír mi přej!» (Baciami, dammi la pace). Fino a quel momento Cutler ha giocato con tinte e volumi sonori sempre mutevoli, anche qualche frase in falsettone è confluita con continuità nel discorso musicale.
Con la sua scenografia Johannes Leiacker abbandona il mondo fiabesco del lago e della foresta – e non è certo il primo: Pountney e Carsen sono due degli innumerevoli esempi – per ambientare la vicenda all’interno di una hall di un vecchio teatro, sontuosa ma un po’ decadente, in cui la natura reclama i suoi spazi con dei massi rocciosi che diventano sempre più invadenti tra i marmi e gli stucchi. Nel secondo atto i saloni della dimora principesca sono invece liberi per il balletto che rappresenta un incontro orgiastico di giovani che esaltano la sensualità negata alla gelida ninfa delle acque. Nella lettura di Loy è chiaro il conflitto tra artificiale e naturale, tra l’innocenza del mondo di Rusalka e il sofisticato milieu del Principe e della Principessa, qui una teatralissima Karita Mattila la cui presenza scenica, fatta di consapevole sensualità e ironia allo stesso tempo, compensa mezzi vocali che incominciano a essere stanchi ma che lei gestisce con grande intelligenza. Altrettanto ironica è la Ježibaba, cassiera del teatro, a cui Katarina Dalayman presta la calda voce di mezzosoprano e la disinvolta attorialità. Maxim Kuzmin-Karavaev è un dolente Vodník, il baritono Sebastià Peris un commovente Lovec/Pierrot (costumi di Ursula Renzenbrink), Manel Esteve (Hajny) si rivela un interessante cantante per la qualità dell’interpretazione e il particolare timbro vocale. Julietta Aleksanyan, Rachel Kelly e Alyona Abramova sono le tre ninfe vocalmente pregevoli e anche loro impegnate in passi di danza sulle punte.
Messo in scena nel pieno della crisi pandemica ma con il pubblico presente, lo spettacolo ha avuto la fortuna di essere registrato ed è ora disponibile su medici.tv. Ottima la regia televisiva di Xavi Bové che rende al meglio con primissimi piani e dettagli la grande espressività della protagonista principale.
(1) Ecco come suona nella lingua originale: «Sám vyprávěl’s ty zvěsti neznámé, | že mají duši, které nemáme, | a duše lidí, že jde nebi vstříc, | když člověk zhyne a když znikne v nic!»!

⸪