★★★★☆
«La prossima volta lo facciamo del tutto diverso»
La frase pronunciata da Wagner al termine del primo Ring del 1876 a Bayreuth è stata presa alla lettera da chi si è cimentato con la produzione del ciclo e si può dire che la storia dei suoi allestimenti coincida con la storia della messa in scena dell’opera in musica tout court. Dalla cartapesta e dai teli dipinti degli allestimenti iniziali si è passati alle scenografie astratte e tridimensionali di Adolphe Appia di inizio ‘900, a quelle minimaliste e simboliste di Wieland Wagner degli anni ’50 e ’60, alla rivoluzione di Chéreau del 1976, alle discusse rivisitazioni dei giorni nostri.
Fra i tanti cicli completi del Ring prodotti negli ultimi anni, questo di Copenhagen è stato tra i più celebrati, grazie alla intrigante messa in scena di Kasper Bech Holten, allora (2006) direttore artistico dell’Opera Reale Danese.
All’inizio del Rheingold si vede Brünnhilde entrare in una soffitta per cercare negli archivi di famiglia una spiegazione di quello che è avvenuto nel passato. Si rivedrà la stessa scena nel Götterdämmerung quando Gunther e Hagen saranno usciti per uccidere Siegfried e si capirà allora che l’intera vicenda è vista come un flashback e con una visione femminile. Il Crepuscolo degli dèi sarà anche il crepuscolo del patriarcato secondo Holten.
Dopo il cruento prologo in cui Alberich uccide il fanciullo che rappresenta l’oro del Reno e la piscina in cui nuotava nudo e felice si tinge del suo sangue e ad Alberich non è risparmiato trattamento migliore quando Wotan per ottenere il bramato anello (qui un bracciale) dopo sadiche torture ne mozza l’intero braccio (una scena truculenta da vero film horror) e dopo le vicende della prima giornata in cui Brünnhilde si scontra col padre Wotan, in questo terzo capitolo della saga nibelungica, il più “leggero”, facciamo la conoscenza di Siegfried, il frutto dell’amore dei due fratelli gemelli Siegmund e Sieglinde. In questa edizione Siegfried è “tutto suo padre”, infatti i due ruoli sono interpretati dallo stesso cantante.
Su un rullo in pianissimo dei timpani i fagotti annunciano tra lunghe pause le note gravi che formeranno il tema del drago. Così inizia in orchestra questa seconda giornata. La casa in cui Mime ha cresciuto Siegfried è un appartamento su tre piani degli anni ’60 (il prologo era ambientato negli anni ’20, con Walküre siamo negli anni ’50 e infine con Götterdämmerung saremo negli anni ’90 completando così questo “ritratto del ventesimo secolo” secondo Holten): il seminterrato è il regno del nano e dei suoi lavori di forgiatura mentre il ragazzo vive nella mansarda. Disordinato e ribelle come tutti gli adolescenti veste in jeans e ha chitarra e poster appesi al muro della camera. Mime è un casalingo un po’ inquietante che non vede l’ora di sbarazzarsi del teppistello che gli porta in casa orsi vivi e “fa disordine”. Nella scena in cui si ricapitolano le puntate precedenti con Wotan, viandante invadente capitato in casa per il tè, vediamo il coltello con cui era stato mozzato il braccio di Alberich.
Il secondo atto è ambientato in una discarica di materiali tossici nel mezzo della foresta. Alberich è un senzatetto che vive con un adolescente imbronciato e muto (Hagen). Un intrico minaccioso di tubazioni esce da un foro e un altoparlante arrugginito diffonde la voce del drago. Il pavimento si solleva e vediamo cosa c’è sotto: è Fafner, un vecchio seduto ad una consolle che controlla i suoi effetti speciali. Siegfried lo uccide e per effetto del suo sangue capisce il linguaggio di un uccello della foresta, qui una bianca colomba presa ad un prestigiatore, che gli svela le infide trame del nano.
Nel terzo atto vediamo Wotan andare a fare visita a Erda. Ironicamente la «ewiges Weib» si dimostra tutt’altro che eterna: sta morendo di cancro. Tra le cose migliori dello spettacolo il confronto tra questi due vecchi stanchi: il tempo inesorabile ha colpito anche gli dèi. Nell’ultima scena davanti a Brünnhilde (il quarto essere umano che incontra nella sua vita, dopo che gli altri tre li ha ammazzati o ha cercato di farlo) finalmente Siegfried scopre la paura, ma anche un altro sentimento e il bacio con cui la risveglia suggella il loro amore da sempre predestinato.
Stig Fogh Andersen, tutt’altro che giovane a 56 anni, è però molto giovanile e bravo e riesce a rendere il personaggio di Siegfried meno antipatico del solito. Irene Theorin fa un po’ fatica a risvegliarsi e ha una voce poco gradevole seppure potente. Susanne Resmark e James Johnson danno autorevolmente vita ai personaggi di Erda e Wotan.
In buca il direttore Michael Schønwandt evidenzia dettagli e trasparenze della partitura, ma non lesina sugli effetti sonori quando è necessario.
Le riprese video sono di Uffe Borgwardt che neanche qui rinuncia a imporre la sua cinematografia invadente e ossessionata dai primi piani delle facce dei cantanti, dalle angolature di ripresa più strambe e dal montaggio frenetico.
Quattro ore di musica su due dischi. Sottotitoli anche in danese e cinese, ma non in italiano. La mancanza di extra è compensata da un opuscolo con interessanti interventi.
Atto I. Sono passati alcuni anni dagli eventi de La Valchiria. Mime, il fratello di, sta forgiando una spada nella sua caverna nella foresta: il nano ha in mente di impossessarsi dell’anello, servendosi di Sigfrido, che in questi anni ha cresciuto perché uccidesse Fafner per lui. Il ragazzo però finora ha rotto qualsiasi spada che gli ha fabbricato. Tornando dai suoi vagabondaggi nella foresta Sigfrido chiede a Mime di parlargli delle sue origini. Mime è costretto a narrargli di come, anni prima, avesse trovato nella foresta sua madre, Sieglinde, morta dandolo alla luce. Mostra a Sigfrido i frammenti di Notung, che conservava da allora, e il giovane gli ordina di riforgiare la spada. Sigfrido si allontana, lasciando Mime sconsolato: non è in grado infatti di riparare la spada. Un vecchio Viandante (Wotan travestito) giunge all’improvviso alla sua porta. Il Viandante scommette con Mime la sua testa che saprà rispondere a tre indovinelli che il nano vorrà sottoporgli, e Mime acconsente: chiede all’ospite di nominargli le tre razze che vivono sotto terra, sulla superficie e nei cieli. Si tratta dei Nibelunghi, dei giganti e degli dèi, risponde correttamente il Viandante. Ora tocca a quest’ultimo proporre tre quesiti, e Mime dovrà rispondere pena la vita. Il Viandante gli chiede di dirgli il nome della razza più cara a Wotan, ma da lui trattata più duramente, il nome della spada che può distruggere Fafner, e il nome della persona che può forgiarla. Mime sa rispondere ai primi due quesiti, i Valsidi e Notung, ma non conosce la risposta al terzo. Ciò nonostante, il Viandante lo risparmia, rivelandogli che solo «colui che non conosce la paura» potrà riforgiare Notung, e sarà anche colui che ucciderà Mime. Quindi se ne va. Ritorna Sigfrido, e subito si irrita al vedere che Mime non ha fatto alcun progresso. Mime comprende che l’unica cosa che in quegli anni non ha insegnato a Sigfrido è la paura, e il giovane è ansioso di apprenderla: Mime promette di insegnargliela conducendolo dal drago Fafner. Poiché il nano non è stato in grado di riforgiare Notung, Sigfrido decide di provarci da solo: riunisce i frammenti di metallo, li fonde insieme e fabbrica così una nuova spada. Mime si ricorda delle parole del Viandante e capisce che ora sarà ucciso da Sigfrido: non visto, prepara allora una bevanda avvelenata da offrire al giovane subito dopo che egli avrà ucciso Fafner.
Atto II. Il Viandante giunge all’ingresso della caverna di Fafner: lì si trova anche Alberich, deciso a riprendersi l’anello. I due antichi nemici si riconoscono subito. Alberich annuncia a Wotan i suoi piani di dominio del mondo non appena avrà rimesso le mani sull’anello. Wotan, invece, replica che egli non ha alcuna intenzione di tentare di impossessarsene: con grande sorpresa dell’altro, sveglia Fafner e informa il drago che sta per giungere un eroe per combatterlo. Fafner si fa beffe di quella minaccia, rifiuta di riconsegnare l’anello ad Alberich, e torna a dormire. Wotan e Alberich partono. All’alba, giungono Sigfrido e Mime. Mime si nasconde mentre Sigfrido va per affrontare il drago. In attesa che questo si mostri, il giovane vede un uccello della foresta posato su un albero: cerca di imitare il suo verso con una canna, ma senza successo. Suona quindi una nota con il suo corno, che attira Fafner fuori dalla caverna. Dopo un breve scambio di frasi, i due combattono, e Sigfrido trafigge al cuore il drago con Notung. Prima di morire, Fafner si fa dire da Sigfrido il suo nome, e lo avverte di guardarsi dal tradimento. Quando Sigfrido estrae la lama dal corpo del drago, le sue mani sono ricoperte del sangue di Fafner, ed egli istintivamente le porta alla bocca, assaggiandolo. Dopo averlo bevuto, riesce a comprendere il canto dell’uccello della foresta. Facendo come questi gli suggerisce, prende dall’antro del drago l’anello e il Tarnhelm, l’elmo magico che consente di mutare forma e divenire invisibili. Ricompare Mime, e Sigfrido si lamenta con lui perché ancora non ha imparato cosa sia la paura. Ansioso di mettere mano sull’anello, Mime offre al giovane il veleno, ma tra i poteri del sangue del drago che ha bevuto vi è anche quello di leggere il pensiero, perciò ora Sigfrido intuisce le malvagie intenzioni del nano, e lo uccide. L’uccello della foresta canta di una donna addormentata su una roccia circondata dal fuoco. Sigfrido, pensando di poter forse apprendere il significato della paura da costei, si dirige verso la sommità della montagna.
Atto III. Il Viandante compare lungo il sentiero che conduce alla roccia di Brunilde ed evoca Erda la dea della terra. Ella, confusa, dice a Wotan di non poterlo aiutare, ma questi l’informa di non temere più la fine degli dei, anzi, la desidera: la sua eredità passerà a Sigfrido il Valside, e la loro figlia, Brunilde, compirà l’impresa che redimerà il mondo. Erda sprofonda di nuovo nelle viscere della terra. Giunge Sigfrido, e il Viandante lo interroga. Il giovane, che non ha riconosciuto suo nonno, risponde con insolenza e fa per proseguire verso la cima. Il Viandante gli blocca il passo, e allora Sigfrido gli spezza la lancia con un colpo della sua spada. Con calma, Wotan ne raccoglie i pezzi e scompare. Sigfrido giunge infine di fronte al cerchio di fuoco e lo attraversa. Vede la figura in armatura che giace addormentata, e dapprima pensa che sia un uomo. Ma, dopo che ha rimosso l’armatura, si accorge che si tratta di una donna. Quella vista per lui sconosciuta lo colpisce, non sa cosa fare, e per la prima volta nella sua vita sperimenta la paura. Bacia Brunilde, svegliandola dal suo sonno. Dapprima esitante, Brunilde è poi vinta dall’amore di Sigfrido, e rinuncia al mondo degli dèi.
⸪