★★★☆☆
«Scherza infida | in grembo al drudo, | io tradito a morte in braccio | per tua colpa ora men vo»
Avesse scritto anche solo quest’aria, in cui la voce dialoga con i fagotti in pianissimo su un basso pizzicato, Händel sarebbe comunque uno dei massimi compositori d’opera: quattro versi per dodici minuti di musica sublime e rarefatta in cui l’azione rimane sospesa per farci partecipi del dolore, del disinganno, dell’angoscia di chi si sente tradito in quel che ha di più caro.
In Ariodante (1734) su adattamento anonimo di un libretto del Salvi (1708) ispirato dai canti V e VI dell’Orlando Furioso, questa è l’aria perno dell’opera in cui le vicende fino a quel momento felici e festose si volgono in tragedia e dolore e neanche il lieto fine di prammatica riuscirà a dissipare il gusto amaro del finto tradimento inscenato sotto i nostri occhi.
L’intreccio non prevede vicende secondarie ed è tutto concentrato sull’inganno tessuto da Polinesso, duca di Alabany, il quale vuole impedire Il matrimonio tra il principe Ariodante e Ginevra, figlia del re di Scozia ed erede al trono. Mosso dalla gelosia e dall’ambizione, Polinesso non esita a infangare l’onore di Ginevra: fingendo di ricambiare l’amore di Dalinda, dama di compagnia della principessa, la convince ad apparire sul balcone con gli abiti della sua signora e a farla entrare nei suoi appartamenti proprio la notte prima delle nozze. Ariodante, avvisato dallo stesso Polinesso, assiste all’incontro notturno e di fronte all’evidenza fugge inorridito. L’indomani il re viene a sapere dal consigliere Odoardo che Ariodante si è gettato in mare ed è annegato. Ginevra è sconvolta, ma la sua disperazione raggiunge il culmine quando viene ripudiata dal padre: Lurcanio, fratello di Ariodante, l’ha accusata di averne provocato la morte con la sua infedeltà e impudicizia e si è dichiarato pronto a difendere le proprie affermazioni con la spada. Ariodante, che non è morto ma si nasconde in un bosco, salva Dalinda dai sicari di Polinesso e viene a conoscenza dell’inganno ordito contro di lui. Nel palazzo reale intanto, nonostante il rifiuto di Ginevra, Polinesso sfida Lurcanio per difendere l’onore della principessa e viene ferito mortalmente. Sopraggiunge un altro cavaliere con la visiera calata. È Ariodante che rivela la sua identità. Nello stupore generale Odoardo annuncia che Polinesso è ispirato dopo aver confessato le sue frodi. Il re porta la buona notizia a Ginevra mentre Dalinda e Lurcanio si riconciliano. Nella scena finale viene festeggiata l’unione delle due coppie.
Siamo a Spoleto nel luglio 2007 e nel personaggio del titolo abbiamo Ann Hallenberg, vocalmente eccellente (Cecilia Bartoli in un bis da concerto in questa stessa aria è tutt’altra cosa però e il suo da capo con variazioni fa scorrere brividi lungo la schiena per non parlare della struggente e intensissima recente versione di Franco Fagioli, anche lui in concerto), ma sta un po’ “stretta” nei panni virili del personaggio ed è poco credibile come eroe ariostesco. Più plausibile è il malvagio Polinesso di Mary-Ellen Nesi, mentre sensuale è la Ginevra di Laura Cherici e giustamente infelice la Dalinda di Marta Vandoni Iorio, perfidamente ingannata.
In ombra gli interpreti maschili, il re da operetta di Carlo Lepore e soprattutto il Lurcanio di Zachary Stains, che dopo l’Ercole nudo dell’anno precedente conferma le sue doti sceniche (anche se qui è vestito di tutto punto), ma ahimè anche le sue manchevolezze vocali.
In orchestra abbiamo ancora una volta un Curtis senza passione, che diligentemente inanella le magnifiche arie una dopo l’altra con precisione, ma senza anima e senza cercare di renderci partecipi dei sentimenti che vengono messi in scena.
Anche il regista è quello del Vivaldi dell’anno precedente, ma qui Pascoe riesce ancora una volta ad adattarsi con abilità alle esigue dimensioni del teatro Caio Melisso dove ambienta la vicenda nella corte inglese in trasferta in Iscozia negli anni ’50, quelli dell’incoronazione di Elisabetta II, e pone gran cura nei dettagli dei costumi (twin-set di cachemire, gonne plissettate di tweed, collane di perle, cappellini che sembrano presi in prestito dal guardaroba della Regina Madre) e nelle scene, con tanto di bellissimi cardi azzurri e rovine gotico-romantiche. Ma mentre il regista cerca con la sua ambientazione di renderci più vicini i personaggi con le loro emozioni, il direttore d’orchestra tende a cristallizzare le note in un distante contesto settecentesco, come conferma lui stesso nell’introduzione all’opera contenuta nel secondo disco.
⸫
- Ariodante, Aix-en-Provence, 12 luglio 2014
- Ariodante, Vienna, 4 marzo 2018
- Ariodante, Principato di Monaco, 28 febbraio 2019
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