William Congreve

Semele

Georg Friedrich Händel, Semele

★★★★☆

Berlino, Komische Oper, 12 maggio 2018

(live streaming)

Troppo oratoriale per essere un’opera, troppo profana per essere un oratorio. Ma non per Kosky

Si temeva per la voce della protagonista che fino all’ultimo non era sicura di poter cantare per un virus che aveva preso di mira le sue corde vocali. Una sostituta era pronta nella buca dell’orchestra nel caso fosse successo qualcosa, invece non è stata necessaria per questa prima alla Komische Oper di Berlino dell’oratorio Semele di Händel, oramai comunemente messo in scena come le altre “vere” opere del sassone.

Il sipario si alza su un mucchio fumante, quello lasciata da Semele incenerita dai raggi del nume che la giovane, istigata dalla vendicativa Giunone, aveva insistito per vedere in tutto il suo letale splendore. E dal mucchio esce la sventurata fenice che in un flashback rivive la sua vicenda da quando intrappolata in una stanza da cui non può uscire è costretta a sposare il goffo Athamas, principe della Beozia. Le ceneri sono però anche quelle dei doni sacrificali grati alla dea cui si riferisce il sacerdote del tempio: «Behold! Auspicious flashes rise, | Juno accepts our sacrifice; | the grateful odour swifts ascendes | and see, the golden image bends». (Ecco! vampe propizie s’alzano, Giunone accetta il nostro sacrificio; il grato odore rapido si leva e guarda: la dorata immagine si china!).

Tra frequenti scoppi di tuono, in una ricca sala carbonizzata dal fuoco divino (bellissima la scena di Natacha Le Guen den Kerneizon in cui un ruolo importante ha il caminetto) la storia è vista dagli occhi della ragazza rapita dal nume e da lui amata ma la quale, in preda a un’ambizione smisurata (la brama di immortalità, prerogativa degli dèi), è portata alla distruzione.

Con i costumi di Carla Teti e il fantastico gioco di luci di Alessandro Carletti, Barrie Kosky riesce a muovere i personaggi con grande efficacia dal punto di vista teatrale e drammatico e con una fluidità scenica che lega i pezzi chiusi in un continuum drammaturgico. Numerosi sono gli effetti teatrali di cui è costellata la lettura di questo lavoro che nella sua astrattezza lascia molta libertà al metteur en scène. Ne è un esempio la scena di Somnus realizzata in maniera spudoratamente erotica.

Con alcuni tagli ai recitativi e un’aria di Semele in meno, la direzione musicale di Konrad Junghänel si dimostra vigorosa ma con un attento equilibrio delle dinamiche e delle preziosità strumentali. Buono il coro, guidato da David Cavelius, che ha nell’oratorio un ruolo determinante ed è pienamente integrato da Kosky nella drammaturgia.

Nessuna particolare eccellenza vocale nel cast, ma un grande gioco di squadra in cui ognuno dà il meglio con le qualità che si ritrova a possedere. E se le colorature non sono sempre eseguite a regola d’arte, i volumi sonori e i fiati non sono al massimo, tutto è compensato dalla presenza scenica e dall’impegno. Ecco l’elenco degli interpreti: Philipp Meierhöfer (Cadmus), Nicole Chevalier (la Semele indisposta che ha omesso il da capo di un «Myself I shall adore» non memorabile, ma che non si risparmia negli acuti), Katarina Bradić (Ino), Eric Jurenas (Athamas), Ezgi Kutlu (Juno), Nora Friedrichs (Iris) e Evan Hughes (Somnus). Il nome più conosciuto è quello di Allan Clayton dal bellissimo timbro, Jupiter efficace nella dolcezza seduttiva di «Where’er you walk» e di «Come to my arms» o nel drammatico recitativo accompagnato finale. In definitiva, una Semele soprattutto da vedere.

photo © Frank Wesner

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Semele

Georg Friedrich Händel, Semele

★★★☆☆

Karlsruhe, Badisches Staatstheater, 17 febbraio 2017

(video streaming)

Per Giove! Che scandalo!

Karlsruhe è una delle tre città tedesche che dedicano ogni anno un Festival a Händel, le altre sono Göttingen e Halle. Se quest’ultima è stata la città natale del grande sassone e la seconda è sede dell’università fondata dall’Elettore di Hannover (che divenne poi re Giorgio II d’Inghilterra, uno dei maggiori mecenati del compositore), il moderno polo industriale di Karlsruhe non ha particolari legami con il musicista, ma il suo Festival, il più giovane in quanto creato nel 1985, attira comunque folle di appassionati dalla Germania e dall’estero. È il primo della stagione degli Händel Festspiele ed è anche l’unico a offrire una moderna, capace sala inserita in un complesso che avrà in futuro un considerevole ampliamento. Nessun problema di perdersi uno di questi festival, essendo essi opportunamente scaglionati nel tempo da febbraio a giugno. Due le opere in programma quest’anno al Badisches Staatstheater: l’Arminio e l’oratorio “pagano” Semele.

Nella drammaturgia di Klaus Bertisch Giove è un Presidente che nel suo Studio Ovale riceve le visite della stagista Semele finché viene scoperto dalla moglie Giunone che scaccia la giovane e la fa sposare al mortale Athamas destando la gelosia della sorella Ino. Subito dopo la cerimonia Semele viene rapita da Giove in cielo e qui «endless pleasure, endless love | Semele enjoys above!». Una furiosa Giunone/First Lady guarda su uno schermo televisivo le immagini del tradimento del marito nel «sweet retreat» custodito da «two fierce dragons […] and as their scaly horrors rise, | they all at once disclose | a thousand fiery eyes | which never know repose», qui elicotteri equipaggiati di armi micidiali. Ben presto la gabbia dorata in cui è prigioniera Semele diventa troppo stretta e alla ragazza è condotta la sorella Ino perché le faccia compagnia. Nel terzo atto la caverna di Sonno è la postazione di un catalettico custode che non si accorge dell’irruzione di Giunone nella fortezza che racchiude Semele. La dea appare alla ragazza, visibilmente incinta, come la sorella Ino e la convince a chiedere a Giove un favore, che le costerà la vita: quello di mostrarsi a lei non come mortale, ma nella sua forma divina, «like himself, the mighty thunderer, | in pomp of majesty | and heav’nly attire». Ma non saranno i lampi del nume a ucciderla, bensì i flash impietosi dei fotografi. Nel finale la coppia Giove-Giunone si esibisce felicemente riunita per il pubblico, ma proprio tra quel pubblico una giovane fanciulla desta l’interesse del nume. La storia ricomincia.

La disinvolta regia di Floris Visser chiede molto agli interpreti in fatto di recitazione e presenza scenica e non è detto che certe imperfezioni vocali siano dovute proprio a questo impegno. Jennifer France è una Semele agile ma dal timbro piuttosto acido e una propensione agli acuti gridati. Giove di cui è difficile non invaghirsi è quello di Ed Lyon di magnifica presenza ma non impeccabile vocalità. Di buon livello gli altri interpreti e il coro qui messo a prova per i numerosi e non facili interventi. Direzione efficace quella di Christopher Moulds che riesce ad accompagnare i cantanti su una struttura scenica, di Gideon Davey, formata da una piattaforma rotante che delinea i diversi ambienti. Non certo un’idea originale, ma sempre funzionale.

Semele

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★★★★★

Chi troppo vuole…

“Oratorio profano” può essere definito questo lavoro della maturità di Händel (HWV58, 1744) e come oratorio è infatti considerato dai cataloghi, preceduto dal Messiah e dal Samson, rispettivamente con i nume­ri d’opus 56 e 57. Come per l’altro oratorio Theodora è ora invalsa l’abitudine di presentarlo in forma sce­nica. E la scena la regge benissimo questa pro­duzione dell’Opera di Zurigo del 2007 che si avvale del prestigio di interpreti come William Christie sul podio, Robert Carsen alla regia e Cecilia Bartoli protagonista.

La vicenda è quella del mito della figlia di Cadmio e Armonia, Semele appunto, che viene rapita e concupita da Gio­ve, ma non bastandole i favori del sommo, la ragazza aspira all’immortalità. Carsen nell’opuscolo allegato al disco parla della “sindrome di Semele” o come dice con la solita arguzia Oscar Wilde: «Quando gli dèi vogliono punirci, esaudiscono le nostre pre­ghiere». Vanità e ambizione sfrenata condannano la fanciulla e come monito all’umanità tutta, questo sì può essere considerato tema da Oratorio.

Il bellissimo libretto di William Congreve mescola dèi, semidèi e umani trasformando la vicenda mitologica in una social comedy e il regista ne fa una spiritosa vicenda gossip da Daily Mirror, con scappatelle regali e feroci gelosie. La scena è estremamente spoglia: sedie dorate e una pas­satoia rossa per la scena del rito del primo atto, un lettone per il nido d’a­more di Giove e Se­mele.

La parte del titolo sembra scritta apposta per la voce e la figura di Cecilia Bartoli. Come direbbe Figaro «… grassotta, genialotta, ca­pello nero…» e bassotta, potremmo aggiungere: la Giuno­ne di Birgit Remmert la sovrasta in altezza di un buon mezzo me­tro, ma in sce­na ciò è atto a evidenziare il dislivello sociale che separa le due fi­gure facendo sembrare an­cora più vana l’ambizio­ne della giovane.

Le arie che il compositore riserva alla sua protagonista sono tra le sue pagine più riuscite. La linea vocale di «With fond desi­ring» con quell’accompagnamento trasparente degli archi che qui il direttore William Christie con l’orchestra La Scintilla rende in modo mi­rabile e soprattut­to la famosa aria «Myself I shall adore», con tutti quei trilli, note ribattute, volatine, agilità, abbellimenti, cadenza con variazioni, ecc. sono pane per i denti della Bartoli che strappa al pubblico dell’opera di Zurigo un frago­roso applauso a scena aperta.

Non da meno è il fascinoso Gio­ve di Charles Workmann che rende con grande eleganza la sua meravigliosa aria «Whe­re’er you walk», mentre Birgit Rem­mert, Giunone come s’è detto, si rita­glia un ruolo spassoso come so­vrana gelosa e vendicatrice.

Ottima ripresa video, nessun extra.

  • Semele, Moulds/Visser, Karlsruhe, 17 febbraio 2017
  • Semele, Junghänel/Kosky, Berlino, 12 maggio 2018