La leggenda della città invisibile di Kitež

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Il Parsifal russo

Le eccezionali doti di orchestratore di Rimskij-Korsakov balzano evidenti fin dalle prime note dell’introduzione “elogio della solitudine” in cui i rumori della natura vengono trasfusi in meravigliosi suoni: «Siamo in piena estate. Gli uccelli cantano, si può sentire il richiamo di un cuculo. Si sta facendo sera» dice la didascalia del libretto prima dell’inno panteistico di Fevronija, «Ah, tu foresta, mia foresta, bella solitudine, tu bosco di querce, tu regno del verde!». La giovane incontra il principe Vsevolod, figlio del sovrano di Kitež, che crede un semplice cacciatore e i due si innamorano. Nel secondo atto, durante la festa di nozze vengono assaliti dai Tatari che intendono prendere la città di Kitež. Non ci riusciranno perché la città si salva resa invisibile da una nebbia incantata a costo però della vita delle donne della città, che si immolano per non cadere vittime degli aggressori, e degli uomini uccisi in battaglia. Anche Fevronija muore durante la sua fuga nei boschi. Tutti si riuniranno in paradiso nell’ultimo atto dell’opera.

La leggenda della città invisibile di Kitež e della fanciulla Fevronija è la penultima delle 14 opere del compositore russo appartenente a quello schieramento conosciuto qui in occidente come Gruppo dei Cinque (Balakirev, Cui, Borodin e Musorgskij gli altri) impegnato a dar vita in musica ad una tradizione tipicamente russa e sganciata dalle convenzioni accademiche di quella occidentale. Nelle intenzioni del musicista doveva essere l’ultima e il coronamento della sua carriera di operista, ma il sopraggiunto interesse per il soggetto de Il gallo d’oro prevalse sulle sue intenzioni, e fu quello il suo ultimo capolavoro.

Il libretto di Vladimir Belsky è basato su due distinte narrazioni: la leggenda di Fevronija e quella della città di Kitež, appunto. L’opera che aveva debuttato nel 1907 a San Pietroburgo, rappresenta un monumento musicale all’anima slava sognata da Tolstoi.

L’azione ha luogo nell’anno 6751 dalla creazione del mondo, in una località non specificata al di là del Volga.
Atto I. Nella foresta vicino a Kitež la Piccola. Dopo un preludio intitolato Elogio della vita selvaggia, entra in scena Fevronija, una fanciulla che vive nel bosco in compagnia del fratello, in piena simbiosi con tutte le creature della natura: parla con gli uccelli, cura gli animali feriti e conosce tutti i segreti delle piante e degli alberi. Ella incontra il principe Vsevolod, ferito da un orso durante una battuta di caccia. Dopo essere stato curato da lei, il principe si innamora immediatamente della purezza d’animo e della semplice saggezza della ragazza, e le chiede di sposarlo. Richiamato dal corno dei compagni, il principe si allontana promettendole che tornerà per condurla alle nozze, mentre il cacciatore Fëdor Pojarok rivela a Fevronija che il giovane è il figlio di Jurij, principe della città di Kitež la Grande.
Atto II. Nella città di Kitež la Piccola, sulla riva destra del Volga. Una folla di popolani festanti attende il passaggio del corteo nuziale di Fevronija, ci sono perfino un orso ammaestrato ed un suonatore di gusli, che però profetizza delle sventure. Alcuni borghesi, scontenti della scelta del principe di convolare a nozze con una fanciulla di umili origini, convincono un vecchio mendicante ubriacone, Griška Kuter’ma, ad ingiuriarla e schernirla. Ma, poco dopo l’arrivo del corteo nuziale, irrompe in scena un’orda di guerrieri tatari, mentre la gente terrorizzata grida e fugge. I Tatari saccheggiano il paese e torturano gli abitanti per farsi indicare la strada che porta Kitež la Grande, ma nessuno parla. Questi allora prendono il vecchio Griška Kuter’ma con l’intento di ricavare le informazioni per trovare e conquistare la città, ma rapiscono anche Fevronija, colpiti dalla sua bellezza. Mentre sotto le minacce di tortura Griška è sul punto di tradire il suo popolo, Fevronija temendo ormai il peggio, prega Dio che salvi la città facendola diventare invisibile.
Atto III. Scena prima Nella città di Kitež la Grande. La popolazione è riunita nella piazza della città davanti alla cattedrale. Fëdor Pojarok, accecato dai Tatari, narra dei saccheggi perpetrati dai guerrieri e del rapimento della fanciulla. Il principe Jurij in un clima di morte e melanconia prega assieme al popolo la Vergine Maria. Consapevole del momento disperato, Vsevolod organizza un esercito che, sotto il suo comando, tenti un’estrema resistenza contro la venuta dell’invasore. Ma, proprio mentre l’esercito si appresta a partire, avviene il miracolo: le campane iniziano a suonare senza che nessuno le manovri, mentre una luminosa nebbia dorata scende sopra la città. Durante l’intermezzo si narrano le sanguinose vicende della battaglia, accompagnate da canti guerreschi e motivi musicali di derivazione tatara. Scena seconda Sulle sponde del lago Jar. Griška Kuter’ma tradisce infine la sua gente, e conduce i Tatari sulle rive del lago da cui si dovrebbe vedere la città di Kitež. Ma, giunti sul posto, essi vedono solamente una nebbia dorata, e furiosi legano Griška minacciando di torturarlo. Giunta la notte i guerrieri tatari si ubriacano e spartiscono il bottino conquistato durante la battaglia, dove avevano sbaragliato l’esercito russo e ucciso il principe Vsevolod. Due soltati, Burundaj e Bedjaj, si contendono il possesso di Fevronija; durante la lotta Bedjaj rimane ucciso, poi nell’accampamento tutti si addormentano. Mentre Fevronija piange la morte dell’innamorato, Griška, appeso a un albero, le chiede di liberarlo per poter fuggire; dopo essere stato slegato è tormentato dal rimorso per i suoi atti malvagi e si dirige verso il lago, con l’intenzione di suicidarsi, ma arrivato assiste ad un miracolo: tra i gioiosi e solenni rintocchi delle campane, scorge sulla superficie dell’acqua il riflesso della città scomparsa. Stupito e spaventato, come preso da follia fugge in direzione della foresta, trascinando con sé Fevronija. Gli urli del vecchio svegliano i guerrieri tatari, che si precipitano sulle rive del lago. Alla visione della città fantasma riflessa sulle acque tutti si disperdono terrorizzati.
Atto IV. Scena prima Nella foresta vicino a Kitež la Piccola. Griška e Fevronija rimasti soli vagano per la foresta. Griška, sempre più tormentato, finisce per impazzire e fugge via gridando. Fevronija ritrova un po’ di serenità e si assopisce, in quel momento la foresta si trasforma in una specie di paradiso: compaiono magiche luci sugli alberi, si schiudono ovunque bellissimi fiori colorati, uccelli iniziano a cantare meravigliosamente. Un uccello profeta, Alkonost, annuncia alla fanciulla che presto dovrà morire; appare in quel momento il fantasma del principe Vsevolod per condurla nell’invisibile città di Kitež. L’uccello profeta Sirin dice allora a Fevronija che vivrà in eterno. Durante l’intermezzo si dirigono verso la città invisibile, mentre lo spirito della fanciulla si distacca dal corpo. Scena seconda. Nella città invisibile di Kitež. Fevronija è accolta dal principe Jurij e dalla popolazione. La cerimonia nuziale, interrotta durante il secondo atto, può così riprendere. Vsevolod conduce la fanciulla all’altare. Fevronija chiede perdono per Griška Kuter’ma, la cui anima non è però ancora pronta per essere salvata, fa scrivere una lettera piena di speranza da recapitare al vecchio, e si augura che presto potrà anch’egli raggiungerla nell’invisibile città di Kitež.

La partitura ha ambizioni wagneriane pur con radici nella musica tradizionale russa, vuoi popolare che religiosa e uno dei personaggi principali, come in altre opere russe, è il coro.

L’edizione che viene registrata in questo disco della Opus Arte viene ancora una volta da quel teatro che negli ultimi anni si è dimostrato tra i più solleciti nell’allestire opere non di repertorio e produrre spettacoli di grande interesse, la Nederlandse Opera di Amsterdam.

Nel febbraio 2012 Dmitrij Černjakov mette qui in scena uno spettacolo drammatico, intenso e visivamente affascinante. Il regista pone subito in evidenza il contrasto tra il primo e il secondo atto dell’opera. Nel primo tre grandi alberi e una casuccia tra le erbe alte ci introducono nel mondo sereno di Fevronija e anche se qui gli animali con cui dialoga la fanciulla sono interpretati da umani, l’atmosfera ha la magia della natura benigna. Ma già l’arrivo minaccioso dei cacciatori, che con le loro torce fendono il buio, porta a un cambiamento di tono che si inasprisce nel secondo atto. Invece che in «una strada con bancarelle del mercato (…) con locanda e domatore d’orso», siamo in una Russia più attuale: l’interno di un locale dove la fa da padrona ogni bevanda, purché alcolica. I buffi movimenti dell’orso ammaestrato qui sono le provocazioni e i lazzi blasfemi dell’ubriacone Griška da tutti sbeffeggiato e i Tatari, i nemici sconosciuti, hanno qui le minacciose sembianze di una squadra di teppisti/terroristi che seminano violenza e morte tra i convenuti.

Eccellenti gli interpreti, da Svetlana Ignatovich nel ruolo estenuante della protagonista, al giovane principe di Maxim Aksenov, dal vecchio principe di Vladimir Vaneev a Mayram Sokolova nel ruolo del paggio che vede la distruzione della città. Menzione a parte per John Daszak, Griška di grande presenza scenica. Sul podio un autorevole Marc Albrecht alle prese con un’interminabile partitura che spazia dai “mormorii della foresta” al clangore dell’interludio della battaglia ai grandiosi accordi del finale.

Come extra le interviste durante le prove agli interpreti. Non ci sono sottotitoli in italiano.

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