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Così si conclude l’opera musicale più ambiziosa mai tentata
Terza e ultima giornata del “festival scenico” wagneriano, ultima parte della tetralogia.
Già nel 1843 Wagner pensava di comporre un’opera sul personaggio di Sigfrido, influenzato dalla lettura della Deutsche Mythologie di Jacob Grimm. La morte di Sigfrido doveva esserne il titolo, ma ben presto il compositore sentì la necessità di narrarne anche gli antefatti e così si venne formando il ciclo intero, a ritroso.
Prologo. Rocca di Brunilde. Le figlie di Erda, le tre Norne tessono il filo del destino cantando allegramente del presente e del futuro che sarà segnato da un grande incendio appiccato da Wotan, come segnale dell’abbandono degli dei. Il filo improvvisamente si spezza e le donne piangono di aver perduto la loro saggezza e si allontanano. Dalla caverna compaiono Brunilde e Sigfrido, questi pronto per partire verso nuove avventure. La donna supplica Sigfrido di non dimenticarsi del loro amore riceve da lui, come prova di fedeltà, il suo anello, preso a Fafner. L’uomo, a cavallo di Grane, donato da Brunilde, se ne va.
Atto I. Atrio dei Ghibicunghi. Il signore dei Ghibicunghi, popolo del lungo Reno, Gunther, è seduto sul suo trono quando il fratellastro Hagen gli suggerisce di trovare al più presto una moglie e un marito per la sorella Gutrune. Gli suggerisce due nomi, quello di Brunilde e di Sigfrido. Con l’obiettivo di far innmorare Sigfrido di lei, consegna a Gutrune una pozione magica che aiuterà i due a dimenticarsi uno dell’altro. Sigfrido arriva a palazzo ospite di Gunther. Gli viene subito offerta la pozione magica che Sigfrido beve brindando proprio alla sua Brunilde ma la memoria scompare nell’immediato tanto che il giovane si innamora subito di Gutrune sotto l’effetto dell’incantesimo. Promette anche a Gunther di trovargli al più presto una sposa che sarà proprio Brunilde e sanciscono la loro nuova amicizia con un patto di sangue. Intanto Brunilde riceve la sorella Waltraute che racconta delle vicende del padre Wotan e di una lancia spezzata con intagliati tutti i vari patti intrapresi dal giovane. Waltraute supplica Brunilde di restituire alle figlie del Reno l’anello lasciatole da Sigfrido perchè solo così può aver fine la maledizione inflitta dagli dèi che stava colpendo anche il loro padre Wotan. Brunilde non accetta di separarsi dall’anello. Sigfrido, che sotto le magie di Tarnhelm ha preso le sembianze di Gunther, chiede a Brunilde si sposarlo, ma la ragazza si oppone fermamente. Tra i due ha inizio una violenta lotta che porta il finto Gunther a strapparle dal dito l’anello che si infila subito.
Atto II. Rive del Reno. Hagen sogna una visita del padre Alberich che gli ordina di prender possesso dell’anello. Torna Sigfrido che ha ripreso le sue sembianze originali mentre viene richiamato il popolo per far festa al re Gunther e alla sua sposa. Arrivano il re e Brunilde. Quest’ultima rimane impietrita quando vede Sigfrido indossare l’anello. Gunther, Hagen e Brunilde restano soli e organizzano di comune accordo di uccidere Sigfrido. La donna in preda al desiderio di vendetta per esser stata tradita da Sigfrido, suggerisce ai due il punto debole dell’uomo, la schiena, unica zona del corpo a non esser protetta dalla magia. Gli uomini decidono di organizzare un’uscita di caccia per uccidere Sigfrido.
Atto III. Boschi sul Reno. Sigfrido si allontana dalla battuta di caccia e si avvicina alle figlie del Reno che stanno piangendo. Le donne gli chiedono di restituire loro l’anello per interrompere la maledizione, ma l’uomo non le ascolta e viene da loro maledetto con la predizione della sua morte. Sigfrido torna insieme agli altri cacciatori e narra i suoi ricordi di gioventù quando, sotto gli influssi di una pozione magica data da Hagen inizia a raccontare di quando ha risvegliato la bella Brunilde con un bacio. Due corvi improvvisamente prendono il volo e mentre Sigfrido è distratto dal loro volo, viene trafitto alla schiena e muore. Gutrune attende il ritorno del marito ma apprende la notizia della sua morte. Mentre Hagen e Gunther discutono sulle loro colpe, Hagen riesce a togliere l’anello dal cadavere di Sigfrido e per difenderlo uccide Gunther. Finalmente può impossessarsi dell’anello quando la mano del morto si solleva provocando terrore. Brunilde ordina che venga appiccato il fuoco a una grande pira funebre vicino al fiume avvisando le figlie del Reno di venire a recuperare l’anello dalle ceneri. La donna a cavallo di Grane galoppa tra le fiamme quando il fiume improvvisamente straripa dagli argini e l’anello recuperato cade in acqua. Hagen cerca di prenderlo ma annega. Le figlie del Reno riescono finalmente a salvare l’anello uscendo trionfanti dall’acqua. Intanto nel cielo si scorge un altro grande incendio voluto, dagli dèi, che distrugge ogni cosa.
Il testo del Crepuscolo degli dèi è quindi il primo a essere scritto e l’ultimo a essere musicato. Ciò spiega come nella forma letteraria quest’opera sia l’unica ad avere ancora duetti e terzetti tradizionali, mentre la musica è spinta invece verso il futuro dopo l’esperienza del Tristano e dei Maestri Cantori. La prima dell’opera avvenne al Bayreuth Festspielhaus nell’agosto del 1876 con l’esecuzione del Ring completo. Tra il pubblico Liszt, Mahler, Bruckner, Nietzsche, Tolstoj e Ludwig II Re di Baviera…
Nel 1976 si celebra dunque il centenario dell’avvenimento e l’allora presidente del Festival, Wolfgang Wagner, invita a dirigere il ciclo l’acclamato compositore e direttore d’orchestra Pierre Boulez, affiancato per la messa in scena da un giovane e promettente regista francese, Patrice Chéreau, che fino ad allora non si era occupato che raramente di opere liriche (un Rossini e un Offenbach) e proveniva dal teatro drammatico, con una intensa collaborazione con il “Piccolo Teatro” di Giorgio Strehler.
«La bellezza del Ring è una sfida oggi come quando fu messo in scena la prima volta e quello che ha da dire è ancora valido ora, il messaggio è ancora violento e disperato, amaro e scomodo» (Patrice Chéreau). Egli sceglie di ambientare la vicenda nel secolo XIX e ne fa una metafora della Rivoluzione Industriale e della sua corruzione della società, in accordo con la lettura che George Bernard Shaw aveva dato dell’opera di Wagner. Critica e pubblico si dividono tra chi considera scandalosa la messa in scena e chi la definisce la miglior versione nella storia del festival di Bayreuth. Il primo ciclo nel 1976 finisce tra i fischi – il Götterdämmerung viene interrotto addirittura due volte per le intemperanze del pubblico – ma lo stesso ciclo quattro anni dopo riceve più di 80 minuti di applausi e 101 chiamate.
Quel che è certo è che questa produzione costituisce il punto di svolta nella messa in scena dell’opera lirica: da allora la trasposizione dell’azione in contesti storici diversi non fa più scalpore. È il cammino intrapreso dal Regietheater e chissà quanti degli attuali spettatori del festival di Bayreuth rimpiangono quel lontano “scandaloso” allestimento visto quello che devono sopportare nelle ultime regie sotto la direzione del festival da parte di Gudrun e Katharina Wagner.
Grande merito del regista francese è di attribuire ai cantanti un ruolo di interprete drammatico e mettere in scena un gioco di corpi che fino ad allora solo in poche occasioni si era tentato di fare. I personaggi del suo Ring sono il frutto di un accurato studio individuale e di una dettagliata analisi del testo. Assieme al fidato Richard Peduzzi, suo futuro fedele collaboratore e compagno di vita, le spettacolari scenografie costruiscono spazi con muri di mattoni, gigantesche ruote dentate, colonne neoclassiche, reperti di archeologia industriale. I costumi dei Gibicunghi li denotano come appartenenti all’alta borghesia: Gunther in smoking, Gutrune in abito lungo e perle, Hagen in abiti lisi poiché non è decisivo e il suo destino è già segnato da tempo, mentre l’ingenuo Siegfried è spaesato ed estraneo a questo ambiente.
Molte sono le versioni complete del Ring registrate sia in studio che dal vivo. Tra quelle registrate in studio possiamo ricordare l’edizione di Furtwängler (1953) con l’orchestra della RAI di Roma, Solti con la Filarmonica di Vienna (1958-1964, la prima in stereo), Karajan con i Berliner Philharmoniker (1966-1970), Janowski con la Staatskapelle di Dresda (1980-1983) e Levine (1987-1989) con l’orchestra del MET.
Per le registrazioni dal vivo si va dal Furtwängler alla Scala (1950) a quelle da Bayreuth: Knappertsbusch (1956-1958), Böhm (1966-1967), Barenboim (1991-1992), Thielemann (2008).
Con le registrazioni video diventa imprescindibile la firma del regista: Bertrand de Billy con Kupfer a Barcellona (2005), Hänchen con Audi ad Amsterdam (2005), Schønwandt con Holten a Copenhagen (2006), Thielemann con Dorst a Bayreuth (2006-2010), Mehta con la Fura dels Baus a Valencia (2007-2009), Levine con Schenk (2002) e con Lepage (2012) al MET, Jordan con Krämer (2013) a Parigi.
La registrazione di Pierre Boulez avviene alla fine delle rappresentazioni a Bayreuth (1980) e viene lodata dalla critica per la trasparenza della sua interpretazione (l’orchestra di Bayreuth aveva inizialmente minacciato uno sciopero perché il direttore non permetteva agli orchestrali di suonare come avevano sempre fatto, ossia forte!).
Quattro sono i personaggi che ritroviamo in quest’ultima parte e sono tutti interpretati dagli stessi cantanti. Alberich, il personaggio chiave del Rheingold, ha l’intensa presenza del magnifico Hermann Becht. Brünnhilde, che qui non è più la bellicosa Walchiria ma la donna tradita nell’amore e nell’onore, è una superlativa Gwineth Jones. Unico personaggio presente in tutte e quattro le opere è Wotan, il disincantato eroe della saga, interpretato con autorevolezza da Donald McIntire. Purtroppo il Siegfried è lo stesso della giornata precedente, un Manfred Jung che sia vocalmente che scenicamente è una pena. Hunding è il Fasolt del prologo, Matti Salminen. Fafner è diventato Gunther, Fritz Hübner. Sieglinde ora è Gutrune, Jeannine Altmeyer.
Lo spettacolo è filmato da Brian Large dal vivo, ma nel Festspielhaus vuoto e con alcune piccole aggiunte concordate con Chéreau (ad esempio le proiezioni nei cambiamenti di scena). Le immagini denunciano la provenienza da un VHS e sono molto granulose. Buone invece le due tracce audio.
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- Götterdämmerung, Tate/Carsen, Venezia 2009
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