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Luca Francesconi, Quartett
Milano, Teatro alla Scala, 5 ottobre 2019
★★★★☆
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Cinismo libertino in musica
Nel 1782 Choderlos de Laclos con il suo romanzo epistolare Les liaisons dangereuses (Le relazioni pericolose) racconta il cinismo libertino della corrotta nobiltà francese a sette anni dalla presa della Bastiglia.
Due secoli dopo, il drammaturgo tedesco Heiner Müller riscrive il testo esasperando i toni di sfida verbale e facendolo diventare un crudele gioco di sesso e morte con due soli personaggi (il visconte di Valmont e la marchesa di Merteuil) che a un certo punto interpretano anche gli altri due personaggi nel romanzo (madame Tourvel e la giovane Volanges) – da qui il titolo della pièce, Quartett.
Nell’aprile 2011 a Luca Francesconi è stato commissionato di comporre un’opera sul testo di Müller con il medesimo titolo, andata poi in scena alla Scala in prima mondiale. Il libretto in inglese dello stesso compositore si sviluppa in un atto unico suddiviso in 12 scene e un finale preso da Die Hamletmaschine, sempre di Müller, in cui la protagonista distrugge la sua casa-prigione. L’autore qui esaspera la dimensione claustrofobica della vicenda tra la marchesa e il visconte in un dialogo serrato. Il loro confronto è del tutto razionalista, non esistono i sentimenti, neanche l’amore. «L’amore è il dominio dei domestici. Come potete considerarmi capace di un impulso così volgare» dice la marchesa, e più avanti il visconte: «Che la plebe si monti negli angoli. Il loro tempo è prezioso». Qui i rapporti umani sono giocati come in una partita a scacchi secondo una spietata strategia di guerra: il visconte di Valmont ha deciso di conquistare la castissima Madame de Tourvel e confida il suo progetto alla Marquise de Merteuil, sua ex amante e sfrenata libertina, che lo guida a distanza imponendogli di rispettare il codice libertino e consigliandogli innanzitutto di conquistare la timida Cécile de Volanges, appena uscita di convento e promessa a un uomo di cui la marchesa si vuole vendicare.
Scena 1. Mentre attende il Visconte di Valmont, la Marchesa di Merteuil riflette sul ritorno di fiamma che l’amante di un tempo ha di recente manifestato nei suoi confronti. Quanto a lei, dichiara freddezza ma rivela una profonda ambiguità di sentimenti.
Scena 2. Entra Valmont. Il Visconte e la Marchesa si provocano a vicenda con sarcasmo: Valmont dice alla Merteuil che !a crede di nuovo innamorata, la Merteuil chiede al Visconte quale donna egli desideri al momento. Alla notizia che l’oggetto dei desideri di Valmont è la signora di Tourvel, la Marchesa reagisce con stizza: istiga il Visconte alla gelosia, affermando che il suo nuovo amante è bello e, soprattutto, giovane.
Scena 3. La gioventù perduta di entrambi diviene argomento di reciproco scherno e provocazione. La Marchesa è irritata dal fatto che Valmont miri a sedurre la signora di Tourvel; preferirebbe che si interessasse piuttosto alla giovane Volanges, vergine e inesperta, che invece Valmont sembra considerare una troppo facile preda.
Scena 4. Valmont accetta di sedurre la giovane Volanges e chiede alla Marchesa quando avrà occasione di avvicinarla. Anziché esserne soddisfatta, la Merteuil replica attaccando ancora Valmont e affermando che, in generale, l’uomo non è per la donna che il veicolo inanimato del suo piacere. A questo punto, il Visconte si dichiara annoiato dalla brutalità della conversazione.
Scena 5. La Marchesa esprime il suo terrore per il decadimento dei corpi; poi dice a Valmont che potrà incontrare la giovane Volanges l’indomani, all’Opera.
Scena 6. Ha inizio ii gioco delle parti. La Marchesa parla come se fosse il Visconte, in un discorso di seduzione rivolto alla signora di Tourvel in cui Valmont si finge pentito del suo passato di libertino; il Visconte le risponde come se fosse la Tourvel, dubitando della sincerità di quei discorso.
Scena 7. Continua, ora più serrato, il dialogo della scena precedente: la signora di Tourvel (cioè Valmont) sospetta che i buoni propositi del Visconte (impersonato dalla Merteuil) non siano altro che finzione e inganno.
Scena 8. La scena di seduzione prosegue e giunge al culmine: il Visconte (cioè la Merteuil) sembra aver ormai vinto le resistenze della signora di Tourvel (impersonata da Valmont), dopo aver contrapposto l’amore casto ispiratogli appunto dalla signora di Tourvel a quello libidinoso verso cui è indotto dalla giovane Volanges.
Scena 9. II Visconte e la Marchesa, improvvisamente dubbiosi, interrompono il gioco delle parti e smettono per qualche istante di recitare.
Scena 10. Incomincia quindi un nuovo gioco delle parti: ora Valmont inizia la seduzione della giovane Volanges, impersonata dalla Marchesa. Anche questa scena di seduzione giunge al culmine, quando la giovane appare ormai perduta.
Scena 11. Il Visconte, che annuncia la caduta della signora di Tourvel, e la Marchesa interrompono per la seconda volta il gioco delle parti e ritornano a confrontarsi direttamente in uno scontro sempre più duro, di distruzione di sé e dell’altro.
Scena 12. Il gioco delle parti è ormai in pezzi: in un’estrema finzione Valmont prende il ruolo della signora di Tourvei, decisa a darsi la morte per la vergogna di essersi concessa al Visconte. La Marchesa offre al Visconte un bicchiere di vino avvelenato: a questo punto cessano il gioco delle parti e la recitazione e Valmont muore sotto gli occhi della Marchesa.
Scena 13. La Marchesa fa sul palcoscenico quello che Ofelia dice in Hamletmaschine: «Faccio a pezzi gli strumenti del mio imprigionamento lo Scranno il Tavolo il Letto. Distruggo il campo di battaglia che fu la mia Dimora. Strappo le porte dai cardini perché il vento e il grido del Mondo possano entrare. Mando in frantumi la Finestra. Con le mani insanguinate strappo le fotografia degli uomini che ho amato e che mi hanno usata sul Letto sul Tavolo sulla Sedia sul Pavimento. Do fuoco alla mia prigione. Getto i miei vestiti nel fuoco. Scavo fuori dal petto l’orologio che era il mio cuore. Vado per strada, vestita del mio sangue».
Ora, dopo 76 rappresentazioni in 17 teatri con sette produzioni diverse, Quartett ritorna alla Scala nella versione originale di Àlex Ollé de La Fura dels Baus. Come nella pièce di Müller l’ambientazione non è definita: «un salotto prima della Rivoluzione francese, un bunker dopo la Terza guerra mondiale», dice il libretto. All’apertura del sipario vediamo Parigi a volo d’uccello. Poi la vista scende sui tetti e sulla facciata di un nobile palazzo, inquadra una finestra ed entriamo nella camera. Scopriremo trattarsi di un parallelepipedo magicamente sospeso nel vuoto da fili quasi invisibili. Nella scenografia di Alfons Flores è una scatola-prigione, una casa di bambola in cui i due personaggi si sbranano verbalmente. Nei loro cuori aridi non c’è spazio per i sentimenti, per qualcosa che non arrivi direttamente dall’autodifesa, essendo totalmente estranei a quello che avviene fuori nel mondo. Nei video di Franc Aleu un muro di sfalda e si ricompone per nascondere gli altri. Come nel romanzo di Laclos i nobili persi nel loro bavardage salottiero non sentivano le grida del popolo affamato. Il regista suggerisce che neanche noi sentiamo il tumulto del resto del mondo che reclama un posto nella storia.
Magistralmente calati nelle loro parti ci sono gli stessi interpreti della produzione di otto anni fa: Allison Cook, mezzosoprano che dà voce alla Marquise de Merteuil, e il baritono Robin Adams, il Vicomte de Valmont. Entrambi strepitosi, le loro voci toccano tutti i possibili registri, utilizzano tecniche diverse, dal canto appassionato al declamato alla coloratura, quella maschile arrampicandosi spesso su quella di falsetto come quando gorgheggia nel ruolo della marchesa. Gravoso e impegnativo il ruolo dei due cantanti che devono sostenere una recitazione volutamente e consapevolmente manierata («La brutalità della nostra conversazione mi annoia. Dovremmo far recitare le nostre parti a delle bestie») che va dal blasfemo all’osceno all’ironico, come quando i due personaggi si scambiano i rispettivi ruoli («Penso che potrei abituarmi a essere una donna») dice Valmont nella parte della marchesa, al che lei: «Io vorrei riuscirci».
Il giovane Maxime Pascal, un habitué della Scala e specialista di partiture contemporanee, gestisce con abilità i diversi piani sonori in cui si sviluppa l’opera: un primo livello interno cameristico che dà voce agli aspetti psicologici dei personaggi, un secondo livello intermedio di voci riprese e prolungate da voci registrate che interagiscono con quelle in scena e un terzo livello per grande orchestra e coro registrati che rappresentano il mondo esterno, una parte che era eseguita in diretta otto anni fa. La realizzazione della parte elettronica è affidata a Serge Lemouton dell’IRCAM di Parigi che mescola suoni registrati e reali in un gesto teatrale e spaziale di grande impatto.
Dopo un tale viaggio, impegnativo e catartico, il pubblico sembra ancora una volta soggiogato dal lavoro e risponde festeggiando gli artisti con insolito calore.




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