★★★☆☆
Il Rossini di Fo
Opera buffa del 1816 su libretto del Palomba tratto dalla commedia goldoniana Il matrimonio per concorso del 1763. Non tra le più famose del drammaturgo veneziano, era però già stata il soggetto nel 1766 di una delle ottanta e più opere dello Jommelli.
Don Pomponio Storione è giunto a Parigi, dove intende collocare la figlia Lisetta presso un buon partito del luogo. A questo scopo ha pubblicizzato le sue intenzioni sulla gazzetta della città. La locanda dove i due alloggiano diventa il centro d’una serie di complicazioni: la ragazza s’innamora del locandiere Filippo, ma viene corteggiata dal giovane benestante Alberto, in cerca di una compagna. Giungono intanto un’altra coppia padre-figlia (Anselmo e Doralice), e altri bizzarri personaggi. Il primo atto finisce con Filippo, travestito da «quakero», che si offre come pretendente alla mano di Lisetta. Dopo ulteriori peripezie, l’intreccio si scioglie con le doppie nozze di Lisetta e Filippo e di Doralice e Alberto, nozze che i padri delle ragazze si vedono costretti ad accettare a malincuore.
L’opera di Rossini si pensava fosse andata persa e soltanto nel 1960 aveva avuto una prima rappresentazione in età moderna. Come nel Viaggio a Reims, anche qui ci troviamo in una locanda dove arrivano e da dove partono vari personaggi. La trama è complicata come un vaudeville di Labiche e altrettanto frenetico lo sviluppo della vicenda che tra equivoci e travestimenti parte dall’inserzione pubblicitaria su una gazzetta di tale Pomponio Storione che offre in sposa al miglior partito la sua unica figlia. Secondo la prassi dell’epoca alcuni brani sono ricavati da altre opere dello stesso autore (Il Turco in Italia e La pietra di paragone), ma a sua volta La gazzetta fornirà la sua sinfonia alla Cenerentola dell’anno successivo.
Registrata dal vivo al Gran Teatre del Liceu di Barcellona nel 2005 è la ripresa della storica produzione del Rossini Opera Festival di Pesaro dello stesso anno e si avvale della regia di un Dario Fo che per la terza volta, dopo Il barbiere di Siviglia e Il viaggio a Reims, si cimenta con un lavoro del pesarese apportandovi i lazzi e le gag del suo teatro: colori festosi, movimenti indiavolati, salti e piroette in un horror vacui scenico che comunque non è mai gratuito ed è sempre ispirato dal libretto o dalla partitura musicale.
Prendiamo ad esempio il balletto iniziale con i ciechi (!) e l’uomo senza gambe (?): quest’ultimo sarà il gazzettiere mentre i non vedenti sono suggeriti dal libretto stesso quando Alberto, che ha girato il mondo invano per cercare l’anima gemella, canta: «O lo stral del cieco nume / non ha forza nel mio cuore…». Il passaggio delle due suorine danzanti non ha invece nessuna giustificazione drammatica, se non che sta molto bene con la musichetta che viene fuori dall’orchestra in quel momento. E così via.
Il libretto e la partitura sono lacunosi ed è buon gioco quello di Fo di rimpolpare la vicenda, come quando ri-inventa sui ritmi della tarantella di Rossini stesso una scena tra padre e figlia che più che un recitativo d’opera sembra uscita da una sceneggiata napoletana. Di certo non si può imputare al Fo regista-scenografo-costumista di non rendere teatrale al massimo tutto quello che fa e di trovarsi perfettamente a suo agio nel mondo surreale dell’opera buffa rossiniana. Certo se Fo decidesse un giorno di mettere in scena il Parsifal o il Pelléas et Mélisande…
La giovane orchestra Academy del Liceu non è esente da qualche pecca, ma la direzione di Maurizio Barbacini riesce a tenere assieme cantanti in scena e musicisti in buca. Nella compagine canora i protagonisti maschili sono i più convincenti: benché di nascita valdostana, Praticò è perfettamente a suo agio nei panni dello spassoso papà napoletano, mentre Spagnoli e Workman si dimostrano ancora una volta degli specialisti di questo repertorio. Napoletana verace è invece Cinzia Forte nei panni di Lisetta, un po’ troppo soubrettina però e con la sua indubbia avvenenza supplisce a una vocalità che si apprezza soprattutto nelle note acute e nei passaggi d’agilità.
Ottime l’immagine e le due tracce sonore, ma la ripresa televisiva è un po’ dilettantesca. Negli extra soltanto un’intervista al regista e un riassunto della vicenda.
⸪