Il turco in Italia

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Gioachino Rossini, Il turco in Italia

★★★★☆

Aix-en-Provence, Théâtre de l’Archevêché, 11 luglio 2014

«Objet volage non identifié»

I maligni direbbero che ne bastava uno. David Alden ha un fratello gemello, Christopher, anche lui “radical director” e pure lui noto per mettere in scena opere rivisitate in maniera eccentrica. Per fortuna che il Turco in Italia è un’opera “aperta” che non solo sopporta, ma quasi sollecita un approccio originale.

Ecco dunque al festival di Aix-en-Provence arrivare nel 2014 quello che il critico di Libération ha definito «un objet volage non identifié». La scena rappresenta la stazione piastrellata di una metropolitana (o sono i bagni di un sanatorio o un ristorante mediorientale in cui si consumano in quantità caffè e tabacco?) dove qualcuno ha piazzato la polena di un galeone seicentesco, nave su cui arriva Selim, il “bel turco”, in Italia. E con ciò il tono surreale della commedia è prontamente stabilito.

La regia è piena di trovate non sempre indovinate, d’accordo, ma come non capire che nel second’atto il coro entra in scena con un cono di  gelato in mano perché Albazar canta un’“aria di sorbetto” (così detta in quanto affidata a un personaggio secondario e dunque trascurabile da parte del pubblico che poteva dedicarsi alla degustazione di sorbetti e altri rinfreschi) scritta non da Rossini, come fa notare Prosdocimo, ma da un suo collaboratore rimasto anonimo. Qui Christopher Alden tratta il pezzo come un numero di avanspettacolo ed è felicemente assecondato dalla performance scenica di Juan Sancho (meno felice però la resa vocale).

Il carattere principale nella regia di Alden è Prosdocimo, il poeta. Sempre in scena con la sua macchina per scrivere, porge i fogli con le battute ai personaggi della storia che sta creando. Il ruolo ha in Pietro Spagnoli l’interprete giusto per eleganza e prestanza vocale.

Eleganza e prestanza vocale che non mancano neppure ad Adrian Sâmpetrean, magnifico basso rumeno dalla voce di velluto e dallo stile eccelso, il vero protagonista della serata. Fascinoso principe turco senza turbante e gioielli, si capisce perché tutte le donne ne siano innamorate.

Fiorilla è una bomba sexy che trova in Olga Peretjat’ko l’interprete ideale, voce forse un po’ troppo chiara se abbiamo in mente la Callas o la più recente Bartoli, ma perfetta nelle agilità e nello stile.

Il marito («uomo debole e pauroso» dice il libretto) è un Corbelli che potrebbe recitare la parte a occhi chiusi, ma la voce mostra segni di stanchezza e i fiati non sempre stanno dietro al ritmo richiesto dalla musica.

Don Narciso di gran lusso è Lawrence Brownlee, per il quale viene giustamente ripristinata l’aria del primo atto, spesso tagliata. Ma perché chiamare un tenore così eccelso per poi farlo cantare nelle posizioni più assurde? Ovvio che gli acuti da sdraiato o con la testa all’ingiù non escano perfetti.

In orchestra Charles Minkowski è sempre a suo agio e con i ritmi giusti, mai frenetico. Peccato per l’orchestra dei Musiciens du Louvre Grenoble che ha talora qualche incertezza e per l’acustica: siamo, ahimé, all’aperto, anche se nell’accogliente cortile dell’Arcivescovado. Siamo comunque fortunati, perché la prima dell’opera è saltata per sciopero e la seconda è andata in scena in forma di concerto e trasferita all’ultimo momento al chiuso del Grand Théâtre de Provence causa maltempo.

Altro protagonista della serata, che è stata caldamente festeggiata dal pubblico, il pianoforte di Francesco Corti, che non solo ha accompagnato i recitativi, ma ha argutamente contrappuntato alcuni momenti dello spettacolo.

A ricevere gli applausi finali non solo il coro e i cantanti, ma anche i tecnici e i lavoratori stagionali (“intermittents du spectacle” dicono qui) che vedono in pericolo il loro lavoro e il futuro stesso del festival dati i previsti tagli alla cultura. Sì, questo succede anche in Francia. Nel frattempo lo spettacolo arriverà al Regio di Torino nel marzo 2015. Con interpreti completamente diversi, ma al coperto.

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