Atys

Atys

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Una felice riproposta

Nel 1987, nel corso di una sua visita a Parigi, un ricco uomo d’affari americano si trova ad assistere a una rappresentazione di Atys di Lully all’Opéra-Comique e ne rimane colpito. Anni più tardi, durante una cena confida alla direttrice della Brooklyn Academy of Music il rimpianto di non poter rivedere quella produzione e chiede quanto costerebbe rifarla. Saputa la cifra stacca un assegno e da allora rinasce lo spettacolo qui registrato nel 2011 nello stesso teatro con lo stesso regista, lo stesso direttore d’orchestra e anche alcuni degli interpreti di allora. All’importanza dell’avvenimento sono dedicati il lungo e approfondito documentario contenuto nel secondo disco e il ricco opuscolo che accompagna i due blu-ray.

Atys debutta con grande successo nel 1676 su libretto di Quinault, il re porta lo spettacolo a corte e poi nei teatri parigini. Verrà ripreso ancora nel ‘700, poi un silenzio di oltre due secoli fino al 1987 in occasione del terzo centenario della morte del compositore fiorentino naturalizzato francese, una ripresa che ha segnato la rinascita dell’opera barocca francese. Da allora i lavori di Lully, Charpentier, Campra e Rameau sono regolarmente in scena nei teatri d’oltralpe.

Sangaride, che sta per sposare il re Célénus, è segretamente innamorata di Atys, che la ricambia; i due si confessano i reciproci sentimenti, ma il loro amore incontrerà molti ostacoli: Atys si sente diviso tra l’amicizia per Célénus e l’amore per Sangaride, e inoltre è amato dalla dea Cibele, che lo ha scelto come proprio sacerdote. Nel terzo atto il Sonno, con i suoi figli, rivela ad Atys addormentato l’amore di Cibele; per un equivoco Sangaride crede che Atys non la ami più e decide di sposare il re, ma il suo innamorato, nella veste di sacerdote, si oppone alle nozze. Cibele capisce di non essere ricambiata nei suoi sentimenti, invoca la furia Aletto e provoca la follia di Atys. Questi uccide Sangaride, scambiandola per un mostro (l’omicidio avviene fuori scena e viene narrato da Célénus) e, quando torna in sé, non gli resta che darsi la morte. Cibele lo trasforma in un pino, che ella potrà amare in eterno.

Assieme allo scenografo e al costumista, il regista Villégier ricrea uno spettacolo il più possibile fedele all’epoca. Dietro la sua dotta mise en scène ci sono la lettura delle Mémoires di Saint-Simon e le incisioni d’epoca rappresentanti interni della corte. Anche le coreografie, così importanti nell’opera, si affidano a passi e movimenti del tempo di Louis XIV, lui stesso ballerino così come Lully. Christie da par suo con il coro e l’orchestra de Les Arts Florissants fa rivivere con splendore i ritmi e i colori della partitura coadiuvato da una schiera di cantanti eccellenti.

Come Atys abbiamo un Bernard Richter che non si compiace della sua bellissima voce, ma dà un forte risalto anche drammatico al suo ruolo. Stéphanie d’Oustrac anche lei trascolora da déesse ad appassionata mortale con bravura. Nicolas Rivenq si dimostra specialista dell’opera barocca francese così come Paul Agnew. Praticamente perfetti anche gli altri interpreti.

Risulta interessante il confronto con la produzione dell’altra opera di Lully, Armide, della stessa etichetta diretta anch’essa da Christie. Se qui in Atys la scelta è una ricostruzione se non “filologica” perlomeno plausibile secondo il gusto dell’opera francese del XVII secolo e ragionevolmente fedele alle intenzioni del suo autore, là Carsen ricrea la tragédie lyrique in un quadro attuale con coreografie contemporanee e una visione del tutto moderna della rappresentazione. Non sembra che esista quindi una terza via per affrontare l’opera di questo periodo, tertium non datur, come dimostrano i migliori risultati in questo campo.

Immagine impeccabilmente cristallina e regia video come il solito competente di François Roussillon che non trascura i preziosi dettagli di costumi e scenografie. Sottotitoli anche in italiano.

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