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Un Orlando quasi sperimentale
Degli innumerevoli libretti tratti dall’Ariosto questo, adattato da L’Orlando overo la gelosa pazzia di Carlo Sigismondo Capece (o Capeci, 1711), è quello che si concentra maggiormente sulla gelosia che porta alla follia il cavaliere carolingio. Rispetto al libretto originale qui sono aggiunti concertati a più voci (il terzetto alla fine del primo atto, lo stupefacente duetto del terz’atto) ed è un’invenzione di Händel e dell’ignoto librettista il personaggio di Zoroastro, perno su cui ruota la vicenda.
Tutta la partitura è particolarmente interessante dal punto di vista armonico e strumentale e fa di quest’opera un unicum nella produzione del Sassone.
Cinque soli personaggi per un dramma quasi borghese: Angelica, Medoro, Dorinda e Zoroastro, oltre al paladino. Questa economia di personaggi mette a dura prova la resistenza degli interpreti che hanno ognuno un considerevole numero di arie impegnative. Alla prima del 1733 il ruolo del titolo fu affidato al castrato Senesino e si ebbero allora dieci repliche dell’opera che poi non fu mai più ripresa se non nella seconda metà del Novecento. Lo stesso William Christie ne fu interprete in una versione nel 1994 con la regia di Carsen.
Qui a Zurigo nel 2008 la messa in scena è di Jens-Daniel Herzog che ambienta la vicenda in una clinica di lusso in cui il direttore/Zoroastro cerca di guarire con vari modi più o meno leciti la pazzia di Orlando, soldato traumatizzato della Prima Guerra Mondiale. L’ingenua pastorella Dorinda è un’infermiera che alla fine si vendica con un solenne manrovescio dell’amore tradito di Medoro mentre Orlando a un certo punto ha le sembianze di un killer con l’ascia rubata al pompiere di servizio.
La scena claustrofobica è quella degli interni della clinica che l’abile scenografo con pareti scorrevoli trasforma in vari ambienti. Non c’è traccia dei verdi praticelli, degli alberi ombrosi, dei fiori odorosi evocati dal libretto: il regista ci vuole suggerire come essi siano solo nella fantasia malata degli ospiti e un’invenzione del mago (come Alcina nell’Orlando di Vivaldi). L’idea registica è sicuramente scioccante, ma regge molto bene lo sviluppo della vicenda e le sorprese sono teatralmente efficaci.
Christie e La Scintilla sono tutt’uno con i cantanti, ed è il miglior complimento che si possa fare alla sua precisa e pimpante direzione orchestrale. Le finezze strumentali della partitura sono innumerevoli, con tutti quegli assoli degli strumenti che accompagnano il canto dei personaggi.
In scena nel ruolo principale c’è la voce calda e insolita del mezzosoprano serbo Marijana Mijanovič, che dipana felicemente le agilità richieste dalla sua parte e rende drammaticamente convincente il suo personaggio. La scena della pazzia del second’atto è vocalmente e teatralmente fenomenale. Degli altri quattro ottimi interpreti una menzione merita la straordinaria Angelica di Martina Janková, stilista perfetta e voce di grande bellezza.
⸪