★★★★☆
Un’altra riscoperta rossiniana
Che la trasposizione della vicenda di un’opera in tempi e luoghi diversi da quelli indicati nel testo sia ormai prassi consolidata ha avuto la sua consacrazione definitiva con l’articolo del giornale satirico di The Onion in cui si ha la clamorosa notizia che un regista metterà in scena un dramma di Shakespeare nel tempo e nei luoghi voluti dall’autore: Il mercante di Venezia non sarà quindi ambientato nella Las Vegas degli anni ’60 o in una piantagione della Georgia dell’ottocento, bensì nella Venezia del XVI secolo. Scherzi a parte, ecco dunque che Ermione (“azione tragica” del 1819 su libretto di Andrea Leone Tottola tratto dall’Andromaque di Racine, 1667), nell’edizione 1995 di Glyndebourne viene ambientata dal regista Graham Vick, chissà perché, nella seconda metà dell’800 con un’Ermione che si presta ad andare a caccia vestita come per un ballo a corte con guanti, ventaglio e strascico di due metri dell’abito in velluto color ametista. Come stilizzata ed efficace scenografia un elemento rotante e sbieco forma i due soli ambienti: la prigione e la «reggia abborrita», qui a foggia di loggiato teatrale.
Il maestro Andrew Davies alla guida della London Philarmonic calibra perfettamente gli equilibri e i colori strumentali della partitura fin dalla splendida sinfonia con coro che aveva tanto sconcertato il pubblico della prima al San Carlo di Napoli dove l’opera si rivelò un vero e proprio fiasco.
Conseguentemente non venne mai più ripresa e la sua musica fu riutilizzata da Rossini in almeno altre quattro opere successive. La rinascita avvenne solo nel 1977 in forma di concerto e dieci anni dopo in forma scenica al Rossini Opera Festival con Gustav Kuhn e Montserrat Caballé come protagonista titolare.
Nella vicenda Andromaca, vedova di Ettore, è prigioniera del re Pirro che, nonostante sia promesso sposo a Ermione, se ne innamora e vuole farla regina. L’arrivo di Oreste, innamorato di Ermione, non fa che complicare le cose fino alla tragica conclusione. Il libretto si presta a momenti di involontaria comicità come quando Ermione apostrofa la rivale Andromaca con un «avanzo di Troia» o quando sempre Ermione minaccia la sua vendetta su Pirro «di belliche faville | va il cielo a balenar».
Dopo aver sconfitto i Troiani, il re Pirro, figlio di Achille, è ritornato in patria, A Buthrote, capitale del regno di Epiro, con numerosi prigionieri tra i quali vi è Andromaca con il figlioletto Astianatte. Egli non tiene fede alla promessa fatta a Ermione, figlia di Menelao re di Sparta, poiché ama Andromaca, che tuttavia lo respinge, fedele alla memoria di Ettore. Oreste, che è stato inviato a Buthrote dai re greci per risvegliare in Pirro il senso del dovere e il desiderio di gloria, dichiara il suo amore a Ermione che, tormentata dalla gelosia, sta cercando di riconquistare il cuore di Pirro. Questi non solo respinge il suggerimento di Oreste di sopprimere Astianatte, per evitare la futura immancabile vendetta, ma, alla presenza della corte e di Ermione, chiede ad Andromaca di sposarlo. Ella finge di acconsentire alle nozze, ma in realtà vuole solo salvare il figlio (e medita anche di uccidersi, per raggiungere l’amato sposo nell’oltretomba). L’umiliata Ermione, resa folle dalla passione, chiede a Oreste, quale testimonianza d’amore, di uccidere Pirro. Quando Oreste le presenta il pugnale insanguinato, prova che la vendetta da lei richiesta è stata eseguita, ella, presa da orrore per l’omicida, gli svela tutto l’amore che prova ancora per Pirro. Oreste, sconvolto e delirante, è trascinato via dai suoi compagni verso la nave.
«La generale atmosfera tragica di Ermione, presaga di tinte cupe che saranno tipiche di tante opere romantiche, rende l’opera di singolare interesse. Rossini si discosta qui dai moduli belcantistici, conferendo maggiore continuità ai nessi tra i vari pezzi chiusi, come accade ad esempio nel secondo duetto fra Ermione e Oreste o nella grande scena finale di Ermione. Fondamentale è anche la funzione del coro, che diviene parte integrante dell’architettura drammatica. Alcuni interventi di personaggi minori, di solito marginali nell’economia generale dell’opera, inoltre, sono decisivi; l’annuncio dell’arrivo di Oreste è uno di questi. Ermione è grande protagonista già dal finale primo atto, ma è nel secondo che decisamente sovrasta gli altri personaggi. In una grande scena ha modo di esprimere un ventaglio di emozioni che vanno dalla ferocia all’amore più tenero. La scena è costituita da un’aria in quattro sezioni, intercalate da recitativi. Isabella Colbran, a quel tempo protagonista assoluta delle scene napoletane, ebbe modo di evidenziare il pathos che era riconosciuto come suo punto di forza. Accanto a lei furono Andrea Nozzari come Pirro e Giovanni David come Oreste, oltre a Rosmunda Pisaroni nell’importante ruolo di Andromaca, tutti cantanti di chiarissima fama. In Ermione Rossini introdusse altri elementi che svilupperà più tardi nel periodo parigino: il finale tragico al posto di quello lieto, l’uso frequente del declamato e la sostituzione quasi abituale delle arie tripartite con quelle bipartite». (Umberto Fornasier)
Come Medea ed Elettra, anche Ermione è ossessionata dall’amore/odio e fino all’ultimo è indecisa fra i due sentimenti. Voce a questo personaggio è data da una Anna Caterina Antonacci in splendida forma. Andromaca ha le nobili fattezze e la sontuosa vocalità di Diana Montague, ma tutto il cast è di ottimo livello. Forse non tanto il Pirro di Jorge López-Yañez, quanto l’Oreste di Bruce Ford, dalla forte somiglianza con Leonardo di Caprio, dallo squillo e dallo stile perfetti.
Immagine in 4:3 e sobria ripresa video di Humphrey Burton. Una sola traccia audio e sottotitoli in cinque lingue compreso l’italiano.
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- Ermione, De Marchi/Spirei, Napoli, 7 novembre 2019
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