L’Elena


dvd

★★★★☆

Una Belle Hélène di quasi quattro secoli fa

Più di 350 anni: questo è il periodo di tempo in cui L’Elena di Cavalli è stata dimenticata. Dopo la prima esecuzione avvenuta al Teatro di San Cassiano il giorno di Santo Stefano del 1659 e la ripresa a Palermo due anni dopo non c’è mai più stata una rappresentazione sulla scena di questo lavoro fino al 65° Festival di Aix-en-Provence di cui è stato lo spettacolo rivelazione.

Il vivace libretto di Giovanni Faustini, completato dopo la sua morte da Nicolò Minato, narra le vicende di Elena prima del suo matrimonio con Menelao. Del pomo della discordia si parla nel prologo dove Giunone, Venere e Minerva litigano su chi ne sia più degna, trovandosi d’accordo solo sul fatto che il matrimonio di Elena con Menelao non dovrà avere vita facile.

Quest’ultimo lo vediamo infatti nel primo atto travestirsi da donna per poterla corteggiare. Elena e la sua nuova ‘compagna’ vengono rapite da Teseo che abbandona la fiera amazzone Ippolita perché anche lui è invaghito della bella figlia di Sparta. A complicare le cose anche il principe Menesteo si innamora di Elena e sia Tindaro che Piritoo si scoprono entrambi infatuati di Elisa, Menelao en travesti. E siamo solo al primo atto! Nel prosieguo arriverà pure una furibonda Ippolita prima che il lieto fine concluda comunque felicemente la vicenda. Ne L’incoronazione di Poppea monteverdiana le figure storiche di Nerone, Poppea e Seneca erano state messe in scena per dimostrare che anch’esse provavano le stesse passioni di noi tutti e L’Elena di Cavalli si rifà a quel modello.

La location in cui il regista Jean-Yves Ruf e il direttore Leonardo García Alarcón nel luglio 2013 fanno rinascere il capolavoro dimenticato è il delizioso Jeu de Paume della cittadina provenzale e le dimensioni contenute del teatro sono quanto mai adatte a questo repertorio. I comici travestimenti e l’esibizione di questa «antologia del desiderio», come la definisce Alain Perroux consigliere artistico del festival, prendono vita all’interno di una piccola arena circolare, miniatura dei luoghi di tauromachie ancora presenti in questa parte di Francia. Pochi elementi – dei teli per suggerire le navi in mare, delle ‘liane’ che scendono dall’alto per inviluppare i personaggi – formano la semplice scenografia di Laure Pichat e i costumi di Claudia Janatsch rimandano a un Mediterraneo quasi senza tempo.

In questo «vaudeville mythologique» le continue entrate e uscite dei numerosi personaggi sono gestite dal regista senza eccessiva fantasia, concentrandosi maggiormente il suo lavoro sull’espressività dei caratteri. I tredici interpreti assecondano le sue intenzioni e si dimostrano tutti più o meno buoni attori, aleggia però nella messa in scena un non so che di amatoriale.

Vocalmente soddisfacente la maggior parte dei cantanti come la Elena del soprano ungherese Emőke Baráth, qui biondo movente di tante peripezie. Ma fra tutti primeggia il Menelao del contraltista rumeno Valer Barna-Sabadus, dal timbro seducente e dallo stile ineccepibile.

A capo della Cappella Mediterranea Leonardo García Alarcón si destreggia tra clavicembalo e organo positivo, mentre i suoi dieci compagni musicisti tirano fuori da tiorbe, liuti, lire e viole da gamba, cornette e flauti dolci i colori per i seducenti duetti, i vivaci terzetti e i quartetti di cui è costellata l’opera.

Pur superando le tre ore di rappresentazione, l’edizione è stata scorciata venendo mancare, tra l’altro, il ballo degli orsi alle fine del primo atto – un numero, quello del ballo degli orsi ammaestrati, che non poteva mancare nei teatri veneziani perché molto gradito al pubblico popolare che li affollava allora (e pratica crudele purtroppo ancora praticata nei villaggi di certi paesi balcanici). Manca anche il balletto degli schiavi liberati alla fine del secondo atto.

Non ci sono sottotitoli in italiano né extra nei due dischi presentati nel formato di un volumetto che contiene vari testi in tre lingue.

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