Cicerone

Il sogno di Scipione

Wolfgang Amadeus Mozart, Il sogno di Scipione

★★★★☆

Venice, Teatro Malibran, 14 February 2019

2000px-Flag_of_Italy.svg Qui la versione in italiano

Young Mozart returns to Venice, 250 years later

At the Ponte dei Barcaroli, near San Marco, one can find a plaque from 1971 that recalls the stay in Venice of the 15-year-old Mozart, two hundred years earlier. The Mozarts had arrived there for the 1771 Carnival and were guests of the Wider family who had six daughters, whom the young Mozart called his “pearls” and on which he made clear erotic allusions in his letters.

A few months later Mozart was returning to Salzburg before setting off again for Italy where he began the composition of Il sogno di Scipione (Scipio’s Dream), a “theatrical feast” in one act …

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Il sogno di Scipione

Wolfgang Amadeus Mozart, Il sogno di Scipione

★★★★☆

Venezia, Teatro Malibran, 14 febbraio 2019

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Il giovane Mozart torna a Venezia, quasi 250 anni dopo

Vicino al Ponte dei Barcaroli, nel sestiere di San Marco, al numero 1830, troviamo una lapide del 1971 che ricorda il soggiorno di Mozart quindicenne a Venezia duecento anni prima. I Mozart vi erano infatti giunti per il carnevale del 1771 e furono ospiti della famiglia Wider che aveva ben sei figlie, che il giovane Mozart chiamava le “perle” e sulle quali nelle sue lettere fece chiare allusioni erotiche. Pochi mesi dopo Mozart, tornava a Salisburgo per poi di ripartire di nuovo per l’Italia dove iniziava la composizione di Il sonno di Scipione, una “festa teatrale” in un atto destinata a celebrare il cinquantesimo anniversario della consacrazione del principe-arcivescovo di Salisburgo Sigismund von Schrattenbach. Ma a dicembre questi moriva e non si sa se il nuovo arrivato, Hieronymus von Colloredo verso cui fu dirottato l’encomio, apprezzasse l’opera dell’irrequieto giovane musicista – comunque a Mozart fu concesso un altro viaggio in Italia, il terzo.

Il sonno di Scipione è un lavoro di circostanza, su libretto di Pietro Metastasio tratto dal Somnium Scipionis di Cicerone (De re publica, libro VI). Il richiamo alla storia romana è il metaforico omaggio dovuto al nuovo principe.

Luogo: Nord Africa, durante il regno di Massinissa, re della Numidia orientale. Tempo: 200 a.C. Fortuna e Costanza si avvicinano al dormiente Scipione e si offrono di accompagnarlo nella vita. Tuttavia, prima deve scegliere tra Fortuna, la fornitrice delle cose buone del mondo, e l’affidabile e fidata Costanza. Scipione chiede tempo per pensare. Né nel suo cuore né nella sua mente può accettare ciò che è successo, né può scegliere. Fortuna e Costanza gli permettono di fare domande: vuole sapere dove si trova. Si è addormentato nel regno di Massinissa, ma ora non ha idea di dove si trovi. Fortuna gli dice che si trova nel Tempio del Cielo. Le magnifiche luci sono le stelle sullo sfondo blu dell’universo. Può sentire la musica dell’armonia delle sfere. Scipione chiede chi crea questa armonia. Costanza risponde che il potere che c’è dietro muove le sfere come le corde di una cetra, finemente accordate a mano e ad orecchio. Scipione risponde chiedendo perché questo suono è inudibile per i mortali sulla terra. Costanza spiega che ciò è dovuto all’inadeguatezza dei loro sensi; guardando il sole, vedono solo il bagliore, mentre sentendo una cascata, non sanno nulla della sua potenza distruttiva. Scipione chiede allora chi abita in questo mondo eterno. Fortuna indica un corteo che si avvicina – eroi, i suoi antenati, i più grandi figli di Roma. Scipione vede il morto Publio e chiede se gli eroi morti vivono qui. Publio gli assicura che la luce dell’immortalità resuscita il corpo, liberandolo dal peso della mortalità. Chi ha pensato, sentito e dedicato se stesso agli altri vivrà per sempre; chi ha vissuto solo per se stesso non merita l’immortalità. Scipione va a cercare suo padre. È felice di trovarlo, ma è sorpreso quando appare che questa gioia non è reciproca. Suo padre Emilio gli dice che la gioia in cielo è completa, perché non è accompagnata dalla sofferenza; gli indica la Terra, piccola e misera e coperta di nuvole, dimora di pazzi sviati, indifferenti al dolore altrui. Scipione, allibito alla vista della Terra, implora il padre di poter rimanere nella terra eterna. Tuttavia, gli viene detto da Publio che ha una grande missione da completare sulla Terra – distruggere un nemico, dopo aver fatto la sua scelta tra Costanza e Fortuna. Scipione chiede a Fortuna che tipo di aiuto può offrirgli per completare il suo compito. Lei gli parla del suo potere di distruggere e creare, di corrompere l’innocenza e di potenziare il male. Chi può resisterle? Costanza dice che solo lei può conferire il potere della lealtà. Fortuna non può andare oltre i limiti dettati da Costanza. La virtù può essere sconfitta solo occasionalmente dalla violenza, mentre le azioni malvagie, a differenza di quelle buone, sono transitorie. Fortuna può gestire rari colpi, ma non può privare gli eroi della speranza e della fede. Così Scipione sceglie Costanza, sfidando impavido l’ira di Fortuna, perché il regno eterno è più caro al suo cuore. Fortuna, furiosa, chiama le piaghe come vendetta su Scipione. Egli però mantiene il suo coraggio attraverso una brutta tempesta. Si risveglia nel regno di Massinissa, sentendo la presenza di Costanza accanto a lui. La morale del suo sogno era un inno di lode alle virtù eterne offerte dal cielo, un modello per tutti coloro che credono in Dio. Nella scena finale Licenza elogia la scelta di Scipione e spiega che il vero protagonista della commedia non è Scipione, ma il dedicatario – il principe-arcivescovo Hieronymus von Colloredo.

La sinfonia d’apertura in due tempi con l’aggiunta di un finale diventerà una pagina a sé stante come Sinfonia K161 in Re maggiore. Il gusto italiano del compositore si evidenzia nelle dieci arie puramente solistiche che compongono il lavoro assieme a due cori. Il modello è quello dell’opera seria italiana: lunghe arie con da capo, qui raccorciato, floride cadenze, brevi recitativi. Tre soprani e tre tenori esprimono un catalogo di “affetti” in pezzi ricchi di fioriture ed effetti virtuosistici che sono già Mozart al 100% malgrado la giovane età del compositore.

La totale adrammaticità della storia porta a una rappresentazione astratta e statica che mette a dura prova chi volesse metterla in scena, e infatti in tempi moderni se ne conta una sola, a Vicenza nel 1984. Ora sulle tavole del Teatro Malibran – ai tempi di Mozart Teatro San Giovanni – si cimenta la regista Elena Barbalich tutor del gruppo della scuola di scenografia e costume dell’Accademia di Belle Arti di Venezia.

Il bellissimo sipario dipinto si alza lentamente su una scena spoglia ma ricca di particolari preziosi: lo sfondo del letto di Scipione è un cerchio dorato che poi rappresenterà il sole, strisce di plastica trasparente danno un tono onirico mentre i giovani studenti realizzatori dello spettacolo fungono da figuranti elegantemente vestiti. Il coro rimane in buca. Le dee inizialmente vestono costumi classici, abiti lunghi, ali, poi diventano vere donne mentre il protagonista passa dalla contemplazione dell’armonia delle sfere alla consapevolezza della precarietà della vita. Si atteggia a condottiero per ascendere al potere, viene prima innalzato dalla folla e alla fine dalla stessa distrutto. La parabola del potere si è compiuta ancora una volta ci dice la regista che ha trovato questa chiave per fornire una drammaturgia al lavoro.

Con la sapiente e vivace direzione musicale di Federico Maria Sardelli, un esperto di questo repertorio, sei giovani cantanti riportano in vita le dieci gemme del Sogno di Scipione. Tre tenori dal timbro diverso interpretano gli Scipioni della storia: nelle sue tre arie Giuseppe Valentino Buzza dimostra la generosità dei mezzi vocali nel delineare il carattere dello Scipione del titolo; Emanuele D’Aguanno, Publio, gli tiene testa con le sue due arie irte di difficoltà mentre Luca Cervoni, Emilio, anche se con un’unica aria riesce a farsi ammirare per il bel timbro e il gusto dell’espressione. Bernarda Bobro è Fortuna, che usa i suoi vocalizzi seducenti per guadagnare a sé l’uomo mentre quelli della Costanza di Francesca Boncompagni si caricano di minaccia nella sua unica aria introdotta da un lungo recitativo e in cui i marosi dell’orchestra sembrano abbattersi contro lo scoglio che, come sarà per Fiordiligi, resiste ai venti e alle tempeste. Ed è alla sua interpretazione che vanno gli applausi maggiori del pubblico che ha premiato con calore l’eccellente lavoro degli studenti e degli interpreti musicali.