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Antonio Vivaldi, Ottone in villa
★★★☆☆
Copenhagen, Teater Republique, 30 luglio 2014
(video streaming)
Vivaldi al circo
Nella nuova sala dal palcoscenico circolare del Teater Republique, teatro destinato a un repertorio d’avanguardia, il Concerto Copenhagen diretto da Lars Ulrik Mortensen presenta la prima opera di Vivaldi, quell’Ottone in Villa (RV 729) dramma in tre atti su libretto di Domenico Lalli (tratto dalla Messalina del Piccioli intonata dal Pallavicino nel 1680) rappresentato il 17 maggio 1713 nel piccolo teatro vicentino delle Garzerie. Rispetto alla Messalina il testo è ampiamente ridotto, i personaggi passano da otto a cinque, i numeri musicali da 65 a 28. È un lavoro in scala ridotta, senza coro, senza elaborati effetti scenici e con una piccola orchestra – 2 flauti, 2 oboi, 2 cembali, tiorba e archi.
Come era consuetudine al tempo, alcuni pezzi musicali furono riutilizzati da Vivaldi in altre composizioni: ad esempio, la musica dell’aria di Caio del primo atto «Chi seguir vuol la costanza» ritornerà nell’Orlando furioso (Venezia 1714), nel Tito Manlio (Mantova 1719), in alcune versioni del Laudate pueri Dominum (RV 602, 602a, 603) e nel concerto per violino RV 268. Per non dire del finale che sarà ripreso tre anni dopo nella Juditha triumphans.
Vivaldi scrisse quest’opera quando aveva trentacinque anni, era già un celebre compositore di musica strumentale (il suo Estro armonico op. 3 è di due anni prima) e poteva ormai contare su una lunga attività di violinista presso i teatri d’opera di Venezia. Tutto questo gli permise più agevolmente di debuttare in questo nuovo genere musicale, ma decise prudentemente di dare il suo primo spettacolo teatrale in provincia, a Vicenza appunto, lontano dall’ambiente musicale veneziano, in modo che un imprevisto insuccesso non potesse compromettere la sua carriera d’operista.
Atto I. L’opera si svolge nella villa di campagna dell’imperatore romano Ottone (1). Questi è follemente innamorato della bella Cleonilla la quale confessa che, sebbene amata dall’imperatore, trova impossibile resistere al fascino di qualche attraente giovanotto. Uno dei suoi vecchi amori era Caio Silio, ma egli è stato recentemente rimpiazzato nei suoi favori dal suo nuovo paggio Ostilio. Cleonilla proclama a Caio di amarlo ancora, anche se a parte rivela che adesso trova Ostilio ancora più avvenente! Ottone arriva, anticipando il piacere di dimenticare onerosi affari di Stato in questo leggiadro ambiente, ma Cleonilla lo provoca affermando che egli non può amarla veramente poiché passa così poco tempo con lei. Ottone chiede a Caio di aiutarlo a curarla della sua gelosia e Caio si stupisce della credulità dell’imperatore. A questo punto entra Tullia. Un tempo fidanzata di Caio lo ha seguito in spoglie maschili e altro non è che Ostilio. Ostilio chiede a Caio se ricorda ancora di aver tradito la sfortunata Tullia. Caio, pur notando che il paggio somiglia straordinariamente a Tullia, non indovina la verità; egli dichiara che il suo nuovo amore per Cleonilla ha scacciato Tullia dai suoi pensieri, mettendo in dubbio i meriti della costanza, giacché l’amore diviene un peso senza varietà. Ostilio medita di vendicarsi. La scena si sposta alle terme dove Cleonilla è appena emersa dal bagno. Sta ancora stuzzicando Ottone ma vengono interrotti da Decio, fedele consigliere di Ottone, il quale dice all’imperatore che Roma lamenta la sua assenza. Ottone non se ne cura ma dopo che egli è uscito Cleonilla interroga Decio per sapere cosa si dice di lei a Roma. Decio non vede di buon occhio la sua impudicizia e le dice che essa si illude se crede che l’amore di un re possa supplire alla mancanza dell’onore vero. Partito Decio, arriva Ostilio e Cleonilla dichiara il suo amore per lui. Ostilio s’impossessa di questa dichiarazione per vendicarsi di Caio, incoraggiando Cleonilla a giurare la sua fedeltà amorosa a lui e la sua avversione per Caio. Quest’ultimo, che ha ascoltato di nascosto, è inorridito e risolve di rivelare all’imperatore la slealtà di Ostilio.
Atto II. In un ridente giardinetto, Decio avverte Ottone che Cleonilla sarà la sua rovina giacché Roma disapprova i suoi numerosi e ben noti amori. Ottone cade dalle nuvole e paragona il suo turbolento stato d’animo alle onde violente di un mare in tempesta. Decio rivela che si è deliberatamente trattenuto dal dire all’imperatore che Caio è il suo rivale ma non vuole spiegare a Caio cos’è che ha tanto sconvolto Ottone. Caio, apparentemente lasciato solo, riflette sulla sua infelicità ma viene ascoltato di nascosto da Tullia che gli risponde a guisa d’eco. L’eco, affermando di essere la voce di uno spirito infelice, tormenta Caio. A questo punto Ostilio si scopre e canta del conflitto nel suo cuore fra i «due tiranni», indignazione e amore. La scena si sposta in un padiglione rustico dove Cleonilla si sta ammirando allo specchio. Entra Caio, ma le sue dichiarazioni d’amore vengono respinte con noncuranza. Caio le dà una lettera che proclama i suoi sentimenti, ma mentre Cleonilla sta per leggerla arriva Ottone e gliela strappa di mano. Ottone legge che Caio è suo rivale, ma Cleonilla gli dice che Caio le ha semplicemente consegnato la lettera da passare alla persona a cui è effettivamente indirizzata, Tullia, che lo ha tradito. Il credulo Ottone le presta fede ed ella rinforza l’inganno scrivendo una seconda lettera – il suo personale appello a Tullia – che chiede a Ottone di consegnare. Giunge Decio con ulteriori notizie di congiure a Roma, ma Ottone tuttora si rifiuta di ascoltare una parola contro Cleonilla e fa chiamare Caio. Rimprovera il fedifrago Caio che dapprima crede di essere stato scoperto, ma poi si accorge, con suo gran sollievo, che Ottone è in collera non perché ha scoperto la sua relazione con Cleonilla, ma semplicemente perché Caio ha sollecitato l’aiuto di Cleonilla invece di rivolgersi direttamente al suo imperatore. Rimasto solo Caio è colpito dalla furbizia di Cleonilla, mentre nella scena finale dell’atto il desolato Ostilio chiede ad Amore di porgerle aiuto.
Atto III. Su un sentiero ombroso e appartato Decio nuovamente cerca di persuadere Ottone del pericolo che lo aspetta a Roma, ma l’imperatore nella sua aria dichiara che nulla gli importa del trono o dell’impero pur di trovare felicità nell’amore. Decio profetizza l’imminente caduta di Ottone giacché l’amore in un regnante è segno di debolezza, ma viene interrotto dall’arrivo di Cleonilla e Caio. Ella continua a ignorare gli approcci di quest’ultimo, e quando appare Ostilio indirizza alternativamente parole d’amore a lui e di ripulsa a Caio. Caio pretende di seguire il suo consiglio e di allontanarsi, ma in realtà si cela. Cleonilla continua a dichiarare il suo amore per Ostilio che la incoraggia nella sua aria, allo stesso tempo rivelando a parte che Cleonilla sta facendo uno sbaglio. La vista dei due che si abbracciano manda in furia Caio che si precipita su Ostilio con un pugnale. Le grida di Cleonilla richiamano Ottone e Decio che al loro arrivo esigono da Caio una spiegazione. Egli descrive la scena cui ha appena assistito – Cleonilla e Ostilio che si baciano e abbracciano – e lo scandalizzato imperatore gli ordina di portare l’azione a compimento e di uccidere il traditore. Ostilio offre di giustificarsi e togliendosi il travestimento si rivela come la tradita Tullia. Nella sua vera veste Tullia adesso protesta l’innocenza di Cleonilla e accusa Caio di essere il vero traditore. Tutti restano meravigliati anche se Ottone si ricompone con straordinaria rapidità, esprimendo il suo desiderio di vedere Caio e Tullia sposi e chiedendo perdono a Cleonilla. L’opera termina con un concertato di giubilo generale.
Decio, che per tre atti ha vanamente tentato di avvertire Ottone delle varie tresche, è l’unico personaggio serio in questo dramma che, sulla scia dell’Incoronazione di Poppea, prevede che a trionfare non sia la virtù, ma il vizio.
«L’opera si apre con una Sinfonia in tre movimenti. Il primo e più esteso deve al Concerto grosso le contrastanti sezioni di piena orchestra con passaggi per un paio di oboi in terze e ulteriori sfoggi di virtuosismo per i due violini solisti. Il secondo movimento è in forma binaria, ogni metà essendo prima suonata dagli oboi accompagnati dai violini e poi da tutti gli archi con raddoppio degli oboi. La stessa prima sezione di otto battute è poi trasportata dal do minore al do maggiore per l’Allegro conclusivo (pure in forma binaria); queste battute, in effetti, ricordano un passaggio dell’oboe nel primo movimento, con ciò producendo un’inconsueta congiunzione tematica fra tutti e tre i movimenti. L’aria di Caio nell’atto primo, scena quinta, “Chi seguir vuol la costanza”, sembra sia stata fra le preferite da Vivaldi. Inizia con un canone fra violini e basso, in ovvio motteggio al testo nel suo significato letterale, che deve essere piaciuto al compositore che riadopera la musica in molte altre opere. […]. L’aria di Ottone nell’atto primo, scena settima, “Frema pur, si lagni Roma contiene molta scrittura in unisono per voce e archi, con note fortemente ripetute, figurazioni balzanti e fioriture di biscrome che descrivono la determinazione dell’imperatore. Poi questa scrittura è in contrasto con diversi brani di teneri Adagi in cui il suo pensiero si volge all’adorata Cleonilla. L’aria di Ottone, “Come l’onda”, all’inizio dell’atto secondo, presenta un tipico quadro musicale vivaldiano di tempesta di mare, mentre l’aria di Caio, “Gelosia tu già rendi l’alma mia”, descrive la violenza della sua gelosia in un pezzo di brillante virtuosismo con il quale termina il primo atto. Anche qui c’è una sezione più lenta, questa volta al centro dell’aria tripartita da capo, in cui impreviste armonie cromatiche ritraggono il dolore del suo amore respinto. Quest’idea di tempi contrastanti per conflitti emotivi è portata al suo estremo nell’aria di Tullia nell’atto secondo, “Due tiranni ho nel mio cor”, nella quale i due tiranni nel suo core, indignazione e amore, sono rispettivamente espressi da una musica vivace per tutti gli archi e gli oboi, e da passaggi più lenti e sospiranti per i soli archi superiori. Sebbene molte delle arie siano strumentate per i soli archi, l’atto secondo, scena terza contiene una tradizionale aria in eco, in cui Tullia, dal suo nascondiglio, ripete in eco le parole di Caio, le sue ripetizioni delle sillabe finali giocando con l’italiano per alterare il significato del testo, il tutto accompagnato da coppie trillanti di violini e flauti dolci in scena. L’atto terzo è inusitatamente breve, in quanto contiene solo cinque arie e un breve coro conclusivo per tutti i solisti. L’aria di Decio, “L’esser amante”, mostra l’influenza francese e con i suoi croccanti ritmi puntati anticipa svariate arie composte da Vivaldi in stile francese durante i primi anni della sua carriera d’operista. L’aria finale di Caio comprende un assolo di violino che raddoppia la linea vocale all’ottava superiore. Nel ritornello finale dell’aria l’orchestra ha l’ordine di fare una pausa, per permettere al violino solista (che a Vicenza fu probabilmente lo stesso Vivaldi) d’improvvisare una cadenza. Questa sarà stata certamente un pezzo elaborato, giacché abbiamo la descrizione di un tedesco che assistette all’opera veneziana nel 1715, il quale dichiarò di essere stato strabiliato alla vista di Vivaldi che eseguiva una “fantasia” posando le dita ad un capello dal ponticello cosicché c’era appena spazio per l’arco, suonando su tutt’e quattro le corde con fugati a rapidità incredibile». (Eric Cross)
Sonia Prina, che aveva inciso la parte nel 2010 col Giardino Armonico, ritorna in questo allestimento della regista Deda Christina Colonna che evidenzia, con costumi clowneschi, l’atmosfera circense suggerita dal luogo accentuando però leziosità e aspetti burleschi nella recitazione dei cantanti con effetti talora fastidiosi. Non si oppone il direttore Lars Ulrik Mortensen che partecipa al gioco scenico dal suo clavicembalo di fianco alla pista.
(1) Marco Salvio Otone Cesare Augusto fu imperatore per pochi mesi nel 69 d.C. «Indolente fin dall’adolescenza e turbolento in gioventù, caro a Nerone perché suo emulo in dissolutezze» secondo Tacito, la sua indifferenza per la politica esibita nel libretto mal si intona col desiderio di potere che lo portò ad assassinare Galba per prenderne il trono.
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